Alcuni giorni fa, oltre 200 carabinieri dei NAS sono stati coinvolti in un’operazione eseguita in contemporanea in nove provincie tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Sicilia. L’indagine, partita ad aprile a Cremona ed attualmente coordinata dalla Procura di Brescia, ha permesso di scoprire un traffico illecito di farmaci di origine illecita destinati ad allevatori di mucche da latte, che li utilizzavano per aumentare la quantità di latte prodotto.
Sono stati perquisiti ben 31 allevamenti intensivi in tutta Italia, in cui sono rinchiusi circa 20mila bovini; sedici allevamenti sono stati sequestrati, insieme a circa 4mila animali e ben 80mila litri di latte. Fermato un veterinario in possesso di ingenti quantità di farmaci di provenienza illecita. Altre 26 persone sono state denunciate e 7 risultano indagate a piede libero per associazione a delinquere finalizzata al commercio e somministrazione di medicinali veterinari di provenienza illecita.
Si tratta di un procedimento per il quale ancora sono in corso le indagini e le informazioni a disposizione sono necessariamente limitate, eppure dai dati citati se ne comprende facilmente l’importanza (anche soltanto per i numeri in gioco). Tuttavia, questa notizia ha fatto un’apparizione piuttosto fugace sui media, oltre ad essere ripresa dalla LAV con un comunicato stampa. D’altronde, nonostante la magistratura si occupi spesso delle diffuse illegalità all’interno del settore zootecnico, si tratta di un argomento che non riempie facilmente le cronache, a meno che non sia in discussione la pubblica incolumità, come nei casi di epidemie incontrollate suscettibili di trasmissione all’uomo.
In caso di pericolo per la salute pubblica, l’unica soluzione è l’uccisione di migliaia di animali, infetti o potenzialmente tali. La normativa, del resto, è perentoria: anche in assenza di epidemie, tutto ciò che sfugge al controllo è visto come potenziale pericolo, tanto che persino la semplice assenza di identificazione — e quindi l’incertezza sulla provenienza — dei bovini da reddito ne determina l’abbattimento, nel dubbio che possano costituire un pericolo per la salute pubblica. Si tratta di un tema tristemente noto a chi segue le vicende dei rifugi per animali da reddito esistenti in Italia, che sono costretti a subire controlli esasperati da parte delle autorità sanitarie e con essi non pochi grattacapi, compresa l’applicazione di pesanti sanzioni, quando ricevono animali di incerta provenienza, appunto privi dei lobi auricolari o degli estremi di identificazione.
Vediamo quindi qualche altro esempio di illegalità scovate di recente, che non hanno ricevuto la doverosa attenzione dai media. Pochi mesi fa, un’altra importante inchiesta della Procura di Roma aveva svelato l’esistenza di un cartello di fatto tra due società farmaceutiche per la vendita di vaccini veterinari per la cura dell’influenza aviaria, scoperchiando un vaso di Pandora con interessi pubblici e privati intrecciati per lucrare ancora una volta sulla vita degli animali, di riflesso anche a danno della salute degli ignari umani che di quegli animali sono consumatori. Anche in quel caso, la sorte peggiore era toccata alle migliaia di animali abbattuti, eppure di questa questione si sono occupati pochi quotidiani, probabilmente poiché oramai l’aviaria non fa più scalpore e i fatti contestati si riferivano ad avvenimenti di cui il pubblico s’è dimenticato da un pezzo e non è il caso di rinfrescargli la memoria.
Particolarmente inquietanti i contorni di un’altra inchiesta, in questo caso giornalistica, opera della rivista Il Salvagente, che ha ricostruito la vicenda dell’arrivo dall’Ucraina di un carico di mais destinato a trasformarsi in mangime per animali e contenente quattro volte la quantità massima di diossina consentita dalla legge. La presenza della diossina è stata scoperta casualmente dopo due mesi e c’è voluto addirittura un altro mese affinché fosse messo in atto un blocco cautelativo delle carni e derivati provenienti dagli animali che avevano assunto quei mangimi, tanto che vi è una notevole possibilità che tramite quei cibi, oltre alla consueta dose di antibiotici, quei consumatori abbiano introdotto nella propria alimentazione anche la temibile molecola cancerogena. L’intera vicenda è impietosamente passata sotto silenzio, nonostante le gravi implicazioni per la salute pubblica.
Ancora più di recente, la redazione di SkyTG24 si è occupata di antibiotico-resistenza, a seguito della denuncia di Nature secondo cui l’italia è in testa in Europa quanto alla prassi — illegale — di imbottire gli animali negli allevamenti intensivi di antibiotici anche se sani, allo scopo di evitare il dilagare di possibili malattie. L’effetto noto e denunciato da tempo è quello di rendere i ceppi virali sempre più resistenti alle molecole esistenti, tanto da far temere che questi possano vincere la battaglia contro l’umanità in una prossima epidemia di massa, a causa dell’assenza di cure efficaci, come sostenuto a più riprese da importanti virologi e oramai ammesso anche dalle istituzioni. Si tratta di un argomento che si presta a notevoli approfondimenti e che, purtroppo, resta relegato a un’informazione di nicchia, a differenza dell’emergenza ebola, che invece ha avuto ben maggiore risalto, nonostante a momento riguardi appena tre stati all’interno di un continente immenso come l’Africa e non si segnalino segnali di contagio all’esterno di quell’area.
Evidentemente, la diffusione di queste notizie è frenata dall’esistenza di forti interessi economici al mantenimento dello status quo, che non vedono di buon occhio il crollo della fiducia dei consumatori. Pare anzi che gli allevatori stiano reagendo all’ondata di informazioni che stanno riducendo la quantità di carni consumate. Basti pensare che SkyTG24 ha subito ritorsioni da alcuni sponsor, che hanno risolto i propri contratti. Sarà questa la principale ragione per cui, in barba all’indipendenza dell’informazione, di queste notizie vi è scarsa traccia?