Accolgo volentieri la richiesta di fare un commento sulle implicazioni dell’esposizione di minori alla crudeltà su animali. L’input mi viene dato in occasione della sentenza di assoluzione dei due pastori, padre e figlio minorenne, accusati di avere ucciso un cane a bastonate.
Innanzi tutto occorre chiarire che per esposizione di minori alla violenza su animali si intende il coinvolgimento di un minore come spettatore e/o partecipante alla violenza stessa.
Far assistere un minore ad un atto di violenza o costringerlo a partecipare ad un atto di violenza è una forma riconosciuta di violenza psicologica che, se viene agita da un genitore, rientra nelle forme specifiche di violenza assistita intrafamiliare definita dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (C.I.S.M.A.I.) «l’esperire da parte del bambino/bambina qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere alle violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti anche a danno di animali domestici».
Le implicazioni dell’esposizioni di minori alla violenza su animali sono oggi delineate da una centenaria letteratura scientifica internazionale e dalla più recente letteratura scientifica italiana per cui il maltrattamento di animali da parte di un minore deve essere interpretato come:
- sintomo di una potenziale situazione esistenziale patogena quale abuso familiare o ambientale che potrebbe implicare incuria, discuria, violenza psicologica, fisica, sessuale o tutte queste forme di violenza insieme.
- Fenomeno predittivo di contemporanei e/o successivi altri comportamenti devianti, antisociali, criminali quali aggressioni alle persone e distruzione di proprietà – utilizzando spesso il fuoco;
- furti caratterizzati dalla presenza di una vittima come borseggio, estorsione, rapina a mano armata;
- rapimento, violenza sessuale, assalto con particolare riguardo al fenomeno degli Spree Killer, omicidio con particolare riguardo al fenomeno dei Serial Killer.
In altre parole, i comportamenti antisociali e criminali sopracitati sono in termini statisticamente rilevanti l’escalation di un primo comportamento violento, deviante e criminale quale è il maltrattamento e l’uccisione di animali.
Il 2016 è stato un anno importante per l’Italia nello studio del LINK in quanto la raccolta dati svolta da LINK-ITALIA e N.I.R.D.A. del Corpo Forestale dello Stato in collaborazione col Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria ha consentito di delineare il Profilo Zooantropologico Comportamentale e Criminale del Maltrattatore e/o Uccisore di Animali.
Di seguito alcuni dei dati emersi dall’indagine retrospettiva condotta su un campione di 537 detenuti intervistati nelle carceri italiane per cui è risulta che:
- il 26% dichiara di aver assistito a maltrattamenti e/o uccisioni di animali nella minore età;
- Il 16% dichiara di aver maltrattato e/o ucciso animali nella minore età;
- Il 45% dichiara di aver sia assistito che maltrattato o ucciso animali da minorenne.
Il 71% del totale dei detenuti ha quindi assistito a maltrattamenti e/o uccisioni di animali da minorenne di cui nel 41% dei casi i maltrattatori e/o uccisori erano appartenenti alla cerchia familiare – parenti, amici di famiglia, vicini di casa –, nel 25% alla cerchia dei pari, nel 4% estranei.
Il 61% dei detenuti ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne.
L’87% dei detenuti ha assistito e/o maltrattato e/o ucciso animali da minorenne.
Il 37% dei detenuti che ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne ha dichiarato di averlo fatto per sfogare la propria rabbia e frustrazione in particolare verso l’ambiente familiare violento, abusante, negligente – il 16% ha evidenziato un difficile rapporto con la madre che ha condizionato anche ogni successivo rapporto con le figure femminili in genere. Il 13% dei detenuti ha evidenziato un difficile rapporto con il padre, l’8% con l’ambiente familiare in genere –.
Il 26% dei detenuti che ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne ha dichiarato di averlo fatto per un senso di rivalsa rispetto a vissuti alienanti esistenziali – solitudine, difficoltà a relazionarsi con gli altri, senso di impotenza, vuoto, noia, ostilità da parte degli altri nei propri confronti –.
Il 17% dei detenuti che ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne ha dichiarato di averlo fatto per omologazione e/o appartenenza al gruppo dei pari.
Il 10% dei detenuti che ha maltrattato e/o ucciso animali da minorenne ha dichiarato di averlo fatto per incapacità a relazionarsi nel giusto modo con un animale dovuta alla propria età e all’incuria dei genitori.
Il 10% ha dato varie altre motivazioni fra cui anche iniziazioni malavitose.
Il 62% dei detenuti che ha maltrattato animali da minorenne ha appiccato incendi.
Alcune delle sette variabili caratteristiche del fenomeno emerse dall’analisi multivariata dei 942 Casi Link raccolti dal 2011 evidenziano che:
- Variabile 1
Modalità distorta di ripristino della dignità
Il maltrattamento e/o l’uccisione di animali è una delle modalità distorte di ripristino della dignità da parte di coloro che subiscono gravi e sistematiche forme di umiliazione soprattutto nella minore età. Queste umiliazioni possono essere in seguito associate ad altri vissuti negativi, tanto da indurre reazioni di difesa anche violente.
