Cassazione penale sez. III – 09/09/2020, n. 29816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO    Aldo            –  Presidente   –                     Dott. LIBERATI Giovanni        –  Consigliere  –                     Dott. GAI      Emanuela   –  rel. Consigliere  –                     Dott. MACRÌ   Ubaldo          –  Consigliere  –                     Dott. ZUNICA   Fabio           –  Consigliere  –                     

ha pronunciato la seguente: 

SENTENZA

sui ricorsi proposti da: 

M.J., nato ad (OMISSIS); 
C.A., nato a (OMISSIS); 

avverso la sentenza del 13/12/2018 della Corte d’appello di Torino; 

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Romano Giulio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; 
udito per la parte civile l’avv. Suaria Maria Morena, che deposita conclusioni scritte e nota spese; 
udito per gli imputati l’avv. Antonino Margani, in sost. avv.  Ferdinando Ferrero che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi. 

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Aosta, previa dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di M.J. e C.A. dai reati di cui all’art. 110 c.p., L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. h) della (capo 1) e art. 697 c.p. (per il solo C.) perchè estinti per prescrizione, ha rideterminato la pena a costoro inflitta per il reato di cui artt. 110 e 544 ter c.p. per avere, per crudeltà e senza necessità, cagionato una lesione ad un animale, nella specie un capriolo ferito da un colpo di arma da fuoco, ovvero per averlo sottoposto a sevizie insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, avendolo rinchiuso ferito all’interno del cassone di un veicolo, con l’aggravante della morte dell’animale, alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione gli imputati mediante separati ricorsi aventi motivi comuni, a mezzo del comune difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi.

– Violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’erronea applicazione dell’art. 544 ter c.p. non essendo qualificabile la condotta contestata quale delitto di maltrattamenti di animali in assenza di uccisione dell’animale per crudeltà o senza necessità in presenza di una mera attività venatoria in periodo non consentito;

– Violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al ritenuto concorso tra il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. h) (capo 1) e il reato di cui all’art. 544 ter c.p. (capo 2) sussistendo unicamente l’esercizio di attività di caccia in periodo non consentito.

– Violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla determinazione della pena alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p. e omessa motivazione.

– Violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al diniego di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e motivazione apparente.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono fondati limitatamente alla determinazione della pena, nel resto sono inammissibili.

5. È accertato, in punto di fatto, che nel cassone del veicolo Mitsubishi, oggetto di controllo, erano stati trovati tre caprioli, di cui uno ancora vivo e scalciante, in condiziona nelle quali si desumeva che poco prima erano stati abbattuti con colpi di arma da fuoco, da cui la corte territoriale ha ritenuto dimostrata l’affermazione della responsabilità penale per il reato di maltrattamenti di animali ex art. 544 ter c.p..

Ora i ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, sostengono la violazione di legge poichè il fatto sarebbe qualificabile quale esercizio dell’attività venatoria in periodo non consentito, reato peraltro già dichiarato prescritto.

La tesi difensiva, fermo l’accertamento di fatto che in presenza di congrua motivazione non può essere qui discusso, è manifestamente infondata.

Il ferimento del capriolo, pur nell’esercizio dell’attività venatoria non consentita nel periodo in contestazione, costituisce condotta di maltrattamento perchè produttiva di lesioni senza necessità.

Come osservato da una risalente ma condivisa pronuncia anche l’uccisione di un animale deve avvenire senza infliggere ulteriori sofferenze non necessarie laddove “senza necessità” vi rientra lo stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p. nonché ogni altra situazione che induca all’uccisione o al maltrattamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Borgia, Rv. 238456 – 01).

Si è chiarito, nella citata pronuncia, che la norma è volta a proibire comportamenti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all’animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze.

Tale principio aveva trovato applicazione anche nella L. 12 giugno 1931, n. 924, (modificata dalla L. 1 maggio 1941, n. 615) in tema di vivisezione, nel testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia, approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, modificato con D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, nella L. 12 giugno 1913, n. 611, (con le modifiche apportate dalla L.10 febbraio 1927, n. 292) avente ad oggetto provvedimenti per la protezione degli animali, nel R.D. 20 dicembre 1928, n. 3298, che detta alcune disposizioni sulle modalità di macellazione degli animali e che all’art. 9 prevede che per la macellazione degli animali si devono adottare procedimenti atti a produrre la morte”nel modo più rapido possibile”, nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) che vieta gli spettacoli o trattenimenti pubblici che importino strazio o sevizie di animali e nel relativo regolamento (del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, art. 130) che, in riferimento al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 70 (TU P.S.), indica una serie di trattenimenti vietati.

