Kim Deachul / Unsplash

Menù vegan nelle scuole, facciamo chiarezza

Il Ministero è intervenuto per richiamare i Comuni al rispetto del diritto di scelta dei genitori.
Avv. Alessandro Ricciuti

Avv. Alessandro Ricciuti

Presidente di Animal Law Italia.

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I genitori hanno il diritto di scegliere con quali valori far crescere i propri figli e quando si tratta di educare al principio del rispetto altrui, questa scelta passa anche dalla tavola. Attraverso un’alimentazione esclusivamente vegetale, è infatti possibile trasmettere un vero e proprio sistema di valori legato all’empatia verso gli animali, che abitua anche al riconoscimento della sofferenza dei più deboli e alla tolleranza verso le diversità.

Del resto, è oramai accertato che la scelta vegana è perfettamente salutare e si può adottare sin dall’infanzia, se unita al supporto di pediatri esperti che guidino i genitori nella scelta di un regime alimentare bilanciato. Migliaia di famiglie in tutta Italia ne sono l’esempio, guidando questa rivoluzione a tavola, che è anche una evoluzione pedagogica. A Milano un asilo vegano nato da pochi mesi è stato subito preso d’assalto dai genitori, consapevoli della valenza positiva dell’alimentazione vegetale sulla crescita dei propri figli.

Spesso purtroppo il rispetto di questa scelta, che è innanzitutto etica, incontra ancora notevoli resistenze nelle mense scolastiche, nonostante le Linee Guida del Ministero della Salute sulla ristorazione scolastica del 2010, redatte con il contributo dell’Istituto nazionale per la ricerca e la nutrizione stabiliscano espressamente che le mense scolastiche devono assicurare anche «adeguate sostituzioni di alimenti correlate a ragioni etico-religiose o culturali», precisando inoltre che tale diritto consegue alla semplice richiesta dei genitori, senza necessità di alcuna certificazione medica.

Le linee guida sono state approvate come intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Comuni e sono quindi pienamente efficaci in tutta Italia. Ma non solo: il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione” sottolinea «l’importanza di promuovere il consumo di alimenti vegetali in alternativa a quello degli alimenti di origine animale», come misura volta a tutelare sia l’ambiente che la salute umana.

Una formulazione così chiara delle norme non lascia spazio ad alcuna interpretazione e la previsione del diritto come assoluto, senza indicazione di possibili limitazioni, impedisce ai Comuni di assoggettarne la fruizione a valutazioni discrezionali. Nonostante ciò, pressappochismo, ignoranza o semplice lassismo hanno ostacolato in più occasioni le richieste dei genitori di alternative ai pasti tradizionali. Con eccezione di alcune isole felici come Milano, in molti comuni sono state necessarie innumerevoli diffide stragiudiziali prima di vedere riconoscere questo diritto.

Addirittura, nel maggio 2015 i genitori di un bambino vegano di Merano avevano dovuto ricorrere al Tar di Bolzano per far dichiarare illegittima l’espulsione dall’asilo nido del proprio figlio, stabilita dopo che la madre si era rifiutata di rivolgersi al pediatra per far certificare «lo stato clinico del bambino e l’assenza di carenze nutrizionali», come richiesto dal Comune.

Nelle scorse settimane, aveva fatto parlare la risposta del Sindaco di Senigallia ad una mamma che aveva richiesto il menù vegano per il proprio figlio in una scuola cittadina. Nella sua lettera, il primo cittadino della cittadina marchigiana indicava il diffondersi di diverse abitudini alimentari, alcune del tutto improbabili, come impedimento alla possibilità per l’amministrazione comunale di concedere alternative adatte alle esigenze etiche delle famiglie.  Assecondare ogni richiesta comporterebbe difficoltà organizzative e un inevitabile aumento dei costi per il servizio; da qui la conclusione di non voler accogliere la richiesta, con la precisazione che l’unico modo per ottenere menù alternativi sarebbe la sussistenza di «specifiche esigenze sanitarie». Qui potete leggere i dettagli e gli svilupi della vicenda, peraltro ancora aperta.

Di recente la deputata Beatrice Brignone aveva presentato sull’argomento un’interrogazione parlamentare, diretta al Ministero della Salute, denunciando che molti comuni anche importanti come Parma, Bologna, Torino, Rimini pretendevano la dichiarazione di un medico come requisito per erogare pasti privi di alimenti di origine animale, con grave discriminazione rispetto ai genitori che non richiedono una dieta differenziata. Si sottolineava inoltre che la Regione Emilia-Romagna non aveva modificato le proprie linee guida, precedenti a quelle nazionali, che ancora subordinano la concessione di una dieta vegana o vegetariana alla richiesta di entrambi i genitori, con sottoscrizione di un apposito modulo di consenso informato.

Nella risposta scritta, il Ministero si era detto conoscenza della problematica e che avrebbe provveduto a sollecitare le Regioni al rispetto delle Linee Guida. Finalmente, il 5 maggio 2016 è intervenuta a fare chiarezza una nota ufficiale, che suona come una tirata d’orecchie, richiamando Comuni e Regioni al rispetto delle Linee Guida.

Sembra quindi che la questione possa dirsi finalmente risolta, con il richiamo all’ordine dei comuni indisciplinati. Da parte nostra, continueremo a vigilare, raccogliendo segnalazioni e intervenendo in casi come quelli che purtroppo si sono verificati fino ad oggi.

Non perdiamoci di vista!

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