La base normativa
L’Unione Europea ha deciso di impostare la normativa quadro in tema di benessere animale sullo strumento della “Direttiva”, vale a dire un atto normativo dell’Unione che normalmente va recepito dagli Stati mediante atti legislativi interni, ma che può avere applicazione diretta quando sufficientemente completa e chiara (cosiddette direttive self executing).
La tutela dei suini è affidata alla Direttiva 2008/120/CE del Consiglio, recepita in Italia con d.lgs 7 luglio 2011, n. 122 il quale riprende interamente la normativa europea, salve alcune specificazioni di adattamento nazionale. Essa sostituisce la precedente Direttiva del 1991 per motivi di maggior chiarezza e organicità e stabilisce le norme minime per la protezione dei suini allevati in sistemi intensivi, ossia “confinati”, mantenuti in ambienti chiusi. Tale specificazione esclude gli allevamenti non industriali, che vedranno applicata la Direttiva genereale “orizzontale” 98/58/CE.
È stato inoltre istituito un Centro di Riferimento per il benessere dei suini con regolamento di esecuzione (UE) 2018/329 finalizzato a sostenere le attività orizzontali svolte dalla Commissione e dagli Stati membri, ai fini dell’applicazione delle normative che stabiliscono prescrizioni in materia di benessere di questo tipo di animali, sia in fase di allevamento che in fase di trasporto e macellazione. Il Centro agisce in contatto con i centri di riferimento nazionali esistenti suddividendo il lavoro in cinque aree di attività: assistenza coordinata, indicatori del benessere animale, studi tecnici e scientifici, corsi di formazione, diffusione di scoperte di ricerca e innovazioni, ed è stato il primo di una serie di Centri specializzati di questo tipo.
Tra le previsioni della Direttiva troviamo anzitutto le regole di gestione degli ambienti: lo spazio minimo individuale che deve essere destinato agli animali è previsto in m2 in base al loro peso, ed il limite minimo più alto tra quelli stabiliti all’art. 3 è di 1 m2 per i suini che pesano più di 110Kg. Per le scrofe e le “scrofette” sono previsti spazi leggermente più ampi, comunque tutti riducibili fino al 10% nel caso di gruppi di 40 o più animali. Troviamo anche l’introduzione del divieto parziale di utilizzo delle gabbie di gestazione per le scrofe (art. 3 par. 1 lett. b), par 4 e 5), che vieta così il permanente confinamento individuale e stabilisce un periodo obbligatorio di qualche settimana in cui vengano detenute in recinti di gruppo, compreso tra una gestazione e l’altra, entrato in vigore per tutte le aziende il 1° gennaio 2013. A partire dalla medesima data sono obbligatorie le nuove disposizioni sulla pavimentazione e l’ultima frase del par. 8 che stabilisce che ogni recinto individuale deve «permettere all’animale di girarsi facilmente» condizione che fino a quel momento non necessariamente era garantita. La normativa prevede poi la suddivisione dei suini anche in base al genere e all’età, stabilendo differenti regole di gestione.
Il livello di affollamento che normalmente si incontra, quindi, negli spazi d’allevamento è elevato e l’esposizione a stress e malattie fisiche e comportamentali è sempre presente. Per questo, sono presenti anche regole relative alla possibilità di confinamento e agli interventi di mutilazione – taglio di coda e denti – per limitare le interazioni aggressive, pratiche sulle quali si tornerà più avanti nel presente articolo.
La considerazione delle esigenze etologiche dei suini
(Rif principale: P. Jensen (a cura di), Etologia degli animali domestici, Milano, McGraw-Hill Companies (Italia), 2011)
Si deve fare preventivamente qualche osservazione sulla natura ed i bisogni dei suini e sulla conseguente adeguatezza, o meno, delle condizioni di allevamento ammesse dalla normativa.
Il suino è uno degli animali più diffusamente e densamente allevati a fini alimentari e gli individui di questa specie sono detenuti quasi esclusivamente in sistemi intensivi. Questo animale in natura vive creando dei piccoli gruppi formati da femmine e cuccioli, mentre i maschi adulti, seppur a volte si possano unire ai gruppi di femmine, di norma tendono a vivere soli o in gruppi di soli maschi: i gruppi sono dinamici e non territoriali ma, allo stesso tempo, al loro interno si creano rigide gerarchie che consentono il mantenimento di interazioni pacifiche. È proprio questo fattore che di norma nei sistemi di allevamento viene a mancare e comporta lo sviluppo di condotte aggressive.
