Introduzione
Lunedì 3 febbraio 2020 il Consiglio Comunale ha regalato ai milanesi il nuovo Regolamento per il Benessere e la Tutela degli animali, che ha quindi cestinato il precedente risalente al 2005.
Quindici anni sono un tempo forse eccessivamente lungo per una città come Milano. La politica è naturalmente disinteressata alle vicende che riguardano gli animali. Discutere e deliberare su deiezioni del cane, pipì sulle facciate (sempre dei cani o gatti), invasione dei piccioni all’interno dei condominii, tutela del canarino e del pesce rosso, della tartaruga, delle aragoste significa affrontare temi bagatellari che assumono importanza quasi vitale solo quando ci si avvicina ad una tornata elettorale per poi ritornare ad essere argomenti del tutto trascurabili o motivo di show televisivo per Cracco, Barbieri, Joe Bastianich, Antonino Cannavacciuolo o mister Vissani. Preconcetta insofferenza nei confronti di qualsiasi limitazione dell’arbitrio umano nei confronti degli animali (come diceva Valerio Pocar).
Nelle dichiarate intenzioni, il nuovo regolamento è stato pensato per svolgere un ruolo educativo e di formazione di una rinnovata cultura del rispetto degli animali in città. Parole forti, importanti, impegnative. Educazione e formazione. Rinnovata cultura del rispetto degli animali. Principi encomiabili che mia auguro non rimangano solennemente ed enfaticamente solo richiamati nella illusoria speranza che da quelli dovranno derivare, come per magia, i comportamenti delle persone.
Il vero rischio che intravedo nel Regolamento or ora approvato è che la sua natura possa essere concepita come qualcosa di retorico e che le disposizioni in esso contenute (o la più parte di esse) rimangano delle idealità, peraltro sintesi o mediazione di temi assolutamente divisivi. Rischio che mi conduce ad una domanda diretta, inevitabile: quale è l’utilità di un simile regolamento? Prendendo a prestito una definizione davvero efficace di uno studioso del diritto amministrativo i regolamenti comunali spesso assomigliano più a impolverati paralumi che a fonti di diritto. Invero hanno una potenzialità non trascurabile intervenendo su una serie di questioni essenziali per il contesto urbano di riferimento che è in continua e non arrestabile evoluzione.
Nei regolamenti comunali che tutelano i diritti degli animali sono contenute disposizioni finalizzate alla tutela della salute pubblica, dell’ambiente, al rispetto e alla difesa degli animali da ogni forma di maltrattamento e prevaricazione. In particolare, i regolamenti sui diritti degli animali pongono inevitabilmente problemi di raccordo con la normativa nazionale, regionale e comunitaria facendo emergere quello che è un problema importante e limitativo in relazione al fondamento del potere normativo dell’ente locale in materia (il rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto).
Nel comunicato ufficiale emesso dal Comune di Milano per annunciare l’approvazione del nuovo regolamento si legge testualmente che l’Amministrazione sé è così dotata di uno strumento aggiornato, utile e dinamico in grado di recepire la crescente sensibilità nei confronti delle tematiche relative alla tutela degli animali, all’interno delle competenze conferite dalla normativa ai comuni. Parole piene di irresistibile fascino. Parole che già nel titolo con cui nasce il regolamento hanno in sé una promessa. Benessere e tutela degli animali. Una promessa facile. Chi potrebbe non convenire sul fatto che che gli animali non debbano soffrire. E soprattutto che male c’è a riconoscere questo diritto? Spesso un diritto così inteso non dice in modo chiaro a chi esso viene imposto, che cosa comporta e in che modo viene imposto. Perchè ogni progresso nella tutela di un diritto ha un suo contrappeso, provoca cioè la regressione della tutela di un altro diritto o interesse. Il rischio è quello di una normativa simbolica, che serve se non viene applicata. Quel gioco di specchi attraverso cui una società cerca di mostrarsi migliore di quanto effettivamente non sia.
Non possiamo non domandarci se il regolamento appena approvato sia finalizzato a regolare i rapporti tra animali e umani, nel reciproco rispetto, oppure voglia imporre meramente divieti e obblighi. Ecco allora la speranza, quella cioè che il regolamento appena approvato non abbia solo accertato e confermato l’esistente ma abbia avuto il coraggio di mutare rotta, allontanandosi da quella prospettiva antropocentrica che non pochi danni ha fatto. Al netto di tutte quelle discussioni politiche forse eccessivamente retoriche, pretestuose, ricordando sempre che «la discriminazione accade quando un certo gruppo si crede migliore degli altri e così facendo chiude occhi e orecchie alle altrui ragioni, alimentando conflitto e aggressività» (Arun Gandhi, da “Il dono della rabbia”).