Gigi Glendinning/Nonhuman Rights Project

Happy prigioniera da 40 anni: la Corte di New York riapre il caso contro lo zoo del Bronx

La Corte ammette che la procedura giudiziaria di verifica della illecita detenzione è applicabile anche agli animali non umani.
Avv. Alessandro Ricciuti

Avv. Alessandro Ricciuti

Presidente di Animal Law Italia.

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Happy è un’elefante asiatica di sesso femminile nata nel 1971 in libertà e catturata (probabilmente in Thailandia) a pochi anni di vita insieme ad altri cuccioli, probabilmente suoi fratelli. Importata negli USA, ha passato i primi anni in uno zoo safari della California, per essere poi ceduta nel 1977 allo zoo del Bronx

Nel 2005, Happy è diventata il primo elefante a superare il test di riconoscimento allo specchio, considerato un indicatore di autocoscienza.

Dal 2006 ad oggi, dopo la morte di più compagne, ha vissuto sempre da sola. È stata lanciata una petizione su change.org per chiedere la fine di questo isolamento, che ha raggiunto 1,4 milioni di firme ma non ha convinto i gestori dello zoo a cedere Happy a un santuario per animali.

Per questo motivo, nel 2018 l’organizzazione non profit Nonhuman Rights Project (NHRP) ha avviato un’innovativa azione legale, chiedendo la liberazione dell’elefantessa sul presupposto che la detenzione sia ingiustificata. L’azione è supportata dai pareri di docenti universitari e altri esperti di fama mondiale sul benessere dei pachidermi. In particolare, in un parere allegato dell’esperto Joyce Poole evidenzia che «gli elefanti in isolamento diventano annoiati, depressi, aggressivi, catatonici e smettono di crescere. I guardiani umani non possono sostituire le numerose e complesse relazioni sociali e i ricchi scambi di comunicazioni gestuali e vocali che avvengono tra elefanti in libertà».

Nonhuman Rights Project è un’organizzazione senza scopo di lucro impegnata nell’ottenere diritti fondamentali per gli animali non umani attraverso innovative azioni legali come questa. In particolare, si concentrano su grandi primati, elefanti, delfini e balene allo scopo di cambiare il loro status giuridico, elevandolo da quello di semplici “cose” al rango di soggetti di diritto, in pieno possesso del diritto alla libertà e integrità fisica.

Non a caso, negli atti giudiziari Happy viene definito «animale non umano autonomo e cognitivamente complesso».  In particolare, si evidenzia che gli elefanti possono camminare per oltre 20 miglia (circa 32 km) al giorno e sono animali che vivono in gruppi composti da un numero elevato di individui di più generazioni. Il fatto di vivere da sola in uno spazio ristretto costringerebbe quindi Happy a una condizione molto diversa da quella per cui si è evoluta la sua specie, tale da produrre inevitabilmente una grave condizione di malessere e sofferenza.

D’altronde, anche noi esseri umani siamo animali sociali e la reclusione in isolamento totale, soprattutto per lunghi periodi, è considerata una pena eccessivamente crudele, tanto da essere vietata in molti ordinamenti.

Purtroppo il giudice di primo grado non aveva accettato questi argomenti, sostenuti da autorevoli pareri scientifici; il ricorso è stato quindi rigettato. L’organizzazione non si data per vinta e ha proposto appello. Adesso finalmente si riaprono le speranze di accoglimento, dopo che la Corte di Appello di New York — una tra più prestigiose degli Stati Uniti — ha deciso di ascoltare il caso, ritenendo procedibile l’appello.

Per quanto sia ancora soltanto un primissimo passo, si tratta comunque di un risultato notevole, considerato che per la prima volta che una giurisdizione superiore in un paese di diritto anglosassone ammette un appello in materia di ingiusta detenzione di un animale non umano.

Il procedimento giudiziario

Sul piano tecnico, Nonhuman Rights Project ha azionato una procedura giudiziaria nota come “habeas corpus”, che consente di rivolgersi al potere giudiziario per verificare la legittimità della privazione della libertà personale. Nel diritto consuetudinario dei sistemi anglosassoni (detti anche di “common law”), questa procedura corrisponde a quello che nel nostro ordinamento (definito di “civil law”, cioè basato su un codice scritto) è il riesame, che è possibile richiedere in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva, ossia limitativa della libertà personale (arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere).

Tuttavia, nel nostro ordinamento — proprio perché basato su un codice scritto — i presupposti per azionare questo rimedio giuridico sono chiari e non vi sono dubbi che il riesame sia applicabile esclusivamente agli esseri umani. Non è così nel diritto anglosassone, che appunto si basa in larga parte su procedure giudiziarie di tipo consuetudinario: questo istituto si è infatti cristallizzato alla luce delle pronunce giurisprudenziali nei secoli in cui le corti l’hanno applicato. Ed è proprio l’assenza di una legge che stabilisca cos’è l’habeas corpus — e che disciplini nel dettaglio come si esercita — concede spazio per un’ampliamento del suo utilizzo a situazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle per le quali si è sviluppato fino ad oggi.

Un celebre precedente è quello del 1772 e riguarda il caso di uno schiavo, che si era rivolto ad un giudice inglese per contestare il fondamento della sua condizione: concedendo l’habeas corpus, il giudice aveva elevato il rango giuridico del richiedente da semplice bene di proprietà a persona, di fatto liberandolo. L’organizzazione si prefigge di applicare la stessa logica agli animali non umani, non a caso definiti “i nostri clienti”.

Proprio per questo motivo, l‘habeas corpus potrebbe rappresentare lo strumento perfetto per estendere i diritti fondamentali agli animali non umani. Di questo parere sono anche le posizioni di numerosi studiosi del diritto interpellati dall’organizzazione, che enfatizzano la possibilità per i giudici nei sistemi di common law di “creare il diritto”, a differenza di quanto accade nei paesi di civil law (la maggior parte dei paesi europei), nei quali i giudici devono limitarsi ad applicare la legge e quindi hanno un minore potere di manovra, soprattutto nell’interpretazione delle norme procedurali come sono quelle che consentono di introdurre uno strumento processuale.

Ciò non toglie che il primo caso in cui un giudice ha dichiarato un animale non umano “soggetto non-umano” — la vicenda è quella della scimpanzé Cecilia, qui la sentenza — si è verificato in Argentina, paese che ha ereditato dalla Spagna un sistema di civil law.

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