In generale, intendiamo per “bracconaggio”, noto anche come “caccia di frodo” e “pesca di frodo”, quell’attività criminale consistente nella caccia e nella pesca svolte in violazione delle normative vigenti. In particolare, la pesca di frodo, di cui ci occuperemo in questo articolo, è ancora un fenomeno poco noto nel nostro Paese, di cui occorre certamente parlare di più. In questi giorni di festività natalizie, in cui le tavole degli italiani si sono sovraffollate di prodotti derivanti dallo sfruttamento animale, è utile approfondire questo argomento poco conosciuto ai più ma davvero importante, poiché riguarda moltissimi animali marini, quelli che meno spesso consideriamo come esseri senzienti e che più lontani pensiamo da noi.
Da dove vengono, dunque, gli animali marini?
Alcuni di loro, i pesci, vengono proprio dal mondo della pesca di frodo, fenomeno che rappresenta sempre più un serio pericolo per la fauna ittica e per l’ambiente marino tutto. In alcune province del Nord Italia e del Centro, i fiumi, grandi e piccoli, sono saccheggiati da bande di predatori umani: i pescatori di frodo, i “pirati del mare”, che si servono di barche, furgoni-frigo, reti da pesca, con i quali catturano gli animali e poi li rivendono al mercato nero, fruttando un giro d’affari che arriva a ben sei milioni di euro all’anno.
Il fenomeno è diffuso in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e soprattutto nel delta del Po.
I bracconieri ittici provengono in larga parte dalla Romania e da altri paesi dell’est Europa come Bulgaria e Moldavia. In due o tre ore riescono a pescare anche moltissimi animali: nelle loro reti finiscono le carpe, i pesci siluro, i lucioperca, i temoli russi, i carassi. Sono destinati ai banchi dei mercati dell’est Europa oppure, e non è raro, anche a qualche mercato italiano. Nel nord Italia il fenomeno è diventato importante principalmente a partire dal 2012, quando quella che in Romania viene chiamata “mafia del pesce” iniziò a spostarsi verso i corsi d’acqua italiani. Il delta del Danubio, dove agivano prima i bracconieri, nel 2012 fu infatti riconosciuto come riserva della biosfera e patrimonio dell’Unesco. Per tale motivo, i controlli e le pene sono da allora aumentati sensibilmente. In Romania si rischiano oggi fino a quattro anni di carcere per il bracconaggio ittico e agiscono ben 12 corpi speciali per la tutela dell’ambiente. I pescatori in questione, lo hanno documentato le procure di tutta Italia, fanno uso di elettrostorditori che nascondono sulle rive: stordiscono i pesci e poi li catturano, senza disdegnare neanche l’uso di sostanze chimiche dannosissime per l’ambiente. La pirateria fluviale si accompagna poi anche ai furti di barche e motori.
Anche in questo caso, come abbiamo visto per altri fenomeni nei precedenti articoli sulla zoomafia, i pescatori sono organizzati in bande e tutto è ben architettato. Le Forze dell’ordine hanno documentato strutture gerarchiche organizzate per zone, con ruoli predeterminati e divisi a priori: alcuni di loro pescano, stordendoli senza pietà, gli animali, altri prendono il “bottino” e lo raccolgono per portarlo via. Tutti questi animali, tra cui i siluri, le carpe, i lucioperca, i gamberi e le anguille vengono caricati su furgoni in vasche di plastica, spesso senza nessun tipo di refrigerazione anche nei mesi più caldi, e trasportati in queste condizioni verso paesi extraeuropei.
Moltissimi arrivano anche nei nostri mercati: da Milano a Roma, fino al sud Italia, dando vita ad un “pendolarismo di rapina” che è diventato una vera e propria piaga.
Oltre a costituire la pesca di per sé un fenomeno aberrante che distrugge la vita di milioni di pesci che muoiono solo per finire sulle tavole umane, la pesca di frodo rappresenta anche un pericolo per l’incolumità degli animali umani e per l’ambiente, posta la violazione costante delle norme sanitarie che ne consegue, accompagnata anche da episodi di evasione fiscale, scarico abusivo di liquami, abusi edilizi e furti.
