Nave trasporto animali
iStock/agafapaperiapunta

La Nuova Zelanda vieterà l’esportazione di animali vivi. E gli altri paesi?

Il divieto partirà da aprile 2023. Questa nuova legge sul benessere animale è stata approvata due anni dopo l’affondamento di una nave bestiame che causò la morte di 6000 bovini. Qual è, invece, la posizione dell’Europa e dell’Italia in questo ambito?

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La Nuova Zelanda vieterà l’esportazione di animali vivi a partire dal 30 aprile 2023. La decisione è stata presa sulla scia dell’incidente accaduto a settembre 2022, a causa di un tifone: l’affondamento della nave bestiame Gulf Livestock 1, che portò alla morte di 41 membri dell’equipaggio e 6000 bovini. Cosa sta accadendo in questo e in altri paesi riguardo questa attività?

I dati sull’esportazione di animali vivi in Nuova Zelanda

Come riportato su The Guardian, la Nuova Zelanda ha esportato 134.722 bovini lo scorso anno e il trasporto di animali vivi rappresenta circa lo 0,6% delle esportazioni del settore primario. All’inizio di quest’anno più di 15.000 pecore sono annegate dopo l’affondamento di una nave in Sudan e, nel 2020, un capovolgimento di un mezzo ha ucciso 14.000 ovini. Nel 2021, sono rimasti bloccati – per 3 mesi – 3000 bovini: un accadimento che ha portato gli animali alla morte o li ha sottoposti a fame e disidratazione.
La posizione geografica della Nuova Zelanda, purtroppo, implica che i viaggi siano lunghi e rischiosi e, nella migliore delle ipotesi, estremamente stressanti per gli animali. È per questo che da anni l’esportazione di animali vivi è oggetto di campagne a lungo termine da parte dei gruppi animalisti neozelandesi e australiani.
Il divieto neozelandese è stato accolto quindi con soddisfazione dal Green Party e dai movimenti animalisti e con meno entusiasmo dal National party, che teme una riduzione sensibile del prodotto interno lordo.

La posizione delle altre nazioni: non bene per Europa e Italia

Anche su tratte meno lunghe e pericolose, l’esportazione di animali vivi è comunque un’attività incompatibile con il benessere animale.
Nel 2020, il Regno Unito annunciò l’intenzione di vietare l’esportazione di animali vivi per la macellazione e l’ingrasso dall’Inghilterra e dal Galles, ma non c’è stata ancora nessuna reale azione. Invece il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha recentemente dichiarato l’impegno del suo governo di chiudere il settore, ma non prima del 2025.

Qual è la posizione dell’Europa e, in particolare, dell’Italia sull’esportazione di animali vivi via nave?
Alessandro Ricciuti, presidente di ALI, spiega che il Regolamento n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto consente questo tipo di viaggi, senza prevedere un limite di durata.

«Il Regolamento prevede i requisiti per l’omologazione delle navi, che devono essere ispezionate prima di ogni viaggio, oltre a una serie di prescrizioni che dovrebbero garantire il benessere degli animali. Tuttavia, le associazioni denunciano da anni che i mezzi non sono idonei e il tragico ripetersi di gravi incidenti, come quello avvenuto sul Mar Nero nel 2019 e che è costato la vita a 14.000 pecore, dimostra che questo tipo di viaggi vanno aboliti al più presto e sostituiti dal trasporto di carcasse».

Si stima che ogni anno circa 4,5 milioni di animali, in larga parte bovini e ovicaprini, siano esportati via mare verso Paesi terzi nel Nord Africa, Medioriente e anche verso l’Africa subsahariana, attraverso il canale di Suez.

Quanto all’Italia, fino a quest’anno, non risultavano esportazioni di animali vivi. Purtroppo a marzo il Ministero della Salute ha designato il Posto di Ispezione Frontaliero (ora PCF) del porto di Civitavecchia come punto di uscita per l’esportazione di animali vivi della specie bovina. Questo significa che anche il nostro Paese è diventato esportatore di animali vivi via nave.

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