Il sequestro di animali da reddito presenta una serie di complessità aggiuntive rispetto al sequestro di animali d’affezione, prime fra tutte l’individuazione di strutture idonee ove collocare gli animali, che siano al tempo stesso disponibili a sopportare i relativi costi, considerato anche che nel caso di animali di maggiori dimensioni (bovini, suini) le spese possono essere notevolmente più elevate rispetto a quelle necessarie per il mantenimento di cani e gatti.
Tuttavia, questo non significa che conigli, agnelli, vitelli, galline, maiali, mucche e altri animali “da reddito” debbano essere affidati agli stessi proprietari e/o detentori che li hanno maltrattati e meno che mai che dopo il sequestro debbano essere inviati al macello (come purtroppo è anche capitato).
Abbiamo intervistato l’Ing. Francesco Faragò, Dirigente coordinatore territoriale per la Città Metropolitana di Milano e la Provincia di Varese delle Guardie Ambientali d’Italia, associazione di volontariato nazionale riconosciuta dal Ministero dell’ambiente che ha scelto di svolgere un’attività di vigilanza sul rispetto delle leggi e dei regolamenti a tutela dell’ambiente e degli animali.
In due occasioni, nel 2013 e nel 2020, l’Ing. Faragò ha contribuito all’affidamento a strutture zoofile e privati di suini sottoposti a sequestro in quanto detenuti in condizioni di maltrattamento. Questi animali sono stati definitivamente sottratti sottratti al ciclo produttivo e vengono trattati come animali d’affezione1Ricordiamo che l’art. 1 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (ratificata dall’Italia nel 2010) stabilisce quanto segue: «Per animale da compagnia si intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia»..
La prima vicenda ha riguardato un allevamento non autorizzato (in quanto privo delle autorizzazioni sanitarie) nel territorio del Comune di Morazzone. Nel maggio 2013, il GIP aveva disposto il sequestro preventivo di 28 maiali — peraltro privi di marchetta auricolare di identificazione — detenuti in condizioni incompatibili con la propria natura e produttiva di gravi sofferenze.
All’esito dell’ispezione condotta dalla ASL (oggi ATS) di Varese congiuntamente al Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestale), venivano evidenziate una serie di criticità strutturali e igienico-sanitarie: gli animali erano costretti a stabulare tra i propri escrementi e su una superficie resa umida, viscida e scivolosa dalle minzioni, con conseguenti rischi sia per la loro incolumità fisica. Tre maiali in particolare apparivano in condizione di estrema sofferenza poiché affetti da gravi problemi articolari e quindi impossibilitati alla deambulazione.
Il veterinario della ASL aveva suggerito alla Procura l’abbattimento dei suini per porre fine alle loro sofferenze, mentre il PM aveva autorizzato la PG a cercare degli stalli ove trasferire i maiali e il proprietario aveva rinunciato alla proprietà degli animali. La vicenda si era quindi potuta chiudere favorevolmente, con l’affidamento degli animali a rifugi.
Di seguito la nostra intervista all’Ing. Faragò, nella quale racconta questo recente secondo episodio, esprimendo anche la sua visione su queste vicende, all luce dell’esperienza acquisita sul campo.
Di recente ha seguito una vicenda riguardante l’affidamento a privati di suini sottoposti a sequestro. Può spiegarci come siete arrivati a questo risultato?
La persona interessata all’affidamento, fosse essa un privato cittadino o il legale rappresentante di una associazione, ha trasmesso alla Procura di Varese, nell’ordine, i seguenti documenti, secondo dei modelli appositamente redatti dalla Procura stessa:
- una istanza nominale con la quale comunicava la propria disponibilità all’affido in giudiziale custodia degli animali, indicandone il numero, l’età e il sesso, garantendo al contempo l’espunzione dei medesimi dal ciclo produttivo;
- una dichiarazione di impegno con la quale la persona interessata dichiarava di voler accudire/custodire gli esemplari richiesti, senza oneri per l’AG, garantendo ad essi le migliori condizioni di vita possibile etc, accettando la clausola di non macellabilità e di non abbattimento ingiustificato degli stessi;
- una dichiarazione di intenti, con la quale la persona interessata esponeva brevemente quali erano le proprie attività pregresse a tutela degli animali, direttamente o in collaborazione con le associazioni, e quali attività sarebbero quindi state poste in essere per valorizzare culturalmente e socialmente gli animali (attività con scolaresche, associazioni, etc).