I suini, inoltre, sono animali sociali e propensi all’esplorazione e all’apprendimento, dotati di sensibilità olfattiva simile a quella del cane, oltre ad un udito fortemente sviluppato e ad un ricco repertorio di segnali vocali che permettono una comunicazione relativamente precisa e complessa, sviluppata fin dai lattonzoli per comunicare con la madre.
Su quest’ultimo punto si sono in effetti concentrate le ricerche per individuare i “richiami d’emergenza” che sarebbero indirizzati alla madre e che negli allevamenti si verificano in caso di: isolamento, castrazioni e altre mutilazioni dolorose e quando i suinetti rimangono intrappolati, spesso sotto il corpo della scrofa. Tale ultimo evento si verifica con frequenza negli allevamenti chiusi poiché spazi e capacità motorie sono ridotti, e il forte odore che si sviluppa in tali contesti non permette alla scrofa di individuare con certezza i piccoli: teoricamente le gabbie di allattamento sono state introdotte per diminuire il rischio di schiacciamento, oltre che per facilitare il lavoro degli operatori, ma nella pratica esse comportano tutta una serie di problematiche di salute e di interazione tra madre e figli. Oltre a ciò, per le scrofe è fondamentale la preparazione del nido, attività per cui sarebbe ideale che venissero forniti materiali – per esempio del fieno – e spazio: anche a queste necessità si collegano le previsioni della Direttiva relative al tipo di pavimentazione, costituita normalmente da travetti intervallati da aperture per lo scarico dei reflui e le cui proporzioni devono essere adatte a non far incastrare le zampe gli animali: i criteri sono diversi se si parla di grate destinate ai “lattonzoli”, i suinetti di poche settimane, o di quelle destinate alle scrofe o ai suini svezzati e in fase di crescita. Proprio in relazione alla pavimentazione, sarebbero in teoria previsti anche spazi dove i suini possano coricarsi in maniera confortevole, una zona “dal punto di vista fisico e termico e adeguatamente prosciugata e pulita, che consenta a tutti gli animali di stare distesi contemporaneamente” , e che debbano “avere accesso permanente a una quantità sufficiente di materiali che consentano loro adeguate attività di esplorazione e manipolazione”, oltre all’individuazione di criteri per la riduzione dei rumori e l’illuminazione minima (Allegato I).
In generale, gli interventi di arricchimento ambientale sono insufficienti e gli standard minimi non sono rispettati in quasi in tutti i Paesi: gli animali vivono in generale in ambienti poveri di qualsiasi stimolo.
La condizione delle scrofe
Per quanto attiene alle scrofe, in fase di maternità viene in loro acuito il bisogno, presente in generale in tutti i suini, di dedicare tanto tempo all’esplorazione in ricerca di cibo, al grufolare ed al masticare, attività impossibile in assenza di adeguata lettiera e che non viene soddisfatta dalle miscele fornite come mangime: la frustrazione di questo bisogno comporta la formazione di stereotipie, ossia comportamenti enfatizzati e ripetuti in maniera quasi ossessiva, tra le quali la più frequente è la morsicatura delle sbarre di gabbia o recinto.
Si consideri poi che le scrofe, grazie al divieto parziale di reclusione nelle gabbie singole entrato in vigore nel 2013, dovrebbero vivere in gruppo e subire l’isolamento solo nella prima fase di gestazione e durante parto ed allattamento. Ciò si traduce nella realtà in una quasi continua permanenza in confinamento individuale: l’inseminazione avviene in maniera costante, con una media di 2,2 parti l’anno. La prima inseminazione, infatti, avviene a circa 10 mesi di vita, momento in cui avviene il primo trasferimento nella gabbia di gestazione, che circonda completamente l’animale. Dopo quattro settimane, in base al nuovo “divieto parziale” introdotto dalla direttiva, avviene il trasferimento in un box di gruppo ed infine, dai 3 ai 7 giorni prima del parto, l’animale viene spostato in una gabbia di allattamento in cui rimarrà fino al momento dello svezzamento dei cuccioli, che avviene non prima dei 28 giorni di età. La gravidanza dura 114 giorni (3 mesi, 3 settimane e 3 giorni), l’allattamento dura circa un mese e al termine della procedura si procede a nuova inseminazione appena possibile: un ciclo continuo che perdura circa fino ai 3 o 4 anni di età, momento in cui la produttività comincia a diminuire e la scrofa viene quindi mandata al macello.
L’assenza di arricchimenti ambientali
Tornando agli arricchimenti ambientali, si legge in un dossier del Gennaio 2020 del Centro di Riferimento per il benessere dei suini (EURCAW-Pigs) che
Nella produzione suinicola, il pavimento tipicamente consiste in pavimenti completamente fessurati di plastica, ferro o cemento oppure parte del pavimento sotto la scrofa è in cemento.
