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Il benessere animale e coinvolgimento di animali in attività sportive estreme

La competizione e l’alta prestazione fisica possono influenzare negativamente lo stato psico-fisiologico dell’animale.
Denise Busa

Denise Busa

Dottoressa in Ecologia e Etologia per la Conservazione della Natura, con una tesi di etologia svolta al Parco Naturale della Maremma. Grande appassionata di natura già da piccola, ha conseguito gli studi accademici in ramo scientifico, con la speranza di poter dare un contributo concreto alla salvaguardia della natura e tutelare la biodiversità. Sogno nel cassetto: lavorare in ambito faunistico-ambientale, favorendo una coesistenza tra selvatico e antropico.

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Nel XX secolo è stata proclamata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale (UNESCO, 1978), primo provvedimento internazionale che educa al rispetto di ogni forma di vita e alla tutela dell’animale.  Dopo questo evento rivoluzionario, sono andate aumentando le disposizioni normative per il benessere degli animali e, dagli anni Settanta, si è assistito a un’attuazione di un percorso culturale-legislativo nei paesi europei (Ministero della Salute, 2006).

Il benessere degli animali riguarda le condizioni di vita degli animali, tenuti in cattività o sotto controllo umano (Lund et al., 2006; Carenzi & Verga, 2007): è definito come “lo stato di completa sanità fisica e mentale che consente all’animale di vivere in armonia con il suo ambiente”, indifferentemente da dove vive (The Humane League, 2020). Nasce per tentare di mitigare la sofferenza degli animali, gestiti dall’uomo, e di garantire uno standard minimo di condizioni di vita e di trattamento (The Humane League, 2020), assicurando i bisogni essenziali, individuati nelle cinque libertà (Brambell Report, 1965; Ministero della Salute, 2006).

Nel dettaglio, si definisce la libertà:

  • da fame, sete e cattiva nutrizione, garantendo facile accesso all’acqua fresca e a una dieta in grado di favorire lo stato di salute;
  • di avere un ambiente fisico adeguato, con a disposizione ricoveri e zona di riposo confortevole;
  • di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche, fornendo spazio sufficiente, locali appropriati e la compagnia di altri soggetti della stessa specie;
  • da paura e stress, assicurando condizioni che evitino sofferenza mentale;
  • da malattie, ferite e traumi, attraverso la prevenzione, rapida diagnosi e pronta terapia.
Fig. 1: Grafico riassuntivo delle cinque libertà utili alla valutazione del benessere animale, in individui mantenuti in cattività o sotto controllo da parte dell’uomo.

Nel benessere, i principali concetti considerati sono la “sofferenza” e il “bisogno”, valutati nelle Cinque Libertà: questi sono legati all’“essere senzienti”, caratteristica propria degli animali, menzionata nel Trattato di Amsterdam del 1997, conferendo loro un valore, ai sensi del diritto europeo (Millman et al., 2004), e sottolineando la validità scientifica di “senzienza”, proposta già da Darwin nell’Ottocento (Webster, 2006; Carenzi & Verga, 2007). Tutte le componenti biologiche, sia fisiche che psicologiche, che concorrono a determinare il livello di benessere, devono essere studiate e collegate tra loro (Rushen et al., 2003; Carenzi & Verga, 2007). I meccanismi biologici degli animali si adattano simultaneamente a molti stimoli ambientali, a volte in conflitto, e a stimoli potenzialmente stressanti, la cui importanza determina le priorità di azione (Carenzi & Verga, 2007). Questi potrebbero minacciare l’omeostasi dell’individuo, alterando così lo stato interno somatico e mentale, e questo equilibrio nell’animale può essere alterato da (Clark et al., 1997):

  • ciò che conosce o percepisce;
  • i suoi sentimenti e stato motivazionale;
  • le risposte a stimoli o ad ambienti interni o esterni;
  • le variabili con cui interagisce;
  • filogenesi e ontogenesi.

Negli animali, la percezione di uno stimolo o di un evento della vita è importante quanto la situazione o l’ambiente reale. I caregiver possono sapere che un evento, o una situazione, non costituisce una minaccia, ma l’animale di solito non funziona con la stessa base d’informazioni degli esseri umani: l’elemento principale nel controllare la risposta di un animale a un evento esterno è il determinare come l’animale percepisce una situazione (Clark et al., 1997). È più probabile che il benessere psico-biologico esista negli animali, se questi hanno familiarità con il loro ambiente, compresi i gruppi sociali, e se possono prevedere o anticipare i cambiamenti nell’ambiente (Clark et al., 1997). Ne consegue l’esistenza di una serie eterogenea di fenomeni, definita come fattore di stress (Selye, 1974),  che va ad alterare e minacciare l’omeostasi di un individuo. Questa è definita stress (Fraser et al., 1975; Reite, 1985).

Sono state classificate diverse tipologie di stress, tra cui:

  • stress fisiologico: stimolazione innocua e completamente adattiva, vantaggiosa in selezione naturale della specie;
  • eustress (Selye, 1974), cioè uno ”stress buono”: stimoli non dannosi, che avviano risposte a beneficio del comfort dell’animale e di un buon stato omeostatico;
  • stress neutro (Breazile, 1987): non è dannoso in termini di omeostasi ed evoca risposte neutre;
  • distress (Mason, 1975; Breazile, 1987): potrebbe non essere necessariamente dannoso per un animale, ma porta l’animale a rispondere in un modo che potrebbe interferire con il suo benessere, con possibili conseguenze di danni somatici e psicologici (può divenire overstress). Spesso sono associate esperienze emotive negative, quali ansia, paura o rabbia.
Fig. 2: Specchio riassuntivo delle varie definizioni di stress proposte dalla letteratura scientifica e relativo impatto sull’organismo.