Trasmessi alla Procura gli atti di cui sopra, in assenza di motivi ostativi, il PM nominava i richiedenti custodi giudiziali degli animali, con affido temporaneo degli stessi, il quale diventerà definitivo allorquando il giudice ne disporrà la confisca.
I controlli circa lo stato di salute e benessere degli animali verrà effettuato dalla cosiddetta rete dei santuari di Animali Liberi, quale unione di tutte le principali associazioni nazionali impegnate nella tutela degli animali sottratti alla macellazione.
Nel chiedere l’affidamento in giudiziale custodia degli animali in accordo con le modalità di cui si è detto nel punto precedente, le persone interessate accettavano, quale conditio sine qua non per l’affido in custodia degli animali, di rendere accessibili i luoghi di detenzione degli animali medesimi, non solo agli organi di polizia giudiziaria competenti per territorio, ma anche e soprattutto alle associazioni che fanno parte della rete anzidetta, così da consentire alle stesse di valutare l’idoneità della detenzione, e quindi le loro condizioni di salute e benessere.
Inoltre, il decreto di affidamento in giudiziale custodia emesso dal Pubblico Ministero prevede che, tra gli obblighi di custodia in capo agli affidatari, vi sia anche quello di inviare, all’Autorità Giudiziaria, entro il 15 luglio di ogni anno, un breve resoconto relativo alla gestione degli animali e alle loro condizioni di salute e benessere.
Quali sono le principali problematiche che ha incontrato in questi anni di attività?
Le problematiche principali da affrontare sono, nell’ordine, le seguenti:
a) La volontà di comprendere, da parte del Pubblico Ministero, che, nel nostro ordinamento giuridico, la macellazione va qualificata come un’eccezione ovvero una deroga all’art. 544-bis del codice penale, che trova, come unica giustificazione, la necessità di tutelare il sostentamento umano cioè un bene giuridico ritenuto superiore a quello della vita degli animali che di volta in volta vengono macellati. Non a caso l’art. 19-quater delle disposizioni transitorie e di coordinamento del codice penale, introdotto dalla Legge 189/04, prevede che gli animali sottoposti a sequestro o a confisca (penale), siano affidati alle associazioni o agli enti protezionistici, indipendentemente dalla specie di appartenenza o dalla loro “destinazione d’uso iniziale”, quale ad esempio la macellazione.
Ciononostante, come attestato da numerosi episodi di cronaca — alcuni dei quali anche piuttosto recenti (Procura di Brindisi) — non di rado al sequestro di animali da reddito/allevamento, consegue l’abbattimento o la macellazione degli stessi, sebbene, per i motivi esposti poc’anzi, tali decisioni, almeno teoricamente, siano palesemente contra legem.
Al riguardo non può richiamarsi poi l’art. 13 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dall’EU, sottoscritto anche dall’Italia, che obbliga le istituzioni gli stati membri a tenere pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti.
Eppure per ridurre i costi o per evitare aggravi di lavoro, la sorte degli animali è spesso segnata, anche quando le associazioni si dichiarano disponibili al mantenimento degli animali.
b) La burocrazia. In Italia, a causa soprattutto di una burocrazia ottusa, asfissiante ed anacronistica, ovvero a causa di pubblica amministrazione refrattaria a qualsiasi novità o cambiamento, non si è ancora riusciti ad ottenere il riconoscimento giuridico delle strutture adibite al ricovero degli animali definitivamente sottratti alla macellazione, cui le ASL veterinarie, e invero anche il Ministero della Sanità, continuano a imporre gli stessi obblighi cui devono sottostare gli allevamenti per la produzione di carne e generi alimentari (latte, formaggi, etc). Ancora oggi si assiste a dipartimenti veterinari ASL che dichiarano ovini, suini, bovini etc, non detenibili per finalità affettive, nonostante ciò sia esplicitamente previsto dalla Legge 201/2010 con cui Italia ha ratificato Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 1987.
Pertanto le strutture che possono ospitare questi animali sono poche e di conseguenza anche gli stalli disponibili. Per gli stessi motivi poc’anzi addotti, la situazione diventa ancor più insostenibile quando a dare la propria disponibilità ad accogliere tali animali sono dei semplici privati, i quali, il più delle volte, desistono perché esasperati dalle continue richieste delle Autorità.
