Il gestore di un circo è stato condannato per aver detenuto cinque elefanti in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche etologiche, in quanto legati con corte catene limitative dei più elementari movimenti, in una situazione incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze (art. 727, comma 2°, c.p.).
L’art. 727 c.p., comma 2 punisce la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. Sono da escludere le situazioni contingenti che provochino un temporaneo disagio dell’animale; la disposizione, infatti, fa riferimento al duplice requisito delle condizioni di detenzione dell’animale e della produzione di gravi sofferenze.
Nel caso in esame, gli elefanti erano stati trovati in una situazione non passeggera e contingente, né dettata dalla necessità di operare per la pulizia e la cura degli animali, perché gli animali erano legati con catene corte che ne impedivano i movimenti ed erano stati trovati in tale situazione all’interno del tendone dove venivano ricoverati per la notte, senza che vi fossero operazioni di pulizia in programma o in corso.
È assolutamente incompatibile con la natura degli animali la detenzione degli elefanti in catene, al di fuori dei momenti in cui il contenimento è strettamente necessario per esigenze di cura o pulizia, perché realizza una compressione intollerabile della possibilità che l’elefante ha di muoversi, sia pure nello spazio limitato di un recinto. Tale condizione è anche produttiva di gravi sofferenze, perché consente al più movimenti minimi, inibendo del tutto la deambulazione e l’assunzione della posizione sdraiata di fianco. Anche le linee guida CITES affermano che l’uso di catene per il contenimento degli elefanti deve essere di norma evitato, ma è consentito, in via eccezionale, nei soli casi in cui occorra provvedere ad esigenze di cura sanitaria e di benessere dell’animale, oltre che di sicurezza degli operatori e, comunque, per il solo periodo nel quale a tali incombenze si debba procedere.
Ma i giudici vanno oltre e affermano che neppure è il caso di chiamare in causa le linee guida perché le violazioni poste in essere risultano “talmente macroscopiche da rendere superfluo anche tale riferimento alla normativa tecnica, essendo del tutto evidente l’assoluta incompatibilità con la natura dell’animale dell’uso di catene applicate contemporaneamente sia a una zampa posteriore che una zampa inferiore, trattandosi di uno strumento di contenimento di per sé produttivo di gravi sofferenze”.
Per approfondimenti: A. Gasparre, Diritti degli animali. Antologia di casi giudiziari oltre la lente dei mass media, Key editore.