Dopo l’uccisione di oltre un milione e mezzo di visoni contagiati negli ultimi mesi (qui il nostro articolo) il Governo olandese rompe gli indugi e comunica di aver deciso di anticipare a marzo 2021 la chiusura degli allevamenti di visoni del Paese, già prevista per legge entro la fine del 2023.
La questione si era posta in quanto i mustelidi — una famiglia di mammiferi carnivori che include oltre al visone la lontra, il tasso, la puzzola, la faina, la martora, il furetto e altri — si sono dimostrati particolarmente suscettibili a Sars-Cov-2, tanto da poter diventare veri e propri “serbatoi” del nuovo coronavirus. Troppo grande quindi il rischio di contagio all’uomo, che peraltro sembrerebbe essersi già verificato in più occasioni; almeno due casi altamente probabili, in relazione ai quali l’OMS ha dichiarato trattarsi dei primi episodi noti di trasmissione di Sars-Cov-2 dagli animali all’uomo.
Nei Paesi Bassi la presenza del virus è stata fino ad oggi riscontrata in almeno 43 aziende — dato aggiornato ad oggi — delle circa 128 attive, pari a un terzo del totale. Da qui la drastica decisione: tutti gli allevamenti di visoni chiuderanno definitivamente alla fine dell’attuale ciclo produttivo, due anni e mezzo prima del previsto. Sono stati stanziati 150 milioni di euro a favore degli allevatori, come indennizzo per la cessazione anticipata della loro attività.
Nel resto del mondo
Altri focolai di Sars-Cov-2 sono stati scoperti — per adesso — in un allevamenti di visoni in Spagna e negli Utah (Stati Uniti). Al momento non vengono riportati casi in Italia, dove sono presenti circa una dozzina di allevamenti.
Le associazioni di categoria hanno posto in essere regole ferree di biosicurezza per ridurre i rischi di potenziali contagi ma se la presenza di Covid-19 diventerà endemica negli altri mustelidi selvatici, queste misure potrebbero rivelarsi insufficienti.
La suscettibilità al nuovo coronavirus sta dando non pochi grattacapi a un settore in forte crisi da diversi anni e potrebbe accelerare il processo di dismissione in corso, quantomeno in Europa. Negli ultimi anni, l’allevamento di animali da pelliccia è stato assediato da proteste sempre più vibranti non soltanto da parte di animalisti ma anche della popolazione locale. Si tratta di un percorso dovuto alla mutata sensibilità verso la sofferenza degli animali, che ha provocato un cambiamento delle abitudini dei consumatori, rendendo le pellicce un capo d’abbigliamento con poco appeal. D’altronde, di recente anche l’alta moda sta progressivamente abbandonando l’uso delle pellicce, convertendosi ad alternative più sostenibili.
A questi cambiamenti è corrisposto un surplus di produzione e un crollo vertiginoso delle quotazioni delle pelli, che negli ultimi anni ha determinato la chiusura di numerosi allevamenti. In Italia sono ancora attivi una dozzina di allevamenti, circa un terzo di quelli presenti un decennio fa.
Attualmente il più importante sbocco per le produzioni europee è il mercato cinese, che comunque è già rifornito dalla produzione interna. Oltretutto, la stessa Cina mostra segnali di cambiamento (quantomeno per quanto riguarda il rapporto con gli animali d’affezione) e il vento potrebbe presto cambiare anche lì.