Svariati purtroppo sono gli episodi che vedono coinvolti minori nel maltrattamento di animali.
Fra i numerosi fatti di cronaca che si possono rinvenire sull’argomento, particolarmente significativa risulta la vicenda che si è verificata nei giorni scorsi e che ha avuto come protagonista un quindicenne di Casoria (NA) che con un calcio violentissimo ha scagliato contro un muro un micino indifeso cagionandone la morte.
L’episodio è emblematico non solo per l’efferatezza gratuita della violenza perpetrata dal ragazzo nei confronti del povero animale, spia di un’aggressività giovanile ormai dilagante, ma anche per la circostanza che il vile e cruento gesto è stato registrato con il cellulare e postato su TikTok, applicazione diffusissima fra giovani e giovanissimi.
In questo, come in altri casi, il maltrattamento è stato ideato ed agito all’unico fine di essere postato in rete.
Internet ed i social network garantiscono infatti agli autori di tali efferatezze visibilità ed anonimato permettendo loro di diffondere le proprie deplorevoli gesta ad una vastissima platea.
Si tratta di soggetti alla ricerca di un proprio spazio all’interno della società: essendone privi rivendicano il proprio ruolo nello spazio virtuale della rete e lo fanno spettacolarizzando la sofferenza di vittime indifese.
Sovente dietro tali condotte, consumate da animi insensibili mossi da impulsi violenti ed aggressivi, si celano il bisogno di accettazione, l’esigenza di ricevere approvazione – che nel mondo virtuale si traduce in like e visualizzazioni – e il desiderio di ottenere popolarità e (vana)gloria.
La diffusione di tali immagini sortisce un duplice effetto: da un lato urta la sensibilità degli spettatori che hanno a cuore il benessere animale, dall’altro provoca un temibile effetto imitativo ed emulativo. I concetti di imitatio ed aemulatio propri della letteratura latina, ben si prestano ad illustrare quest’ultima allarmante conseguenza: dunque, non solo limitarsi a riprodurre fedelmente ciò che si è visto (imitatio), ma ispirarsi al modello di riferimento per raggiungerlo e superarlo (aemulatio), una vera e propria “gara” a chi alza di più l’asticella delle atrocità.
Diversi studi hanno dimostrato che bimbi ed adolescenti reiteratamente violenti verso gli animali presentano disturbi psicologici e possono diventare adulti violenti e antisociali.
Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali la crudeltà nei confronti degli animali figura fra i criteri diagnostici del Disturbo della Condotta, ossia quel comportamento ripetitivo e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società vengono violate. I bambini e gli adolescenti che soffrono di tale disturbo manifestano spesso comportamenti aggressivi e minacciosi che possono sfociare in vere e proprie colluttazioni durante le quali non infrequentemente gli stessi si servono di armi, quali ad esempio bastoni o coltelli. Il disturbo della condotta può scaturire da fattori diversi quali l’esposizione a violenza o dal fatto di essere essi stessi vittime dirette di violenze ed abusi. Non solo, l’insorgenza del disturbo può altresì derivare dall’appartenenza a nuclei familiari problematici a causa dell’esempio educativo ricevuto o, ancora, da una situazione di isolamento sociale. Circostanze queste che causano un forte stress e un grande senso di frustrazione nel soggetto disturbato che tende dunque ad identificare qualcuno che sia ancor più vulnerabile di lui per non sentirsi ultimo fra gli ultimi; ben si capisce come, sotto questo profilo, l’animale per la sua vulnerabilità costituisca la vittima perfetta: abbastanza piccolo per garantire il successo dell’azione violenta e sufficientemente grande per soddisfare la necessità di sfogare tali frustrazioni.
Dati statistici riferiscono che nel 70% dei casi tale quadro evolutivo conduce alla comparsa in età adulta del Disturbo Antisociale di Personalità, le cui caratteristiche secondo il DSM-IV includono un modello pervasivo di inosservanza e violazione dei diritti altrui; coloro che soffrono di tale disturbo si rivelano cioè male adattati agli obblighi che la vita sociale impone.
Il nucleo familiare riveste dunque un ruolo fondamentale in quanto esso rappresenta il primo gruppo sociale con cui il bambino interagisce e da cui apprende i primi modelli di socializzazione e comportamento. Pertanto, se all’interno dello stesso appare normale maltrattare gli altri ed in particolare gli animali, con tutta probabilità tale atteggiamento verrà emulato, in quanto percepito come normale, dal bambino che lo farà proprio.
La dottoressa Camilla Pagani dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione ha condotto uno studio sugli effetti psicologici derivanti dall’esposizione alla violenza sui bambini e sugli adolescenti da cui è emerso che le conseguenze più significative di tale esposizione possono essere costituite dallo sviluppo di comportamenti aggressivi e antisociali, da difficoltà nei rapporti sociali nonché da una vera e propria assuefazione alla violenza.
Identificazione, empatia e rispetto, queste sono le caratteristiche che la dott.ssa Pagani considera essenziali nella prevenzione e nella diminuzione della violenza. Rispetto e tolleranza nei confronti degli altri, anche di coloro che ci appaiono tanto diversi da noi. Spetta in primis ai genitori promuovere lo sviluppo dell’empatia.
“L’empatia. Sentire il dolore dell’altro come nostro. La cosa più difficile da imparare, quella di maggior valore che ci sia concesso di sentire” (A.H.Vachss).
Di fronte a fatti come quelli di Casoria una riflessione è d’obbligo.
Falliamo tutti nel nostro ruolo di genitori, di insegnanti, di educatori quando insegniamo ai nostri ragazzi a non opporsi alle ingiustizie, a rimanere indifferenti, a non schierarsi dalla parte dei deboli, a non prendere le loro difese. Proprio come i giovani di quella periferia napoletana che sono rimasti a guardare compiaciuti il barbaro gesto dell’amico. Non solo non hanno fatto nulla per dissuaderlo, ma lo hanno incoraggiato, riprendendolo con il cellulare e diffondendo orgogliosi le sue brutali gesta.
Falliamo quando non siamo in grado di spiegare ai nostri figli che il dolore è reale, che passando attraverso gli schermi la sofferenza resta vera, non diventa virtuale…la sofferenza non si annulla, anzi si moltiplica perché raggiunge e ferisce milioni di cuori.
Risulta dunque di fondamentale importanza che gli episodi di violenza sugli animali agiti da minori non vengano considerati semplici bravate; si tratta di atti incivili integranti fattispecie di reato rivolti verso esseri straordinari e sensibili che fanno parte della nostra società e per questo meritevoli di tutela e di rispetto da parte della collettività tutta.
Foto di copertina: Cunaplus_M.Faba su iStock