A causa dell’utilizzo dei sistemi di svuotamento dai liquami (vacuum slurry systems), materiali per il nido o lettiere non sono largamente utilizzati.
Questa situazione comporta «segni evidenti di frustrazione e stress», il che inibisce la produzione di ormoni e quindi il maggior rischio di gravidanza prolungata, suini nati morti e “crushing” o “overlying” ossia lo schiacciamento dei piccoli dovuto alla noncuranza della madre, che non sviluppa istinti materni, oltre ad una serie di patologie collegate alle disfunzioni ormonali, inclusa la mastite. Il dossier richiama poi tutta una serie di patologie e cause di morte prematura che possono colpire i lattonzoli, dovute principalmente all’eccessiva ampiezza delle figliate.
Mutilazioni e altre pratiche crudeli
Si evidenzi poi che il Centro di Riferimento europeo rileva la costanza delle pratiche di mutilazione dei lattonzoli: la riduzione degli incisivi, praticabile mediante levigatura o troncatura, e il mozzamento della coda. La finalità è quella di limitare le ferite tra lattonzoli che entrano in competizione durante l’allattamento, le ferite alle mammelle della madre dovute allo stesso motivo, le morsicature tra suinetti e suini in fase di crescita e ingrasso. Si tenga presente che questa necessità nasce a causa dell’affollamento, della mancanza di stimoli per alleviare noia e stress e del mixing di gruppi, che porta alla mancata stabilizzazione di rapporti e delle gerarchie e, quindi, alle aggressioni. Infatti, la direttiva esclude la natura routinaria di tali operazioni e stabilisce che vi si possa procedere solo dopo essere già intervenuti con modificazioni ambientali, arricchimenti – con corde e bastoni per il masticamento, palle per il gioco – e interventi sulla densità. Se tutte queste misure fossero già state messe in pratica e si fossero comunque riscontrate delle lesioni, allora vi si potrebbe procedere, ma in via eccezionale (punto 8. dell’allegato I). Nello stesso dossier, invece, si osserva una preferenza nel ricorrervi comunque in via preventiva.
Altra mutilazione largamente praticata è la castrazione degli esemplari di sesso maschile, al fine di ottenere carne che non emani odori sgradevoli sia al maggior controllo del comportamento in fase di sviluppo: si cerca di disincentivare tale pratica, già abbandonata in alcuni Paesi, ma oggi ancora diffusa. Nonostante la direttiva vieti che venga effettuata con “lacerazione dei tessuti” questa tecnica è attualmente inevitabile, dato che è l’unico modo di praticare la castrazione chirurgica. La Commissione europea nel 2011 ha pubblicato con Decisione di Esecuzione un programma di lavoro per finanziare e incentivare dal punto di vista scientifico ed educativo la diffusione di metodi alternativi alla castrazione chirurgica, quali l’immunocastrazione, ossia una forma di vaccinazione, che risulta però più costosa del metodo chirurgico, e la macellazione precoce, quest’ultima però non efficace nel 100% dei casi. EFSA rileva in un Parere del 2004 richiesto dalla stessa Commissione anche la possibilità di procedere ad una selezione di animali con minor produzione di androstenone, la minor esposizione alle deiezioni, e la possibilità di somministrare mangimi appositi. Ancora però queste raccomandazioni rimangono scarsamente praticate.
Riguardo queste mutilazioni, secondo l’art. 8 Allegato I della Direttiva il mozzamento della coda e la castrazione devono essere effettuati sotto anestesia e con somministrazione prolungata di analgesici da parte di un veterinario, o in ogni caso da personale adeguatamente formato, poiché è stato riscontrato negli animali un conseguente dolore immediato e a volte prolungato (11° considerando). Questo obbligo entra però in vigore solo dopo il settimo giorno di vita: nella prassi tutte le operazioni vengono per questo svolte entro il 7° giorno, in generale nei primissimi giorni di vita, senza anestesia né analgesici e senza alcuna prova scientifica che in questo periodo i suini non provino dolore e non subiscano le conseguenze prolungate delle operazioni. Al contrario, è stato accertato da EFSA il dolore immediato e protratto nel tempo a qualsiasi età e sono state osservate conseguenze deleterie legate alla castrazione precoce – problemi di crescita, patologie fisiche e comportamentali, danni al sistema immunitario – conseguenti sia all’operazione in sé che alla mancata produzione di ormoni e si deve presumere una sofferenza prolungata anche rispetto alle altre mutilazioni, data la loro invasività.