Per valutare il grado di stress sperimentato nei mammiferi, si usa misurare il livello di cortisolo presente nei fluidi corporei (sangue, saliva, urine), tenendo a mente la sua variabilità nel ciclo circadiano: il cortisolo è adattivo e sano nei casi in cui il fattore di stress è immediato, perché aiuta a energizzare il corpo, ma se i livelli di cortisolo sono elevati è sintomo di stress marcato.

Alcuni casi studio per individuare stress psico-fisico in animali coinvolti in attività sportive performanti o in competizioni (vedi agility dog, cani da slitta, cavalli da corsa) hanno riscontrato un aumento di cortisolo salivare nella pre-competizione (“anticipazione” dell’evento) e appena prima e dopo la competizione. Questo è dovuto a una serie di stimoli ambientali che inducono lo stress nell’animale: trasporto, interazioni sociali intra e interspecifiche, rumori intensi, aspettative di prestazione del caregiver. Si può ammettere dunque che un evento agonistico, di per sé, sia un’esperienza stressante per l’atleta umano (Santomier, 1983) così come per l’animale coinvolto. Bisogna tenere a mente che è difficile distinguere, utilizzando parametri fisiologici, lo stress derivante dall’eccitazione del “lavoro” e il disagio causato dal “super lavoro”. Sono necessari studi a lungo termine per esaminare lo stress cronico in animali (Stafford, 2008).

Generalizzando, da questi risultati si comprende come la competizione e l’alta prestazione fisica possano influenzare lo stato psico-fisiologico dell’animale, indipendentemente dall’età, dal sesso e dalle dimensioni corporee dell’animale, e come ci sia una percezione individuale alle circostanze (soggettività dello stress e del disagio).

In animali coinvolti nell’intrattenimento e nelle arti, le principali fonti di stress derivano dall’esposizione a dolore, lesioni, sofferenza, malattia o angoscia, intenzionali o evitabili o dalla costrizione di dover compiere azioni o compiti che provocano loro disagio fisico-mentale (con conseguente manifestazione di stereotipie) e/o che vanno oltre le capacità fisiche, sociali o comportamentali del singolo animale o specie.

Gli animali in quanto esseri senzienti dovrebbero aver la possibilità di manifestare comportamenti normali specie-specifici, senza restrizioni, e processi decisionali propri (Canadian Veterinary Medical Association, 2019 a, b). Devono avere quindi la possibilità di manifestare una certa quantità di prontezza mentale e autocontrollo per affrontare la performance e per evitare/minimizzare con successo il disagio emotivo a cui sono sottoposti (Pastore et al., 2011).

Quando noi caregiver decidiamo di coinvolgere animali selvatici, addomesticati o animali da compagnia, in certi tipi di attività, dovremmo chiederci se lo  stiamo facendo in modo  appropriato ed etico, considerando le loro possibilità (specie-specifiche) e scelte (in quanto senzienti).

Dalla letteratura scientifica si è osservato come gli animali abbiano una percezione temporale differente dalla nostra,perchè influenzata dal proprio bioritmo, ovvero il proprio naturale orologio biologico che regola il rapporto sonno – veglia e le attività biologiche. Inoltre, gli animali non-umani, quali i nostri pet, hanno processi cognitivi che permettono loro di sentire (“percepire gli stati corporei”) e percepire (“interpretare i segnali di eventi esterni”), come spiegato da Clark e colleghi (1997). Queste loro capacità li ha resi principalmente consapevoli del presente, con scarsa considerazione per eventi passati o futuri (Duncan & Petherick, 1991). Sono influenzati solamente, o in larga misura, da stimoli esterni ed interni immediati. Sembrerebbe, quindi, che gli animali non abbiano la capacità di proiettare scenari futuri delle proprie azioni e questo potrebbe condurli a scelte non calibrate sulle possibilità del singolo soggetto o della specie. Alcuni animali potrebbero mostrare un alto arousal (ovvero uno stato elevato di eccitazione, vigilanza e reattività agli eventi circostanti)iniziale  solo perché coinvolti da noi umani, in modo più o meno costrittivo, per poi sperimentare un disagio psico-fisico successivo, che li porterebbe ad un calo del benessere.

Anche la percezione del rischio è differente da quella sperimentata dagli animali, soprattutto nei nostri pet: nel momento in cui un caregiver coinvolge il proprio cane, ad esempio, a condividere una certa attività adrenalinica apprezzata dall’umano, come attività invernali (scii, alpinismo, arrampicata/ferrata) o d’alta quota (parapendio, paracadutismo), si dovrebbe tenere a mente che i cani non si sono evoluti in milioni di anni per fare quelle determinate attività e, magari, potrebbero tantomeno volerlo fare ma vengono coinvolti dal “padrone” per uno stimolo affettivo e di estrema fiducia nei loro confronti.

Nel mondo dei social, purtroppo spopolano molti video in cui si trovano coinvolti animali in questo genere di attività. Ben presto questi animali hanno preso il nome di “Pet Influencers”, stimolando curiosità nei seguaci e, sfortunatamente, tentativi di repliche per alcuni malcapitati che spesso rischiano serie conseguenze psico-fisiche. Serve quindi essere consapevoli e proteggere il benessere degli animali, a  discapito di attività pericolose per la loro salute psico-fisica.


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