Al riguardo è quindi auspicabile un celere intervento da parte del Legislatore che ponga fine a questa attività pseudo-legislativa da parte delle ASL veterinarie, che pur non possedendo alcuna potestà legislativa, emettono continuamente circolari, pareri dirigenziali, note esplicative etc che pongono seri limiti all’apertura e all’attività di santuari e rifugi. Tale intervento non farebbe altro che dare esecuzione al succitato art. 19-quater delle disp. trans. e coord. del codice penale.
c) Costi e logistica. Purtroppo la riforma del 1989, il cosiddetto “nuovo” codice di procedura penale, ha elevato il Pubblico Ministero a dominus assoluto delle indagini preliminari, privando, di fatto, le PG di qualunque atteggiamento propositivo nei confronti del PM stesso, al quale viene lasciata ogni decisione in merito alla sorte degli animali che, come si è detto, il più delle volte è la macellazione. Di conseguenza, non si è mai arrivati a creare un sistema di regole comuni, cioè un “protocollo” con per gestire i sequestri degli animali da reddito e quindi creare rete ufficiale di collaboratori (volontari, veterinari, trasportatori etc) da coinvolgere ogni qualvolta se ne presenti la necessità. Le ASL veterinarie non sono in grado di procedere alla castrazione dei soggetti maschi che spesso vengono tenuti assieme alle femmine con tutto ciò che ne consegue, anche in considerazione del fatto che l’esiguo numero di rifugi e stalli rende quasi sempre impossibile suddividere i maschi dalle femmine, cosa che nei suini può comportare un aumento spropositato dei soggetti.
L’alternativa è rappresentata dai veterinari privati, la cui opera ha però costi non indifferenti. Tutto è demandato dapprima al “coraggio” degli operatori di PG che hanno eseguito il sequestro, cioè alla loro volontà di proporre al PM il trasferimento e adozione degli animali, con tutto ciò che ne consegue: costi, aggravio di lavoro, problemi burocratici etc, e poi, qualora il PM non decida altrimenti, alla volontà, determinazione e senso di pietà degli stessi affinché non desistano dinnanzi alle difficoltà pratiche che si presentano immediatamente dopo aver convinto il PM: contattare i volontari che danno la propria disponibilità a collaborare, individuare le strutture e il trasportatore più idoneo, organizzare il viaggio, e a presentare poi un quadro economico che risulti accettabile per le procure, etc.
Giungere ad un protocollo nazionale, con un elenco di persone, rifugi, veterinari etc da coinvolgere al momento del bisogno è da ritenersi quindi una necessità improcrastinabile; del resto per gli autoveicoli e i natanti, qualcosa di simile già esiste: al riguardo lo Stato ha istituito una rete di depositi autorizzati, con tanto di costi tabellari per le indennità da riconoscere ai custodi giudiziali degli stessi, etc.
Come si è evoluto il rapporto con la magistratura negli ultimi anni? La sensibilità nei confronti degli animali è in aumento?
Sinceramente mi pare che all’interno della magistratura la sensibilità nei confronti dell’ambiente e degli animali sia ancora poco diffusa. Ad oggi, purtroppo, è ancora tutto demandato alla sensibilità del singolo piuttosto che ad una presa di coscienza dell’intera categoria. Invero occorre anche riconoscere il fatto che in Italia, per motivi che è inopportuno discutere in questa sede, ha prevalso una cultura pan-penalistica, sicché le Procure sono costrette a perseguire anche comportamenti di modesto o irrilevante allarme sociale, che, oltre al dispendio di mezzi e risorse, distolgono l’attenzione dai reati a danno dell’ambiente che pure dovrebbero essere considerati tra i più gravi in assoluto o a i reati a danno di animali, i quali sono spesso il prodromo di reati ben più gravi a danno delle persone.
Negli ultimi anni è se mai notevolmente aumentata la sensibilità delle associazioni, le quali, rispetto al passato, sono sempre più impegnate nella difesa degli animali tutti piuttosto che dei soli cani e gatti, gli animali d’affezione per antonomasia, e la sensibilità dei cittadini comuni che ormai trovano normale denunciare alle autorità il vicino che detiene il suino da macellare a natale tra i propri liquami all’interno di porcilaia abusiva, o il vicino che detiene le proprie galline costipate in un angusto pollaio colmo di escrementi etc.
Tutte situazioni che in passato erano tollerate in quanto ritenute normali e che adesso vengono sempre più denunciate in quanto ritenute inaccettabili.
Va da sé che questa nuova presa di coscienza collettiva in un modo o nell’altro si diffonderà inevitabilmente anche presso l’Autorità Giudiziaria. È solo una questione di tempo.
Note
- 1Ricordiamo che l’art. 1 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (ratificata dall’Italia nel 2010) stabilisce quanto segue: «Per animale da compagnia si intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia».