La vicenda trae origine dal ricovero di un cane presso una clinica veterinaria dove, dimesso, vi ritorna dopo qualche giorno ormai agonizzante trovando la morte per una peritonite con perforazione dell’intestino per presenza di sei corpi estranei che si sono rivelate essere sei tettarelle di gomma. Il proprietario, in proprio e quale genitore della di lui figlia minore, chiede la condanna della clinica veterinaria al risarcimento dei danni patrimoniali (valore venale del cane) e non patrimoniali (perdita animale d’affezione) ritenendo la struttura responsabile di malpratica veterinaria. Una responsabilità che l’adito Tribunale spezzino condivide con una sentenza che offre alcuni non trascurabili spunti di riflessione.
Primo
Il Tribunale riconosce preliminarmente, a seguito di una disposta ed esauriente consulenza tecnica d’ufficio, la responsabilità della clinica veterinaria, per il decesso del cane. Una responsabilità di natura contrattuale perché trova la sua fonte giuridica nel contratto (o contatto) che si è comunque concluso tra il proprietario del cane e la clinica. Una responsabilità, quella contrattuale, che pone in capo alla clinica l’onere di dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione da causa a lei non imputabile. Onere non adempiuto dal momento che le evidenze della richiamata consulenza tecnica d’ufficio (alla quale di fatto sono affidate le sorti di un giudizio di responsabilità medico-veterinaria) fanno emergere come l’attività diagnostica e terapeutica svolta dalla clinica non sia stata svolta secondo le c.d. regole dell’arte che avrebbero imposto approfondimenti diagnostici idonei ad individuare una occlusione intestinale così da porre in essere una terapia chirurgica.
Secondo
Priva di pregio giuridico l’eccezione della convenuta clinica secondo cui la responsabilità del decesso del cane sarebbe ascrivibile direttamente ed esclusivamente al veterinario ivi presente in forza di svolgimento di prestazioni occasionali in favore della clinica, senza vincolo alcuno di dipendenza con essa. In altre e più semplici parole la clinica ha tentato di scaricare la responsabilità al veterinario che è intervenuto ma la corte spezzina ha invece ritenuto operante l’art. 2049 c.c. del codice civile anche nella ipotesi — come quella de quo — in cui per volontà di un soggetto (la clinica) un altro svolga un’attività per suo conto.
Terzo
Il Tribunale ha ritenuto individuare una condotta colposa del proprietario del cane (per non averlo adeguatamente sorvegliato avendo questi ingerito sei tettarelle di gomma) che — ai sensi dell’art. 1227 del codice civile — va a incidere sulla gradazione della colpa e dunque sul quantum del risarcimento richiesto. Peraltro nel valutare l’efficienza delle concause della eziologia del danno (cioè di quanto ciascuna abbia determinato il decesso del cane) il Tribunale la ravvisa stimabile in ragione del 50% (a parere di chi scrive una ripartizione troppo severa in danno del proprietario del cane).
Quarto
Veniamo all’entità del risarcimento riconosciuto, limitatamente alla voce danno patrimoniale mentre rimane esclusa quella del danno non patrimoniale. Viene stimato in euro 1.500 il valore venale del cane, secondo una valutazione del consulente del Tribunale; vengono rimborsate le spese veterinarie corrisposte alla clinica stante l’intervenuta e richiesta risoluzione del contratto tra questa e il proprietario del cane al quale viene riconosciuto il ristoro delle spese per gli accertamenti medico-legali (sia del tribunale che di parte). Il Tribunale non ha invece riconosciuto le asserite spese sostenute dall’attore (il proprietario de cane) per il supporto psicologico in favore della di lui figlia risultando, si legge in sentenza, inverosimile che una bambina di solo due anni e mezzo possa avere risentito per la morte di un cane che era rimasto in famiglia per un periodo assai limitato (poco più di un mese). Anche in questo caso chi scrive non condivide la valutazione del Tribunale.
Quanto al danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione questa voce di danno è riconosciuta in astratto dal Tribunale spezzino che richiama alcuni arresti giurisprudenziali che consolidano questo orientamento. Ciò premesso, lo stesso Giudice — come ormai pacificamente ritiene la giurisprudenza soprattutto di legittimità — non ritiene tale danno esistere in re ipsa, essere cioè automatico divenendo così altra cosa da quello che invece dovrebbe essere (nella sentenza si allude al danno punitivo che non alberga nei nostri codici). Il danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione deve essere rigorosamente provato e nel caso in questione questa prova risulta assente. È invece provata la sofferenza bambina quantificati euro 1.000,00 per i medesimi motivi che ne hanno escluso il riconoscimento come danno anche patrimoniale.
Riflessioni finali
Va accolta con rinnovato favore la sottolineatura di come il danno non patrimoniale per morte dell’animale d’affezione abbia acquisito una propria autonomia e fisionomia riconducibile sia al coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra uomo e animale domestico comporta che ai sentimenti di sofferenza psichica indotti dai patimenti della e per la perdita di esso. Una ingiustizia costituzionalmente qualificata che dunque rappresenta quella lesione idonea a ledere un diritto inviolabile della persona protetto dalla Costituzione nella misura in cui così si è palesato in conseguenza di un evolversi del c.d. sentire sociale.
Una rimeditazione che presuppone dunque proprio quella riqualificazione costituzionalmente orientata della tutela della relazione uomo e animale d’affezione che si affranchi definitivamente dalla ormai non più pensabile definizione di animali intesi come beni in senso materiale. Quella relazione affettiva che si instaura negli anni con l’animale (in questo caso un cane) non può essere archiviata senza motivo e quel motivo è ormai riconosciuto dalla giurisprudenza, e lo è sin dal 2008, nella mancata allegazione proprio di quel danno che si intende provare.
La responsabilità civile, come scrive il dott. Giacomo Travaglino (Presidente della terza sezione civile della Corte di Cassazione) riguarda la storia di una persona e la storia della responsabilità civile è la storia di un sistema dove «i principi cardine della responsabilità vengono resi flessibili per far sì che il danno non rimanga dove si è verificato».