Gli individui frustrati trasferiscono su altri soggetti il risentimento e la collera nei confronti delle persone che in origine hanno creato in loro la frustrazione. I soggetti fonte di queste prime gravi frustrazioni, come ad esempio i genitori, il gruppo dei pari ecc., generalmente esercitano sui soggetti vittime un certo grado di controllo psicologico e potere che inibisce ritorsioni dirette. Questi ultimi sfogano quindi la propria collera su altre creature soprattutto se più deboli.
- Variabile 2
Percezione della dimensione fisica della vittima animale a disposizione.
Il maltrattamento avviene quando l’abusatore percepisce le dimensioni fisiche dell’animale come sufficientemente piccole da garantire un sicuro successo all’aggressione ma abbastanza grandi da soddisfarne l’impulso sadico. Banalizzando tendenzialmente, un bambino di 7 anni maltratta lucertole, un bambino di 10 anni maltratta galline o gatti, un adolescente di 16 anni maltratta cani di piccola taglia, un uomo di 30 anni maltratta cani di media o grande taglia, mucche, pecore ecc.
Questa nuova variabile tiene conto di numerose variabili iniziali – età, specie animale, zona del crimine, ecc. – evidenziando che la dimensione della vittima è sempre decisamente più piccola di quella dell’abusatore. L’uso dell’arma non appare importante nel senso che, se la vittima è più piccola del carnefice e quindi facilmente maltrattabile, che ci sia arma o meno non conta ai fini dell’aggressione.
Ciò non conta anche là dove l’uso di armi permetterebbe di agire violenze su animali di dimensioni maggiori in quanto, anche se con l’arma sarebbe tecnicamente fattibile aggredire un animale di grossa taglia, si incrudelisce comunque sull’animale più piccolo.
Anche la specie animale e la zona in realtà non “hanno importanza” nel senso che si maltratta tutto ciò che è abbastanza piccolo e a disposizione, quindi ad esempio galline in zona agricola e gatti in zona residenziale.
- Variabile 5
Tendenzialmente il comportamento violento non regredisce spontaneamente
Il maltrattamento di animali condotto nella minore età è un comportamento che non regredisce spontaneamente con la maturità, anzi si sofistica nel tempo andando in escalation. Quest’ultima implica una sempre maggiore espertizzazione di abusi sugli animali parallelamente allo sviluppo di altre tipologie di comportamenti violenti e criminali generalizzati. Perchè il maltrattamento e/o uccisione di animali regredisca occorre che si combini con una tempestiva e adeguata risposta ambientale di rinforzo negativo.
- Variabile 6
Nulla è trascurabile
Questa variabile racchiude tutti quei casi dove l’abuso su animali non è particolarmente brutale ma l’abusatore ha successivamente effettuato gravi reati su vittime umane per esempio gravi abusi fisici fra cui abusi sessuali. Risulta quindi importante segnalare che anche piccoli maltrattamenti di animali possono poi portare a successivi gravi abusi su vittime umane.
In altre parole anche episodi singoli o maltrattamenti di animali anche molto piccoli – lucertole, pulcini, insetti – possono poi portare a successivi gravi abusi su vittime umane e soprattutto se l’abuso su animali viene reiterato aumenta immediatamente la pericolosità sociale dell’abusatore.
- Variabile 7
Abuso su animali come tirocinio di violenza sull’uomo
Questa variabile racchiude i casi simili dove gravi abusi su vittime umane sono avvenuti dopo numerosi abusi su animali. Risulta quindi ancora più importante segnalare che, se l’abuso su animali viene reiterato, aumenta immediatamente la pericolosità sociale dell’abusatore. Nella continuazione della ricerca si cercheranno quindi quantificazioni precise del fenomeno.
I dati rilevati ad ora evidenziano come tratti caratteristici del profilo Zooantropologico Criminale del Maltrattatore e/o Uccisore di Animali l’essere tendenzialmente:
- maschio;
- con precoci esperienze nell’infanzia e preadolescenza di violenza assistita e/o agita su animali;
- una storia che con alte probabilità contempla esperienze di grave trascuratezza, rifiuto, ostilità;
- una storia precoce nella preadolescenza e adolescenza di comportamenti antisociali generalizzati – utilizzando spesso il fuoco;
- uno stile sadico caratterizzato da forti connotazioni psicologiche proiettive e senso di rivalsa che si generalizzano in seguito anche all’essere umano;
- una forte tendenza al comportamento criminale generalizzato in età adulta;
- mancanza di empatia accurata.
In conclusione, se da una parte affermare che il maltrattamento e/o uccisione di animali sia un preciso indicatore di pericolosità sociale e sintomo di una situazione esistenziale patogena, finalmente oggi anche per l’Italia è il risultato di uno scientifico processo statistico – matematico di analisi del fenomeno, dall’altra la mancanza di un riconoscimento giuridico e sociale all’altezza della sua gravità non consente la necessaria combinazione con una tempestiva e adeguata risposta ambientale di rinforzo negativo.
Del resto, il maltrattamento e uccisione di animali che dalle Polizie Internazionali è considerato un potente indicatore di pericolosità sociale e da “cosa nostra” il tirocinio più efficace per l’iniziazione dei minori alla vita delinquenziale, in Italia, è ancora considerato un reato di serie C o nemmeno percepito come tale.
Di conseguenza, culturalmente parlando, la malavita organizzata avendo capito il LINK dispone di uno strumento in più nel perseguire i propri scopi della società civile e professionale.