Nel 2018 Eurogroup for Animals (EfA) con la campagna EndPigPain ha denunciato la persistenza di mutilazioni routinarie circa nel 90% dei suini allevati in Europa, in completa violazione della normativa e, si denuncia, a fronte di un atteggiamento laissez-faire da parte della Commissione nei confronti degli Stati. Un audit del Dipartimento Generale della salute e sicurezza alimentare (DG SANTE) della Commissione effettuato in Italia tra il 13 ed il 17 Novembre 2017 nel contesto di un progetto generale d’indagine sull’applicazione della normativa europea, riporta il 100% di mutilazioni routinarie della coda nel nostro Paese, ravvisando l’assenza di provvedimenti efficaci e di una strategia nazionale in mano alle autorità competenti al fine di ridurre morsicature e mutilazioni. Si afferma: “attualmente, gli stimoli principali per ogni iniziativa in questo settore provengono dall’industria e dalla ricerca” e che “manca una spinta ufficiale verso la conformità”. Si ravvisa l’assenza di orientamenti dettagliati che permettano di valutare il rispetto della direttiva, la cui applicazione quindi “non è coerente né efficace” e l’uso di dichiarazioni generiche negli atti, nonché la mancanza di verifiche congrue sulle reali condizioni degli allevamenti, il mancato utilizzo di strumenti d’indagine sia su esemplari vivi che post mortem e l’impiego non coordinato degli incentivi cofinanziati dall’Unione, fattori che hanno portato ad una perpetuazione dei casi di inosservanza del requisito di verifica dell’effettiva necessità di ricorrere al mozzamento – quale extrema ratio – e di quello relativo alla fornitura di materiale di arricchimento. L’Italia ha posto in essere, in seguito, dei programmi d’azione al fine di tentare di arginare la situazione, ma, ad oggi, la situazione non è verificabile i quanto non sono stati effettuati nuovi audit di verifica generale come quelli del 2017.
Altri audit della direzione generale hanno riscontrato mutilazioni routinarie attorno al 95% in Germania, 98,5% in Danimarca e Spagna e del 100% in Olanda. (Audit Germania: DG(SANTE) 2018-6445; Audit Spagna: DG(SANTE) 2017-6126; Audit Danimarca: DG(SANTE) 2017-6123; Audit Olanda: DG(SANTE) 2017-6125)
Il personale addetto
Si deve infine anche fare un cenno a una questione spesso non evidenziata, ossia alla previsione in Direttiva della necessità di destinare agli impianti di allevamento personale adeguatamente formato, dato che i suini animali sono emotivamente molto sensibili ad azioni brusche o aggressive e subiscono l‘alterazione delle funzioni metaboliche e del sistema endocrino in seguito allo stress cronico causato da “cattiva manipolazione”. Viene affermato che è fondamentale che vi sia un numero adeguato di addetti e che questi siano formati. La normativa però, sia europea che di recepimento, lascia ampio margine alle modalità di attuazione della disposizione, delegate in Italia alle singole Regioni e Province autonome, e ciò non dà modo di controllare che siano applicati standard idonei e uniformi.
Conclusioni
Attualmente, le problematiche descritte sussistono. E’ del 2022 l’ultimo parere di EFSA che evidenzia le situazioni di sofferenza dei suini caratterizzate da ampia frequenza e protrazione nel tempo, sia negli allevamenti che in fase di trasporto, e vuole offrire una serie di soluzioni mirate e pratiche. Esso si suddivide in paragrafi che trattano separatamente gli animali divisi per età e sesso, e le specifiche problematiche riscontrate – quelle citate nel presente articolo appaiono ancora ben presenti – volendo fornire delle linee guida efficaci, basandosi su solida e ampia documentazione scientifica. Si suggeriscono anche una serie di controlli da effettuare in sede di macellazione per valutare il previo stato di salute e detenzione dell’animale.
La questione legata alle condizioni di vita degli animali negli allevamenti, in fase di trasporto e di macellazione, rimane ancora aperta e non è più rimandabile.
Gli organismi di ricerca europei stanno operando in direzione di riforma, ma il percorso rimane, ad oggi, lungo e farraginoso. E’ fondamentale che i nostri rappresentanti politici, a livello nazionale ed europeo, sappiano e vogliano difendere i traguardi finora raggiunti e che, anzi, si impegnino a spingere oltre i livelli di tutela dei miliardi di animali allevati e trasportati in Europa: al momento questi livelli sono minimi e ancora lontani dal garantire agli animali le necessità sociali, psicologiche e ambientali che avrebbero bisogno di soddisfare. Abbiamo bisogno di una politica decisa e coraggiosa, anche in vista del riconoscimento reale ed effettivo del loro status di esseri senzienti: non mere “cose”, bensì soggetti deboli da tutelare.