Alla famiglia un ruolo centrale
La citazione di Ressler ci consente di muovere altresì una riflessione circa il ruolo, che potremmo definire del tutto cruciale, spettante alla famiglia. Il nucleo familiare riveste un ruolo fondamentale in quanto esso rappresenta il primo gruppo sociale con cui il bambino interagisce e da cui apprende i primi modelli di socializzazione e comportamento. Pertanto, se all’interno dello stesso appare normale maltrattare gli altri ed in particolare gli animali, con tutta probabilità tale atteggiamento verrà emulato, in quanto percepito come normale, dal bambino che lo farà proprio. Una ricerca condotta su 267 studenti universitari americani ha rilevato che il 45% di questi era stato testimone durante l’infanzia e/o l’adolescenza di atti crudeli nei riguardi degli animali e che il 17% aveva compiuto atti di violenza verso di loro; tra questi ultimi la maggioranza degli autori delle violenze era stata anche testimone. La dottoressa Camilla Pagani dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, ha condotto uno studio sugli effetti psicologici derivanti dall’esposizione alla violenza sui bambini e sugli adolescenti.
Dalla ricerca è emerso che le conseguenze più significative di tale esposizione possono essere costituite dallo sviluppo di comportamenti aggressivi e antisociali, da difficoltà nei rapporti sociali nonché da una “assuefazione” nei riguardi della violenza.
Assistere ripetutamente a comportamenti violenti può infatti condurre ad una vera e propria desensibilizzazione nei confronti della violenza stessa con gravi ripercussioni sulla capacità di immedesimarsi negli altri, altrimenti detta empatia.
Il termine empatia deriva dal greco “εμπαθεία” e come si può evincere dall’etimologia stessa rappresenta la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui. Essa rappresenta lo strumento più efficace per prevenire la violenza nei rapporti intraspecifici ed interspecifici in quanto ci consente di calarci nel sentire dell’altro, altro che non è solo l’uomo, ma anche l’animale: l’essere vivente e senziente.
L’importanza del legame empatico uomo-animale è stata perfettamente colta dalla criminalità organizzata che sfrutta tale relazione al fine di iniziare alla vita delinquenziale i minori. In particolare attraverso la c.d. “pedagogia nera” utilizza gli animali per impratichire i piccoli nuovi affiliati annientando la loro sensibilità e il loro senso empatico, allenandoli ad ogni genere di tortura e all’omicidio. Ed è questo macabro tirocinio uno dei motivi per cui la criminalità organizzata gode di un potere pressoché incontrastato: essa può infatti contare su soggetti pronti a compiere qualsiasi efferatezza in quanto da sempre abituati alla crudeltà.
A proposito della violenza agita da parte dei bambini nei confronti degli animali è opportuno operare un distinguo tra crudeltà apparente e aggressività patologica; la prima riguarda quei comportamenti che i bambini pongono in essere mossi da una curiosità che potremmo definire “esplorativa”, che li porta ad esempio a staccare le code alle lucertole o a infierire su piccoli insetti.
Sebbene tali atteggiamenti non siano da ascriversi a veri e propri atti di crudeltà, risulta comunque opportuno disincentivarli cogliendo l’occasione di impartire, nel rispetto dell’animale, una lezione di compassione nei confronti dell’altrui sofferenza perché, occorre sempre ricordarlo, la sofferenza non conosce specie.
La seconda, invece, si manifesta laddove i comportamenti violenti del bambino nei confronti degli animali siano posti in essere in mancanza di una vera e propria minaccia, ma al solo scopo di soddisfare un sadico piacere. Sovente però, a comportamenti così diversi, viene attribuita la medesima scarsa importanza, sottovalutando in questo modo segnali allarmanti e rivelatori, soprattutto laddove la violenza agita nei confronti dell’animale si contraddistingua per efferatezza e presenti delle anomalie circa la tipologia e la frequenza.
L’importanza di tali condotte è purtroppo spesso sottostimata, al contrario esse andrebbero profondamente indagate in quanto, così come evidenziato dalla neurologa e criminologa Giovanna Bellini.
Generalmente infatti il comportamento violento non regredisce spontaneamente, anzi tende a perfezionarsi nel tempo; si tratta cioè di una vera e propria escalation. Interessante citare quanto emerso da uno studio del CNR , ossia che in Italia il 16,7% dei ragazzi di età compresa tra i 9 e 18 anni ha dichiarato di aver compiuto atti di violenza su animali almeno una volta nella vita e che una volta su cinque la ragione di tali gesti sia stata la semplice ricerca di divertimento.
I bambini e gli adolescenti che si dimostrano crudeli verso gli animali hanno una probabilità su tre di manifestare in età adulta comportamenti ripetutamente feroci, pericolosi e criminali.
Dalla ricerca è inoltre risultato che: il 31% degli atti di violenza sugli animali è compiuto da minorenni; il 94 % degli autori delle sevizie è di sesso maschile e il 4% ha meno di 12 anni. Significativo inoltre notare che il 21% dei casi di crudeltà verso gli animali avviene in un contesto familiare del pari violento.