Statua di Charles Darwin seduto
dan_wrench/iStock

Homo sapiens: la specie “più evoluta”?

Tra storia e filosofia, capiamo insieme gli ostacoli che la teoria dell’evoluzione di Darwin ha dovuto superare.
Federico Crisetig

Federico Crisetig

Laureato in scienze filosofiche. Durante il mio percorso accademico ho approfondito questioni di etica, soffermandomi specialmente sulla decostruzione della morale antropocentrica poiché, come scrive Friedrich Nietzsche, "è evidente che ogni creatura diversa da noi percepisce altre qualità e quindi vive in un mondo diverso da quello in cui viviamo noi. Le qualità sono le idiosincrasie proprie di noi uomini: pretendere che queste nostre interpretazioni e valori umani siano valori universali e forse costitutivi è una pazzia ereditaria della superbia umana".

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Tutti conoscono e condividono, salvo rare eccezioni, queste parole di Charles Darwin: «l’uomo nella sua arroganza si crede una grande opera degna dell’intervento di una divinità, credo sia più umile e più corretto considerarlo creato dagli animali»1Cit. C. Darwin, Charles Darwin’s Notebooks, a cura di P.H. Barrett, P.J. Gautrey, S. Herbert, D. Kohn, S. Smith, British Museum (Natural History)-Cornell University Press, Ithaca, New York, 1987, pp. 196-197 (traduzione mia).. Ma l’evoluzionismo fu effettivamente in grado di debellare l’atavico pregiudizio che vede in Homo sapiens il vivente semidivino, l’apogeo del mondo naturale e dunque l’unico essere degno di considerazione morale?

L’evoluzione: una continua ramificazione imprevedibile

Indubbiamente l’Origine delle Specie, pubblicata dal naturalista inglese nel 1859 dopo vent’anni di duro lavoro tra collezione di evidenze e perfezionamento di ipotesi e argomenti, seppe dare il colpo di grazia al tradizionale fissismo creazionista, alla netta e incolmabile separazione tra le differenti specie plasmate personalmente da Dio. Tuttavia ciò non basta a cogliere la carica eversiva insita nella rivoluzione darwiniana. Non solo apparteniamo all’unico, colossale albero genealogico della vita, ma siamo un ramo qualsiasi, non il punto apicale, siamo un’occasione tra le illimitate potenzialità di metamorfosi del bios, non la sua compiuta, suprema realizzazione. La teoria della discendenza con modificazione per selezione naturale esclude qualsiasi scopo, direzione, destinazione dell’annoso e complesso svolgimento del processo evolutivo: una piccola mutazione si presenta in un individuo permettendogli di interagire con un aspetto della propria nicchia ecologica meglio dei coinquilini, ossia gli consente di riprodursi più di loro; alcune di queste variazioni favorevoli vengono ereditate dai suoi numerosi discendenti che potrebbero a loro volta presentare mutamenti adattativi, contribuendo così alla trasmutazione del camaleontico universo dei viventi. L’evoluzione è una continua ramificazione imprevedibile, improvvisata di volta in volta dall’innesto di un singolo esemplare divergente in un intricato, particolare e mutevole intreccio di relazioni tra innumerevoli corpi, sia viventi che inerti. Ciascun residente del nostro pianeta è prodotto da tale diversificazione adattativa, infatti, come scrive il filosofo Gianfranco Mormino, «da un punto di vista evolutivo, ogni individuo attualmente esistente, per il solo fatto di esserci, ha i mezzi per farlo, che si tratti di un filo d’erba, di una balena o di un essere umano» 2Cit. G. Mormino, Storia della Filosofia Morale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020, p. 178..

Un dogma difficile da scalfire

Davanti allo sguardo impietrito della raffinata civiltà vittoriana e dell’intero panorama occidentale, Darwin smantellò minuziosamente la cosmologia tradizionale: non solo la distinzione essenziale tra le specie, ma soprattutto la loro disposizione gerarchica, la scala naturæ, si dimostrò un abbaglio. Immediatamente gli impetuosi ripieghi atti a impedire l’archiviazione della consolidata supremazia dell’uomo assediarono l’eresia darwiniana: tanto i forsennati detrattori del biologo inglese, quanto i suoi sostenitori più convinti, tra cui il suo mentore, il noto geologo Charles Lyell, osteggiarono vigorosamente l’inclusione esaustiva dell’umanità nella storia naturale della vita. Un ferreo dogma non era passibile di critica: la nostra specie manifesta nitidamente il proprio statuto eccezionale, privilegiato, superiore, palesa la sua irriducibilità al mero essere animale.

