Uccide il gatto del vicino di casa. Il proprietario va risarcito

Condannata per aver colpito fino alla morte il gatto del vicino di casa, entrato nel suo giardino, con ripetuti e violenti colpi di bastone.
Avv. Elisa Scarpino

Avv. Elisa Scarpino

Responsabile rivista online "Diritto degli animali. Profili etici, scientifici e giuridici".

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La vicenda sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione, sezione terza penale, con sentenza depositata il 14 settembre 2023, riguarda il caso di una donna che ha inseguito il gatto del vicino, salito sull’albero nella sua proprietà, per poi colpirlo ripetutamente con un bastone provocandone la morte.

Gli Ermellini, respingendo il ricorso della donna, hanno confermato la sussistenza del reato di cui all’art. 544 bis del codice penale, “Uccisione di animali”, e la condanna alla pena di tre mesi di reclusione irrogata dal Tribunale di Cosenza e confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro.

La ricorrente ha sostenuto di aver dovuto uccidere il micio che, introducendosi nel suo giardino, aveva infastidito il proprio cane, un Pitbull, provocandone la reazione. Aveva, dunque, “aggredito” il gatto per farlo uscire dalla sua proprietà. La difesa dell’imputata ha, altresì, sostenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 638 c.p., “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, e che la costituzione di parte civile del proprietario del felino fosse inconcepibile in caso di delitto contro il sentimento degli animali.

In realtà, afferma la Corte di Cassazione, dalla lettura della sentenza impugnata è emerso che l’imputata aveva bastonato il gatto ripetutamente e violentemente, inseguendolo persino sulla pianta ove aveva cercato rifugio, fino a cagionarne la morte. L’azione era stata posta in essere nella piena consapevolezza, quindi, che dalla stessa potesse derivarne la morte dell’animale, come si desume dalla reiterazione dei colpi inferti e dal fatto che la condotta era proseguita nonostante il gatto si fosse allontanato dal cane trovando rifugio su una pianta.

La Corte aggiunge che “crudeltà” e “assenza di necessità” costituiscono requisiti strutturali della fattispecie di reato che riguardano, alternativamente, l’elemento soggettivo (l’aver agito “per crudeltà” e non “con crudeltà”) e quello oggettivo (l’assenza di necessità). Tali requisiti non devono necessariamente concorrere ben potendo l’evento essere cagionato senza necessità ma senza crudeltà, quanto con crudeltà ma con necessità. Nel caso trattato, la Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza di entrambi i requisiti, avendo escluso la necessità dell’azione (essendosi il gatto rifugiato su una pianta e non costituendo pericolo né per l’agente né per i suoi beni) e avendo ritenuto la concorrente crudeltà (in considerazione della reiterazione dei colpi). La sussistenza del delitto di cui all’art. 544 bis c.p. assorbe anche il disvalore eventualmente derivante dall’essere l’animale di proprietà altrui ed esclude la concorrente applicazione del reato di cui all’art. 638 c.p. in considerazione della clausola di salvezza contenuta in quest’ultima norma.

Il proprietario del gatto, prosegue la Corte, pertanto, siccome titolare di una situazione giuridica attiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento, è certamente titolato a costituirsi parte civile per chiedere il danno dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da reato.

Il ricorso della ricorrente è stato, pertanto, dichiarato inammissibile perché generico e motivatamente infondato, con conseguente, a norma dell’art. 616 c.p.p., condanna al pagamento delle spese processuali e al pagamento dell’importo di euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende, oltre alle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile.

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