Il titolo della conferenza che si è tenuta ieri pomeriggio a Roma a pochi metri dalle stanze del potere, quello legislativo, è coraggioso. E di coraggio ne hanno avuto CIWF Italia, Animal Law Italia e Legambiente, nel proporre una discussione che ha condotto i numerosi presenti a dialogare sui temi importanti che inevitabilmente sottendono ad una proposta del genere. Un solo dato, significativo: il giro di affari annuale in termini di profitto si aggira su 9 miliardi di euro per i bovini e di 11 miliardi di euro per i suini. Non tenerne conto, sarebbe ingenuo. È possibile immaginare un benessere all’interno dei luoghi di lavoro dove il profitto è così spinto?
Si impone una doverosa premessa che se non condivisa rende inutile il proseguimento della lettura di queste riflessioni. Richiedere l’approvazione di una legge che renderebbe obbligatoria la presenza delle telecamere all’interno dei macelli significa accettare l’idea che si possano uccidere gli animali per farne cibo. Prendere o lasciare. Questa è oggi la situazione e questo era il tema del convegno di ieri e di tanto gli operatori del settore — tra i quali anche i giuristi — sono stati chiamati a discutere.
Il rappresentante del Ministero della Salute, sia pure per delega, ha espresso un preliminare quanto preventivo parere di favore verso questa iniziativa legislativa.
Ci si è domandati se in aggiunta alle duecentodiecimila leggi che ad oggi sono state emanate a far data dal 1861 si senta la mancanza di quella ieri oggetto di discussione. Un interrogativo, se ci riflettiamo, non di poco conto che ha indotto a considerazioni che possono essere sintetizzate in un “chi controlla chi”.
Se è vero, come è vero, che «le leggi son, ma chi pon mano ad esse?», è altrettanto vero che tutti coloro che a diverso titolo e responsabilità giocano un ruolo importante in questa partita devono fare il proprio lavoro. I veterinari, nell’interesse degli animali e dei consumatori. I sindacati e gli ispettorati del lavoro, nell’interesse dei lavoratori. I consumatori, orientando le proprie scelte in modo tale da non aggravare un sistema di filiera alimentare di per sé già aggravato e dove il profitto pare essere anteposto a tutto. E infine lo Stato, creando le condizioni o i presupposti perché tutti possano davvero adempiere ai loro doveri perché esiste una violenza o una forma di discriminazione che è contro ogni essere vivente.
Solo in questo caso la presenza delle telecamere costituirebbe un innegabile passo in avanti verso l’affermazione di quel diritto a non soffrire che molto spesso si invoca in favore degli animali ma che, senza un esplicito riconoscimento normativo, rimane poca cosa. A patto però che la fase di “monitoraggio” abbia inizio molto prima della fase dello scarico degli animali fino ad evitare, se reputato conforme alla legge, che abbia inizio per quel determinato animale l’ultimo straziante viaggio.