Il filosofo inglese Herbert Spencer si assunse questo compito ergendosi a massimo promotore di una prolifica traduzione dell’antica prospettiva antropocentrica nel linguaggio scientifico moderno: l’evoluzione è sviluppo, elevazione, perfezionamento. Nel 1852 apparve sulle pagine del settimanale The Leader un breve articolo intitolato L’Ipotesi dello Sviluppo, uno scritto troppo progressista per attecchire in un contesto saldamente ancorato al creazionismo, ma sufficientemente conservatore quando sei anni dopo tale paradigma fu esautorato dalla travolgente irruzione di Darwin. Secondo Spencer ogni vivente acquisisce miglioramenti strutturali sforzandosi di sormontare tutti gli ostacoli esterni per poi lasciare il proprio patrimonio anatomico alla progenie sicché questa lunga, lineare serie di vittorie possa culminare nella genesi dell’essere “più adatto”, il “più evoluto”, ossia l’Homo sapiens. La vita non si ramifica in base alle mutazioni ereditabili di un esemplare utili nella propria nicchia, bensì, lottando per sopravvivere nell’ambiente, tende a complicarsi, ad articolare le proprie capacità e il proprio corpo, tende a crescere, a maturare, a umanizzarsi.

Siamo la specie “più evoluta”?

Questa rivisitazione della teoria di Jean-Baptiste Lamarck, il primo teorico dell’evoluzione, godette di un successo eclatante, si annidò fermamente tanto nell’immaginario popolare quanto nell’élite intellettuale. La propagazione virale dell’evoluzionismo spenceriano coinvolse molte discipline, tra cui una nutrita schiera di biologi determinati a ridimensionare, o persino a rinnegare, l’azione della selezione naturale nel periodo denominato “eclissi del darwinismo” 3Cfr. J. Huxley, Evolution: The Modern Synthesis, George Allen & Unwin Ltd, Londra, 1942, pp. 22-28.. A cavallo tra il XIX e il XX secolo la visione rivoluzionaria di Darwin fu quasi totalmente oscurata dal narcisismo antropocentrico, dal moralismo reazionario dell’accademia scientifica, assolutamente indisposta ad ammettere di essere soltanto una delle infinite forme di vita possibili.

Sebbene il verdetto della storia premiò Darwin quando la sua celebre teoria trovò il perfetto connubio con le innovative scoperte della giovane e promettente scienza genetica, e nonostante ognuno di noi, o quasi, si identifica come orgoglioso discendente dell’opera del biologo inglese, risulta ancora problematico rispondere al quesito con cui si apre questo articolo. Tutt’ora lo spietato asservimento dei nostri fratelli animali ripropone le consuete configurazioni del mattatoio, del laboratorio, del circo, ecc. e la pressoché assoluta sordità alle atroci grida di dolore emanate da questo inferno terreno dimostra che, benché non abbiamo prova o ragione di attribuirci la boriosa etichetta di specie “più evoluta”, continuiamo a rivendicare a gran voce una posizione privilegiata sulla Terra e, di conseguenza, il diritto di estromettere l’altro, il diverso, il non-umano da qualsiasi valutazione di ordine morale.

Bibliografia/Letture consigliate

P. Bowler, The Eclipse of Darwinism: Anti-Darwinian Evolution Theories in the Decades around 1900, The John Hopkins University Press, Baltimora, 1983.
C. Darwin, Charles Darwin’s Notebooks, a cura di P.H. Barrett, P.J. Gautrey, S. Herbert, D. Kohn, S. Smith, British Museum (Natural History)-Cornell University Press, Ithaca, New York, 1987.
C. Darwin, L’Origine delle Specie, a cura di Giuliano Pancaldi, BUR Rizzoli, Milano, 2019.
J. Huxley, Evolution: The Modern Synthesis, George Allen & Unwin Ltd, Londra, 1942.
J. Lamarck, Filosofia Zoologica e Altri Naturalia, a cura di G. Barsanti, Mimesis, Milano, 2020.
C. Lyell, The Geological Evidences of the Antiquity of Man with Remarks on the Origin of Species by Variation, John Murray, Londra, 1863.
T. Pievani, Anatomia di una Rivoluzione. La Scoperta Scientifica di Darwin, Mimesis Edizioni, Milano, 2020.
J. Rachels, Created from Animals: The Moral Implications of Darwinism, Oxford University Press, Oxford, 1990.
G. Mormino, Storia della Filosofia Morale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020.
H. Spencer, The Development Hypothesis, in The Leader [20ᵗʰ March 1852], Thornton Leigh Hunt, Londra, 1852, pp. 280-281.
C. Zimmer, Le Infinite Forme. Un’Introduzione alla Biologia Evoluzionistica, Zanichelli, Bologna, 2013.

Note

  • 1
    Cit. C. Darwin, Charles Darwin’s Notebooks, a cura di P.H. Barrett, P.J. Gautrey, S. Herbert, D. Kohn, S. Smith, British Museum (Natural History)-Cornell University Press, Ithaca, New York, 1987, pp. 196-197 (traduzione mia).
  • 2
    Cit. G. Mormino, Storia della Filosofia Morale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020, p. 178.
  • 3
    Cfr. J. Huxley, Evolution: The Modern Synthesis, George Allen & Unwin Ltd, Londra, 1942, pp. 22-28.

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