Detenzione e tutela/benessere degli animali

Un capitolo, il terzo, farcito di prescrizioni. Si apre con l’articolo 7 che contiene quelle generali, rivolte non ad un particolare tipo di animale ma agli animali tutti considerati. Unitariamente.

Una breve premessa di metodo. Mi limiterò a sfiorare i contorni generalissimi delle problematiche che si sono evidenziate nelle fasi di preparazione e che verosimilmente rivivranno nei fatti. Cercherò per quanto possibile di concentrare l’attenzione su quelle questioni che prima facie appaiono più spinose.

L’articolo di apertura (il n. 7) è di ordine generale (“Prescrizioni generali per la tutela del benessere degli animali da affezione”). L’art. 8 è dedicato ai cani e gatti. Il nove agli equidi, il dieci agli uccelli, l’undici a pesci, anfibi, rettili e invertebrati a vita acquatica e il dodici ai rettili (specie terricole). Invero le prescrizioni generali di cui a questo articolo sono non dissimili a quelle degli altri articoli (dal 9 al 12). Si richiamano, per non dire che si assomigliano quando non si ripetono. E questo potrebbe disvelare, come dirò subito dopo, un certo limite di queste prescrizioni.

Il primo comma dell’art. 7 contiene una premessa scontata. Chi detiene, anche solo temporaneamente e a qualunque titolo, un animale d’affezione assume l’obbligo e la responsabilità di provvedere alla sua cura e di garantirne il benessere, nel rispetto delle sue caratteristiche fisiologiche, ecologiche ed etologiche nonché delle norme vigenti.

Già il concetto di detenzione temporanea e a qualunque titolo di un animalecomporta non pacifici problemi di interpretazione (vale l’art. 2052 del codice civile?). Quanto alle richiamate caratteristiche fisiologiche, ecologiche ed etologiche che devono (dovrebbero) essere rispettate da colui che interagisce con un animale mi permetto obiettare che per essere rispettate queste caratteristiche devono essere quantomeno conosciute o conoscibili. E tanto fa sorgere in chi scrive qualche legittimo dubbio che inevitabilmente si ripercuote sulla reale efficacia anche solo persuasiva di tale dogma.

I commi successivi al primo anche laddove costituiscono di fatto un appesantimento sanzionatorio di quanto già previsto dalla normativa penale (mi chiedo se utile quanto a deterrenza) appaiono mere desiderata, assolutamente non valutabili e/o verificabili e/o accertabili nella più parte delle situazioni se non a seguito di controlli mirati o di routine all’interno di negozi e/o strutture.


Il divieto del collare a strozzo

Art. 8. Prescrizioni per la tutela del benessere dei Cani e dei Gatti
Comma 1 b: è vietato l’utilizzo del collare a strozzo, detto anche a scorrimento completo, fatta salva la necessità di utilizzo nei casi di adempimento di un dovere (per es. forze dell’ordine, soccorso) o per ragioni di sicurezza o tutela dell’incolumità pubblica o in caso di necessità. Il divieto di utilizzo del collare a strozzo, con le deroghe previste, si applica trascorso un periodo di 6 mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento. Il trasgressore è punito con sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 40.

Vi sono delle situazioni che ciclicamente si ripropongono, tornano alla ribalta. Prendono la scena. Se ne discute animatamente. A volte la discussione giunge all’orecchio del legislatore. Quello nazionale, regionale, locale. È il caso delle due questioni affrontate dall’articolo 8. Collare a strozzo e patentino per cani pericolosi.

Il primo comma al punto b) poneva nella prima stesura un divieto all’utilizzo di collari elettrici, a strozzo e/o con punte interne, o comunque qualsiasi altro strumento di contenzione che potesse provocare dolore o sofferenza all’animale. È rimasto solo il divieto del collare a strozzo che è quello che si stringe attorno al collo obbligando il cane a fermarsi. Per alcuni si tratterebbe di una pratica che configurerebbe un ipotesi di maltrattamento; per altri uno strumento necessario, se utilizzato con buon senso. La discussione è stata lungamente dibattuta in seno al Consiglio Comunale e sono piovuti una serie di emendamenti (molti non approvati). Premettendo che non esprimo alcuna valutazione di merito sulla bontà o meno di questo “strumento” (considerando chi scrive finanche il guinzaglio come un male purtroppo necessario) mi limit solo a riproporre quello che è stato il dibattito e a cimentare la norma che è stata partita dal Consiglio.

Il tema non è da poco: dal pari del collare elettrico vi è o non vi è evidenza scientifica del nesso di causalità tra azione del collare a scorrimento e danno all’animale? Si è detto che l’uso improprio dovuto a intensità o modalità di tale collare (come per ogni altro mezzo di contenzione) è da considerarsi il primo e principale elemento di pericolo per il cane il cui benessere e la cui salute rimangono affidati prevalentemente all’azione dell’uomo e non a quella delle strutture e attrezzature utilizzate. Il che sarebbe a dire, a mio modesto avviso, che se il pilota di MotoGp corre in modo troppo disinvolto questo non significa che il motociclismo sia — di per se — uno sport pericoloso. Ma si tratta di punti di vista. Alcuni ne hanno finanche sostenuto la necessarietà per la conduzione in sicurezza del cane ipotizzando una responsabilità in capo al Comune di Milano nella ipotesi di eventuali danni a terzi per l’eventuale divieto riutilizzo riferito al calare a strozzo.

L’epilogo è quello di cui all’articolo in commento. Divieto di utilizzo se non per ragioni di sicurezza o tutela dell’incolumità pubblica o in caso di necessità. Tradotto, è stato sancito il divieto del tutto e del contrario del tutto. Nessuno ha spiegato cosa sia l’incolumità pubblica e quali siamo i presupposti o parametri del caso di necessarietà. Non credo che tarderà a radicarsi una impugnazione avanti al Tar milanese.

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