A sua volta la L. 20 luglio 2004, n. 189, art. 1, comma 1, ha introdotto, dal 1 agosto 2004, nel libro secondo del codice penale, (dei delitti in particolare) al capo 3, il Titolo 9, bis, avente ad oggetto i delitti contro il sentimento per gli animali”, l’art. 544 bis c.p., “Uccisioni di animali” che sanziona con la reclusione da quattro mesi a due anni chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale” e l’art. 544 ter c.p., “maltrattamento di animali” che, al comma 1, sanziona con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da Euro 5.000,00, a 30.000,00, “chiunque per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Tale ultimo articolo, al comma 3, statuisce che la pena è aumentata della meta se dai fatti di cui al comma 1 deriva la morte dell’animale”.

Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi qui enunciati e con motivazione immune da censure di illogicità, ha ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti di animali sul rilievo che all’animale era stata inflitta una non necessaria e inutile sofferenza conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia che, se prontamente intervenuto, avrebbe impedito ulteriori sofferenze all’animale (pag. 7), avendolo rinchiuso, ancora in vita, all’interno del cassone del veicolo che lo trasportava sottoponendolo a sevizie insopportabili.

6. È parimenti manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso.

Come affermato da Sez. 3, n. 40751 del 05/03/2015, Bertoldi, Rv. 265164 – 01, tra il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30 e quello di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544-ter c.p. non sussiste rapporto di specialità, sia perchè il delitto necessita dell’evento (la lesione/morte all’animale) che non è richiesto per l’integrazione della contravvenzione, sia perchè diversa è l’oggettività giuridica. Nel caso della contravvenzione, il bene giuridico protetto è costituito dalla fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato; in quello del delitto, il sentimento per gli animali. In ogni caso in forza della previsione dell’art. 19-ter disp. att. c.p. il reato di cui all’art. 544-ter c.p. e le altre disposizioni del titolo IX-bis, libro secondo, del c.p. non si applicano ai casi previsti in materia di caccia ed alle ulteriori attività ivi menzionate, se svolte nel rispetto della normativa di settore.

Dunque, i due reati concorrono e correttamente, non essendo applicabile il principio di specialità in favore delle disposizioni di cui alla L. n. 157 del 1992, la sentenza impugnata ha dichiarato la prescrizione del reato contravvenzionale e confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti di animali.

7. È fondato il terzo motivo di ricorso.

Il reato di cui all’art. 544 ter c.p. è punito pena alternativa. La corte d’appello ha confermato la condanna alla pena detentiva determinata in mesi quattro di reclusione ciascuno (eliminando un mese di reclusione per effetto dell’assoluzione dal capo 1).

Nell’esercizio del potere di determinazione della pena i giudici del merito non hanno motivato sulle ragioni per la scelta della pena detentiva.

Al riguardo, deve rammentarsi che il giudice, nell’esercizio del potere di scelta fra l’applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l’obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (Sez. 6, n. 10772 del 20/02/2018, F., Rv. 272762 01). Nè la corte d’appello, richiesta di applicare una pena nel minimo sia sotto il profilo quantitativo che “qualitativo”, nè prima il tribunale, hanno esposto le ragioni che hanno guidato l’esercizio del potere discrezionale nella determinazione della pena detentiva.

La sentenza va sul punto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

8. Quanto alla doglianza in punto mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, osserva il Collegio che il diniego è sorretto da motivazione, in punto di giudizio prognostico di astensione dalla commissione di altri reati, che non appare manifestamente illogica desunta dalle modalità del fatto da cui i giudici del merito ricavano la prognosi negativa che i ricorrenti non contrastano nei ricorsi che finiscono per essere connotati da genericità.

10. La sentenza va annullata limitatamente alla pena con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino che provvederà alla rifusione delle spese del presente grado in favore della parte civile. Nel resto i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità penale degli imputati. 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.

Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità penale degli imputati.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

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