I bracconieri dei fiumi uccidono impuniti, macellano in spregio alle norme sanitarie e rivendono i pesci senza alcuna precauzione o controllo igienico-sanitario. Nel nostro paese, in particolare, il fenomeno ha visto un boom soprattutto lungo l’asta del Po (sarebbero oltre 200 i bracconieri in attività lungo l’asta del Po – questi i numeri emersi nel corso del convegno “Bracconaggio 2.0: la mafia del pesce”, organizzato da Fipsas e Fiera Millenaria nel febbraio 2020).
Inizialmente la pesca di frodo nella zona si presentava come un’attività esercitata da gruppi organizzati sia in alveo che a terra, che si coordinano tra loro individuando punti di attracco per le imbarcazioni che permettono un accesso facilitato all’acqua. Le bande coinvolte sono per lo più formate da soggetti con a carico altri precedenti penali, ma soprattutto da soggetti violenti verso gli altri frequentatori della zona ed organizzati in clan dall’organizzazione verticistica.
La pesca è già di per sé un fenomeno specista che chiaramente non considera i pesci in quanto esseri senzienti degni di essere lasciati in pace, nonostante i più recenti studi scientifici abbiano già dimostrato che la nocicezione nei pesci è presente eccome. Ma ancora più triste è sapere che moltissimi animali vengono sottratti al loro habitat ed uccisi dai bracconieri ittici.
Brevemente, possiamo riportare che i successivi approfondimenti condotti dalle investigazioni hanno permesso di delineare il modus operandi delle squadre di questi bracconieri ittici: si spostano lungo il corso del fiume privilegiando le zone a maggior presenza di animali. Se inizialmente prediligevano le aree nelle quali era più difficile attuare un’efficace azione di contrasto, successivamente le organizzazioni hanno cambiato le proprie modalità d’azione, scegliendo i siti di prelievo illegale in maniera apparentemente casuale e rendendo, di fatto, i propri spostamenti meno prevedibili e contrastabili.
Non vi ricorda proprio il modo in cui agisce la criminalità organizzata?
Le bande di pescatori di frodo si sono divise il territorio, non entrano mai in contrasto tra loro e hanno confini ben definiti. I gruppi sono formati da 10-15 persone, divise in due squadre. I bracconieri solitamente arrivano sull’argine del fiume, di notte, e gonfiano i gommoni. Poi mettono in funzione l’elettrostorditore, un congegno piuttosto semplice composto da una batteria per automobili collegata a un trasformatore regolabile. L’elettricità viene fatta passare attraverso due cavi, in tensione, muniti di interruttore e collegati a un’asta di metallo, o a un retino metallico, con un manico di gomma. Basta immergere l’asta nell’acqua per liberare le scariche. I pesci vengono storditi ed attirati verso le reti: una vera e propria tortura.
Vengono utilizzate anche le reti a tramaglio: reti rettangolari con tre livelli di maglie di diversi diametri che restano ben tese grazie a pali fissati sul fondale o alle sponde. Per legge, una rete può arrivare fino ad un massimo di 25 metri di lunghezza. Ci basti sapere che le reti dei bracconieri sono lunghe o larghe anche centinaia di metri.
I bracconieri non disdegnano, come dicevamo, nemmeno l’uso di fertilizzanti agricoli sparsi nell’acqua, per creare una carenza di ossigeno: i pesci nelle buche o nelle tane tra i canneti vengonocosì costretti a muoversi verso le reti e finiscono catturati; anche in questo caso i danni ai corsi d’acqua sono enormi. Purtroppo, l’attuale normativa di contrasto non appare adeguata: “L’attuale legge appare non adeguata a contrastare in modo efficace questo fenomeno criminale e a volte diventa farraginosa soprattutto per gli aspetti sanzionatori o collegati all’applicazione di sanzioni accessorie come la confisca” (dal Rapporto zoomafia 2024, a cura di Ciro Troiano, Responsabile Osservatorio nazionale zoomafia LAV, pag. 159).
La normativa a cui facciamo riferimento è la Legge 28 luglio 2016, n. 154 “Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale”, entrata in vigore con provvedimento del 28 agosto 2016.
