di Gabriele Sindona e Lisa Ladurner
Nel cuore della nostra storia con gli animali, un’ombra lunga si estende: la pratica della selezione genetica. Una trama tessuta sin dagli albori della convivenza umano-animale. In questo intricato racconto, abbiamo plasmato gli animali da compagnia e da allevamento, spingendo le caratteristiche fisiche e comportamentali oltre il limite, con un risultato che spesso sconfina il buon senso.
Immagina galline capaci di produrre 300 uova all’anno, un risultato ottenuto attraverso ibridazioni che sfidano le stesse leggi della natura. E mucche modificate per generare 12000 litri di latte all’anno, trasformate dal tocco dell’uomo per raggiungere livelli di produttività originariamente impensabili per un bovino.
Ma ogni manipolazione ha un prezzo, e gli animali ne portano il peso. Le galline ovaiole affrontano osteoporosi, perdita del piumaggio e la crudele FLHS, una malattia che si manifesta attraverso emorragie del fegato. I bovini da latte, alterati nella loro struttura fisica, scontano il tributo con mastiti, infezioni e malattie metaboliche.
Perfino gli animali da compagnia, prodotto di incroci ripetuti nei secoli, portano sulle spalle gravi patologie ereditarie. Nel loro caso, infatti, oltre ad una selezione finalizzata alla funzione pratica di cui l’uomo aveva bisogno (caccia, riporto, salvataggio, pastorizia, guardia) dalla fine dell’800, anche le caratteristiche estetiche hanno iniziato ad influire sugli incroci, per lo più a scopo commerciale, provocando danni ingenti a causa dell’accoppiamento forzato di razze diverse o della stessa razza per accentuare o eliminare determinate caratteristiche.
«Se consideriamo che il Chihuahua pesa 0,9 kg e può stare in una tazza di tè, mentre l‘Alano pesa 91 kg ed è grosso 100 volte di più, la gamma più ampia osservata in una specie di mammiferi, possiamo incominciare a capire l’impatto che l‘uomo ha avuto sul cane domestico. Ad oggi, sono state trovate 19 milioni di varianti genetiche uniche nel genoma canino» (Jackson HA. Food allergy in dogs – clinical signs and diagnosis. EJCAP. 2009;19(3):230-33 ).
In particolare, le disfunzioni più facilmente riscontrabili e manifeste, sono quelle dei cani cosiddetti “brachicefali”, dal greco brakhys (corto, breve) e képhalos (testa). In nome della “moda” e del discutibile gusto estetico umano sono stati ibridati fino all’esasperazione, ottenendo soggetti con gravi problemi cardiaci, respiratori, articolari e incapaci di riprodursi autonomamente.
A tracciare fortunatamente il confine tra ciò che possiamo e ciò che dovremmo, emergono provvedimenti ed articoli legislativi che vanno ripristinando in maniera sempre più equa e corretta, la delicata bilancia tra il nostro desiderio di controllo e il rispetto dovuto a chi non può parlare.
La situazione nei Paesi Bassi
Proprio in quest’ottica Piet Adema, Ministro della Cultura, Natura e Food Quality dei Paesi Bassi, ha recentemente dichiarato che si sta impegnando affinché venga vietato il possesso di specifiche razze canine nonché il loro utilizzo in foto pubblicitarie e sui social media. Citando le sue parole: «Rendiamo la vita infelice agli animali innocenti, semplicemente perché pensiamo che siano belli e carini…Ecco perché oggi stiamo facendo il grande passo verso un’Olanda in cui nessun animale domestico dovrà soffrire a causa del proprio aspetto».
Questo sarebbe un ulteriore passo avanti di un processo avviato già nel 2014 quando, su esplicita richiesta dell’organizzazione professionale dei veterinari nei Paesi Bassi (KNMvD) era stato imposto il divieto di allevamento di animali che soffrono di problemi che scaturiscono da una pura ricerca estetica, arrivando ad oggi a vietare che i cani con il muso più corto della metà del cranio vengano allevati.
Qui di seguito alcune delle caratteristiche elencate nell’articolo 3.4 del “Besluit houders van dieren” ovvero il Decreto Detentori di Animali dei Paesi Bassi, nel quale vengono descritte in maniera pedissequa e ben dettagliata:
- il cane produce rumore quando respira a riposo;
- vi è un restringimento da moderato a grave delle aperture nasali;
- è presente un relativo accorciamento nasale con un rapporto cranio-facciale inferiore a 0,3;
- si riscontrano sintomi di infiammazione in uno o entrambi gli occhi legati alla presenza della piega nasale.
