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Conigli allevati in condizioni fatiscenti: condannati gli allevatori

Gli imputati sono stati condannati a pagare un’ammenda e a risarcire l’associazione nominata custode, che si era costituita parte civile.
Avv. Annalisa Gasparre

Avv. Annalisa Gasparre

Avvocato, dottore di ricerca, vanta una decennale esperienza nel settore della tutela degli animali e dei soggetti deboli. <a href="https://www.avvocatoannalisagasparre.it/">Sito internet</a>

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Gli imputati sono stati condannati per aver detenuto 24 conigli in condizioni incompatibili con la loro natura, ovvero in gabbie anguste e fatiscenti, prive di apprestamenti idonei, poste in locali privi di finestre, in assenza di adeguata aereazione e in condizioni di scarsa igiene, cagionate dalla quantità di escrementi depositati sul pavimento tale da determinare gravi patologie, anche fatali. Determinante a cristallizzare le prove è stato l’intervento dei Carabinieri congiuntamente alle Guardie Zoofile e al veterinario nominato ausiliario di polizia giudiziaria. Veniva disposto il sequestro preventivo degli animali che resisteva al riesame.

I pregressi controlli svolti da ATS non minavano la fondatezza dell’accusa.

Subito dopo il sequestro gli animali venivano affidati a una associazione animalista della zona, tuttavia, le gravi malattie e infezioni, benché curate, determinavano numerosi decessi.

Il reato contestato è quello di cui all’art. 727 c.p., ovvero il c.d. abbandono, punito a titolo di colpa.

In particolare, è stata contestato il co. 2° della disposizione, che punisce la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. La situazione di sostanziale abbandono dell’animale (di qui la rubrica dell’art. 727 c.p. che equipara la detenzione incompatibile a un vero e proprio abbandono) è integrata dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario, di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso.

Il magistrale verbale di sequestro, acquisito agli atti, deponeva per condizioni ambientali e igienico-sanitarie da lager. Tali condizioni sono state confermate con prove dichiarative rese da chi ha proceduto al sequestro o comunque preso visione dei luoghi (e delle condizioni).

La fattispecie contestata è reato comune e, pertanto, la condotta criminosa può essere posta in essere da chiunque (e non solo dal proprietario): è richiesta una relazione di fatto tra “chiunque” e l’animale.

Integrato pienamente il fatto tipico, è stata esclusa la sussistenza di cause di scriminati.

Dapprima era stato emesso un decreto penale di condanna, opposto dagli imputati. Si è quindi proceduto con rito immediato.

Gli imputati sono stati condannati a pagare un’ammenda, con pena sospesa (sentenza del Trib. Pavia, 1771/2022). Altresì sono stati condannati a risarcire l’associazione nominata custode, che si era costituita parte civile, limitatamente al danno non patrimoniale, ritenendo il giudice che le spese di custodia non possano rientrare nella nozione di danno civilistico da reato.

Il testo integrale della sentenza nella seconda pagina.

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