In particolare, riportiamo uno stralcio dell’art 40 che, al primo comma, recita:
Al fine di contrastare la pesca illegale nelle acque interne dello Stato, è considerata esercizio illegale della pesca nelle medesime acque ogni azione tesa alla cattura o al prelievo di specie ittiche e di altri organismi acquatici con materiale, mezzi e attrezzature vietati dalla legge. È altresì considerata esercizio illegale della pesca nelle acque interne ogni azione di cattura e di prelievo con materiali e mezzi autorizzati effettuata con modalità vietate dalla legge e dai regolamenti in materia di pesca emanati dagli enti territoriali competenti. Ai fini della presente legge, sono considerati acque interne i fiumi, i laghi, le acque dolci, salse o salmastre delimitati rispetto al mare dalla linea congiungente i punti più foranei degli sbocchi dei bacini, dei canali e dei fiumi.
Tra le condotte espressamente vietate, ritroviamo:
a) pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente;
b) stordire, uccidere e catturare la fauna ittica con materiali esplosivi di qualsiasi tipo, con la corrente elettrica o con il versamento di sostanze tossiche o anestetiche nelle acque;
c) catturare la fauna ittica provocando l’asciutta, anche parziale, dei corpi idrici;
d) utilizzare reti, attrezzi, tecniche o materiali non configurabili come sistemi di pesca sportiva, ai sensi dei regolamenti e delle leggi vigenti;
e) utilizzare attrezzi per la pesca professionale nelle acque dove tale pesca non è consentita o senza essere in possesso del relativo titolo abilitativo;
f) utilizzare reti e altri attrezzi per la pesca professionale difformi, per lunghezza o dimensione della maglia, da quanto previsto dai regolamenti vigenti.
Sono inoltre vietati la raccolta, la detenzione, il trasporto e il commercio degli animali storditi o uccisi in violazione dei divieti citati al comma 2 del medesimo articolo citato.
Le sanzioni previste prevedono, salvo che il fatto costituisca più grave reato, che chiunque violi i divieti di cui detto, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da 2.000 a 12.000 euro. Si applicano, altresì, la sospensione della licenza di pesca di professione per tre anni e la sospensione dell’esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, se chi viola i divieti previsti è in possesso di animali così catturati.
Inoltre, salvo che il fatto costituisca reato, per chi viola i divieti di cui al comma 2, lettere d), e) e f), si applicano la sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro e, ove il trasgressore ne sia in possesso, la sospensione della licenza di pesca professionale per tre mesi.
Veniamo ora alla confisca: l’articolo ci dice che
Per le violazioni di cui al comma 2, lettere a), b), c), d), e) e f), e al comma 3, gli agenti accertatori procedono all’immediata confisca del prodotto pescato e degli strumenti e attrezzi utilizzati, nonché al sequestro e alla confisca dei natanti e dei mezzi di trasporto e di conservazione del pescato anche se utilizzati unicamente a tali fini. Il materiale ittico sequestrato ancora vivo e vitale è reimmesso immediatamente nei corsi d’acqua. Delle reimmissioni effettuate è data certificazione in apposito verbale (per le violazioni di cui al comma 2, lettere d), e) e f), commesse da soggetti titolari di licenza di pesca professionale, il sequestro e la confisca dei natanti e dei mezzi di trasporto e di conservazione del pescato si applicano solo in caso di recidiva)
Nell’aprile del 2023, in un’indagine condotta proprio sul Po, tra i comuni di Castenuovo Bocca d’Adda e Caselle Landi, la polizia provinciale di Lodi ha svolto dei controlli per prevenire la pesca di frodo. Le condotte che sono state rilevate hanno compreso: il mancato pagamento della tassa di concessione regionale; la cattura di 9 carpe in misura inferiore rispetto a quella minima consentita (35 cm); la pesca della carpa in periodo vietato (15 aprile-15 giugno); la detenzione e l’uso di esche vietate.
A maggio 2023, nelle province di Novara, Varese e Venezia, la seconda parte dell’operazione “Controcorrente” dei militari del nucleo carabinieri CITES di Torino finalizzata al contrasto del bracconaggio ittico ha rilevato – da parte della magistratura – i reati associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati connessi al bracconaggio ittico nelle acque interne. Tra i reati contestati troviamo: l’uccisione di animali, la frode nell’esercizio del commercio, la frode alimentare, il commercio di sostanze alimentari nocive la distruzione di habitat di aree protette e, per due degli indagati, l’autoriciclaggio.
