La Cassazione richiama al rispetto del benessere animale, eppure…

Condannato il cacciatore che non spara il colpo di grazia: la morte va inflitta nel modo più rapido possibile, per evitare inutili sofferenze.

Avv. Filippo Portoghese

Avvocato in Milano.

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Tizio e Caio, pur non essendo periodo “legalmente” autorizzato per la caccia, ci vanno lo stesso. A caccia. Trofeo 3 caprioli. Due morti ammazzati. Il terzo “solo” ferito.

I trofei tutti vengono rinchiusi all’interno del furgone dei due rambo, fermati e processati. Quindi condannati per non avere sparato il colpo di grazia al capriolo già ferito.
Questo avrebbe integrato il reato di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544 ter del codice penale, punito dalla Corte d’Appello con la condanna a 4 mesi di reclusione, preferita rispetto alla pena pecuniaria pure prevista dall’art. 544 ter c.p.

Il processo arriva in Corte di Cassazione. I due cacciatori sono basiti perché, a loro dire, sarebbero rei solo di avere esercitato attività venatoria in un periodo non consentito e tale reato sarebbe ormai prescritto. Ancora più basiti per la preferenza alla pena della reclusione piuttosto che alla multa (e i loro stupore viene condiviso dalla Cassazione, che non rinvenendo alcuna motivazione alla opzione della reclusione, rinvia ad altra Corte di Appello limitatamente alla pena).

Come ne esce la Cassazione? Ad una prima lettura bene, molto bene. Per la Cassazione il ferimento del capriolo costituisce maltrattamento a prescindere da periodo consentito o non consentito per la caccia. Perfetto.
Meno perfetta, a mio modestissimo parere, è la motivazione.

Anche l’uccisione di un animale (perché il capriolo ovviamente troverà la morte a breve) deve essere eseguita senza infliggere allo stesso inutili e ulteriori sofferenze. Insomma deve morire senza soffrire. E infatti nella sentenza si legge che al capriolo — non finito con lo sparo del cacciatore e non successivamente ucciso con un colpo di grazia sempre dal cacciatore — non sono state risparmiate inutili sofferenze.

Tanto è che, precisa la Cassazione, in materia di macellazione si devono adottare procedimenti atti a produrre la morte nel modo più rapido possibile.
Ineccepibile la decisione della Cassazione sotto il profilo tecnico-giuridico. Ma solo sotto quel profilo per il quale, ai sensi dell’ art 19 ter come introdotto dalla legge 189 del 2004, non si applicano le disposizioni di questa legge ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici.

In discussione rimane, sempre a mio modestissimo avviso, il principio che rappresenta questa deroga. Un principio che non appartiene solo al mondo della filosofia, dell’etologia, della scienza. Appartiene, e tanto, anche al mondo del diritto e la sua accettazione o negazione non ha irrilevanti conseguenze.

Filippo Portoghese

Nella prossima pagina pubblichiamo la sentenza integrale.

Foto di copertina: Scharfsinn86 su iStock

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