Si compie quindi una violazione dell’articolo 3.4, primo e secondo comma, del Decreto Detentori di Animali, se vi è la presenza in almeno uno degli animali genitori di una o più delle caratteristiche menzionate. I veterinari stessi che avvallino o si rendano partecipi di un accoppiamento che rientri nelle condizioni specificate dalla norma commettono un crimine, come specificato in una circolare governativa denominata “Criteri per l’attuazione dell’art. 3.4. Decreto detentori di animali con animali da compagnia”.
Le polemiche da parte degli allevatori ovviamente non sono mancate. Il Presidente della FCI (Federazione Internazionale Cinologica) Tamás Jakkel, fa presente, attraverso una lettera aperta indirizzata al Raad van Beheer (RvB, il Kennel Club Olandese), il suo disappunto riguardo alla mancanza di coinvolgimento preventivo della comunità cinologica internazionale. La proibizione delle razze, secondo il presidente, comporterebbe l’impossibilità per gli allevatori professionisti di agire nell’interesse di tali razze. Jakkel avverte inoltre che: «una vasta percentuale di cani nascerebbe all’interno di nuclei familiari isolati, senza alcuna affiliazione a enti ufficiali, con conseguenze drammatiche sulla salute generale di questi cani…una volta che il pool genetico registrato è perso, il controllo di qualità sarà irrimediabilmente compromesso per sempre».
La situazione in Norvegia
Volgendo lo sguardo più a nord, invece, nello specifico in Norvegia, due razze brachicefale sono state oggetto di una recente sentenza da parte della corte suprema norvegese. Nel 2018, la Animal Protection Norway, una delle associazioni animaliste più vecchie del paese scandinavo, ha portato avanti un’azione legale contro il Norwegian Kennel Klub, associazione che rappresenta gli allevatori canini norvegesi e, sostenendo che l’allevamento di tali razze violasse la legge di tutela degli animali.
Le razze oggetto della vicenda giudiziaria specifica sono il Cavalier King Charles Spaniel e il Bulldog inglese.
La prima sentenza in merito alla questione è stata emanata dalla corte distrettuale di Oslo nel 2022 la quale ha stabilito che tutte e due le razze hanno delle caratteristiche genetiche che sono contrarie alla tutela degli animali, in particolare all’art 25 del “Animal Welfare Act”.
Questa legge prevede, infatti, che l’allevamento dovrebbe «incoraggiare caratteristiche di razza che portano ad animali robusti che godono di una buona salute». Inoltre, l’allevamento di razze dovrebbe essere evitato qualora porti a modifiche genetiche che hanno un effetto negativo sulle funzioni fisiche e psichiche che riducono la capacità dell’animale di mostrare comportamenti naturali per la specie in questione.
Abbiamo approfondito il contenuto della sentenza emessa dal Tribunale di Oslo in un precedente contributo.
Gli esempi di questi due paesi non esauriscono i casi in cui il legislatore è intervenuto a tutela delle razze brachicefale, cercando di limitare gli effetti negativi sulla loro salute.
Con la legge introdotta nei Paesi Bassi e la sentenza norvegese tuttavia si delinea sempre di più una sensibilità verso la questione delle razze brachicefale, anche se la popolarità di tali razze nei paesi occidentali continua purtroppo ad essere ancora elevata. Allo stesso modo ci auspichiamo che questo tipo di sensibilità venga esteso anche agli animali da allevamento. Occorrerebbe infatti che venisse presa in considerazione da parte dei legislatori europei, l’ipotesi di applicare delle norme che tutelino anche il benessere di questa bistrattata categoria, vietando incroci e manipolazioni genetiche esasperate che portano ad una super produzione a discapito della loro salute.
Gli autori
Gabriele Sindona
Laureato in giurisprudenza, vegano, siciliano e attualmente praticante avvocato. Durante il proprio percorso accademico, ha focalizzato i suoi studi sull’approfondimento delle questioni etiche e giuridiche relative al mondo animale. Una citazione dell’eminente giurista britannico Jeremy Bentham, “la domanda non è se possano ragionare, né se possano parlare, ma se possono soffrire” rappresenta la scintilla che lo spinge ad impegnarsi nell’ambito legale ed a partecipare come attivista ad iniziative di sensibilizzazione sulla tematica dei diritti animali.
Lisa Ladurner
L’amore per gli animali, l’interesse per le lingue e le culture, assieme agli studi di diritto, mi hanno portato a dedicare parte del mio tempo ad Animal Law Italia.