Ad ottobre del 2023, ancora, tre soggetti sono stati denunciati per i reati di bracconaggio ittico, uccisione e maltrattamento animali, porto abusivo di armi, pesca illegale: tutto ciò avveniva nelle acque dolci di Longastrino, Argenta, in provincia di Ferrara (pesci con “occhi fuori dalle orbite ed evidenti bruciature”, così la descrizione in udienza di un carabiniere forestale – coinvolti 108 pesci, tra cui 54 carpe, 2 siluri e un pesce gatto americano) (cfr., in merito i dati dagli ultimi rapporti Zoomafia LAV).
Insomma, un mare magnum di specismo e completa indifferenza verso il rispetto per gli altri animali umani e non umani e dell’ambiente che li e ci ospita.
Dall’analisi dei dati della Guardia costiera (Centro di controllo nazionale della Pesca) emerge che il fenomeno è sempre più centrale e verrà sempre più in rilievo negli anni a venire, principalmente, parrebbe, per la sentita esigenza di non consentire la commercializzazione degli animali catturati e provenienti da attività vietate o “non sostenibili”.
Secondo uno studio dell’università di Ferrara, in otto canali del delta del Po c’è stata una diminuzione del ben trenta per cento delle specie ittiche presenti, e cioè i pesci siluro e le carpe. Il volume d’affari del business illegale di pesca in Italia è intorno ai 5-6 milioni di euro l’anno, con enormi danni ambientali (un tenente colonnello, in un’intervista rilasciata al Guardian ha dichiarato: «Riuscite a immaginare un’azienda normale che abbia così tanto profitto con un investimento così basso?». Atroce.
Dai dati raccolti nell’anno 2023 dai comandi territoriali dell’Autorità giudiziaria per le violazioni in materia di pesca marittima, suddivise per centri di controllo area pesca regionali emergono dati preoccupanti: fino a 45 informative di reato da Bari, 25 da Palermo e Livorno, 19 da Napoli, 17 da Reggio Calabria (cfr. grafico a pag. 255 del rapporto zoomafia Lav 2024).
Dobbiamo tenere ben a mente che tutte le attività di pesca illecite hanno un impatto significativo sotto il profilo ambientale, sociale ed economico tali da contribuire al costante e progressivo depauperamento delle acque e degli ambienti marini. Tali attività danno inoltre vita ad una concorrenza sleale tra operatori che rispettano le norme e quelli che operano in assoluta illegalità.
Il fenomeno del bracconaggio ittico dà anche vita a una mancanza generale di tracciabilità,mancanza di informazioni obbligatorie al consumatore, frodi, pubblicità ingannevole, pericoli per la salute pubblica e violazioni inerenti l’HACCP (ovvero l’Hazard Analysis Critical Control Point, ossia l’“Analisi dei rischi e dei punti critici di controllo”).
La pesca di frodo è altrettanto allarmante anche per gli animali e per l’ecosistema marino, perché comporta anche la cattura di specie per le quali vige il divieto assoluto di pesca. Diverse specie, tra cui i “datteri di mare” e le “oloturie”, lo “smeriglio” sono oggetto di queste pratiche illegali. La pesca è già un atto spregevole, figurarsi quando ad esserne oggetto sono anche specie che il Legislatore ha già deciso di includere nel novero di quelle classificate come assolutamente non catturabili.
La pesca di frodo quindi non fa bene proprio a nessuno: gli animali immessi in commercio provengono, quasi sempre, da acque fortemente inquinate e ricche di metalli pesanti estremamente nocivi per l’organismo umano (e ciò sia che vengano mangiati direttamente, sia che vengano utilizzati per produrre farine di pesce impiegate poi per nutrire altri animali che finiscono sulle tavole. Quindi, un insieme di gravi problemi che vanno da quello ambientale, a quello sulla sicurezza, da quello sanitario a quello economico (ovviamente la stragrande maggioranza dei traffici è, come è ovvio, in nero); problemi che fanno del bracconaggio ittico una delle calamità che il nostro Paese non può più assolutamente trascurare.
Il bracconaggio ittico è una vera emergenza che alimenta la criminalità organizzata e viene perpetrata da gruppi organizzati che dispongono purtroppo di molti mezzi e strutture: è necessario, pertanto, un potenziamento delle azioni di contrasto con il fine ultimo della libertà ed il rispetto per ogni forma di vita.