Chi uccide e maltratta animali può andare in carcere?

Arresto, fermo e misure cautelari personali non sono consentite dalla legge. Per un'eventuale pena detentiva occorre attendere la condanna definitiva.
Avv. Elisa Scarpino

Avv. Elisa Scarpino

Responsabile rivista online "Diritto degli animali. Profili etici, scientifici e giuridici".

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Perché chi commette un reato ai danni di un animale non viene immediatamente fermato o arrestato? È previsto il carcere per chi si macchia di gesti così disumani e cruenti? Quali sono le pene previste dalla legge italiana?

Queste sono le prime domande che si pone chi ha nella mente le immagini raccapriccianti, sempre più condivise sui social network, di animali abusati, seviziati, e sui quali sono state esercitate le forme più crudeli di violenza che un essere umano possa concepire.

Soltanto di pochi giorni fa è l’ennesima vicenda che ha avuto al centro della cronaca un cane deceduto a seguito delle gravi lesioni riportate per essere stato legato ad un veicolo con una corda e trascinato per chilometri.

Chiunque si domanda perché i responsabili di queste azioni non vengono subito arrestati o perché non vengono disposte nei loro confronti misure cautelari come, ad esempio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, gli arresti domiciliari o la custodia cautelare in carcere.

Una risposta a questa domanda possiamo trovarla analizzando le pene previste per il reato di “Uccisione di animali” (art. 544 bis c.p.) secondo il quale: «Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni», e di “Maltrattamento di animali” (art. 544 ter c.p.) secondo il quale chi cagiona una lesione a un animale, o lo sottopone a sevizie, fatiche, lavori o comportamenti allo stesso insopportabili, sempre per crudeltà e senza necessità, è punito con «la reclusione da tre a diciotto mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro». La pena è aumentata della metà se da tali fatti deriva la morte dell’animale.

In queste due ipotesi l’arresto, il fermo di indiziato di delitto e l’applicazione di misure cautelari personali non sono consentite e questo poiché tali misure sono disposte solo per alcuni reati (in questi non rientrano quelli appena menzionati) e, in ogni caso:

  • per quanto riguarda l’arresto obbligatorio in flagranza di reato, questo è previsto quando sia prevista la pena per un delitto non colposo della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (art. 380 del codice di procedura penale);
  • l’arresto facoltativo in flagranza è invece previsto quando la pena della reclusione sia superiore nel massimo a tre anni per un delitto non colposo, ovvero per un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (art. 381 c.p.p.).

Il fermo, previsto per la persona gravemente indiziata di un delitto, anche fuori dai casi di flagranza e ove sussista un pericolo di fuga, può essere disposto nella ipotesi di reati che prevedono la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni.

Per quanto concerne le misure cautelari, queste possono essere applicate qualora sussistano a carico di una persona gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari e, quindi, ad esempio, qualora vi sia un pericolo di fuga e il Giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore ai due anni di reclusione oppure quando sussista il pericolo che la persona commetta reati della stessa specie di quello per cui si procede e la pena prevista sia quella della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, o in caso di custodia cautelare in carcere, non inferiore nel massimo a cinque anni.

Il criterio di scelta delle misure, sempre per quanto riguarda le misure cautelari che quindi sono applicabili antecedentemente alla conclusione del procedimento, varia in base alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto e la misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata con sentenza.

Anche non essendo tecnici è evidente che la cornice edittale attualmente prevista per i delitti summenzionati non permette che si proceda con l’arresto, il fermo né con l’applicazione di misure cautelari.

Foto di Paweł Czerwiński su Unsplash

La decisione sulla pena

Dovremo attendere almeno una sentenza definitiva di condanna nella quale sarà rimessa alla valutazione del Giudice la pena applicabile in base alle circostanze che connotano il singolo caso.

Nell’ottica di una doverosa e maggiore tutela degli animali considerati, anche dalla più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, quali esseri senzienti e non più meri oggetti e beni giuridici, si evidenziano le numerose proposte di legge, provenienti da parlamentari e da tutto il mondo delle associazioni, che mirano ad innalzare la cornice edittale dei reati commessi a loro danno. L’obiettivo è quello di fornire strumenti più adeguati, costituire un efficace deterrente e combattere questo odioso fenomeno. Si tratta di una situazione oramai non più rinviabile.

Al di là della possibile applicazione di questi strumenti, comunque sempre cautelari, resta opportuno evidenziare che tutte le forze dell’ordine, senza distinzione di grado, sono competenti e non solo possono ma devono intervenire per evitare che un reato venga portato ad ulteriori conseguenze.

I delitti previsti dal codice penale, sotto il Titolo IX bis “Dei delitti contro il sentimento degli animali”, sono perseguibili d’ufficio, e pertanto, l’autorità giudiziaria, una volta venuta a conoscenza di un fatto di reato, avvierà le indagini del caso al fine di perseguirne penalmente l’autore.


«Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà
» (Émile Zola).

Foto di copartina di ErimacGroup

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