La Grecia vieta la macellazione dei cavalli, mentre in Italia…

La Grecia equipara i cavalli a cani e gatti. Si tratta di un esempio unico in Europa, mentre in Italia proposte di legge analoghrestano nei cassetti.

Alice Caldarini

Dottoressa in Giurisprudenza con una tesi in diritto penitenziario, da sempre è interessata ai diritti degli animali, in particolare a quelli inerenti il mondo degli equidi. Collabora con associazioni attive nell'ambito del benessere dei cavalli e nel loro recupero in caso di maltrattamenti.

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In seguito allo scandalo della macellazione equina cui protagonista era l’Europa, che importava carne di cavallo dall’Australia, la Grecia ha fatto la storia nell’ambito della tutela degli animali.

Forti anche del fatto che non vi sono mattatoi riconosciuti a livello nazionale e che il consumo di carne equina nel paese ellenico è pressoché inesistente, il Parlamento ellenico ha approvato un emendamento contenente il divieto di macellazione dei cavalli.

Tale emendamento è contenuto nella Legge n. 4711 del 2012, proprio a tutela degli animali d’affezione, il cui articolo 17 dispone oggi il «divieto di allevamento e dell’utilizzo di cani, gatti e cavalli per la produzione di pellicce, cuoio, carne e fabbricazione di medicinali o altre sostanze».

L’introduzione del divieto di macellazione della carne equina è il risultato del grande lavoro di due associazioni animaliste: Pan-Hellenic Animal Welfare Federation e Ippothesis, che hanno fatto emergere scandali sulla macellazione clandestina in aumento in Grecia e legata al mondo ippico.

Dunque, dal 29 luglio, in Grecia i cavalli non sono più animali da reddito bensì sono divenuti, a tutti gli effetti, animali d’affezione al pari di cani e gatti. Colmando un vuoto normativo notevole, la Grecia ha effettuato una grande svolta etica in ambito di tutela degli animali.

Attualmente, è l’unico paese in Europa ad aver espressamente vietato, con una legge, la macellazione di cavalli, vietandone in via indiretta anche la sua esportazione.

Infatti, in Inghilterra, ad esempio, nonostante non vi sia consumo di carne di cavallo, esistono mattatoi riconosciuti a livello nazionale per supportare l’esportazione di carne equina.

Se la Grecia ha fatto un notevole passo avanti, l’Italia è bloccata. Infatti, il nostro Bel Paese è il primo in Europa per la consumazione di carne equina ma è bene ricordare che la carne equina, che finisce sui banchi di macellerie, supermercati o sulle tavole, non è tracciata, ossia non è possibile conoscerne la provenienza.

Oltre ciò, nonostante i cavalli, oramai, siano considerati dai più animali d’affezione, per la legge italiana sono ancora animali da reddito.

A tal proposito, una proposta di legge, molto simile all’emendamento ellenico, è stata depositata dall’On. Michela Brambilla.

Con la proposta di legge n. 96, depositata nel 2018, si vuole fornire un’adeguata tutela agli equidi e assicurarne il loro riconoscimento come animali d’affezione, in virtù anche della sempre maggiore sensibilità che si sta diffondendo nei loro confronti.

L’intento è quello di porre gli equini sullo stesso piano giuridico dei cani e dei gatti, vietandone la macellazione e il consumo della carne, ma complessivamente rivedendo le norme che regolano le condizioni di vita di questi animali.

Nella proposta è sancito il divieto di macellazione di tutti gli equidi (cavalli, asini, muli e bardotti), il divieto di vendita e di consumo della loro carne su tutto il territorio nazionale e quello di importazione ed esportazione a fini alimentari, il divieto di usare gli equidi in spettacoli contrari alla loro natura e in esperimenti scientifici. Vengono, poi, fissati criteri per la custodia e la cura degli equini, per evitare la detenzione in condizioni non adeguate, ed è prevista l’istituzione di un registro anagrafico degli equini presso le Asl che dia garanzia di tracciabilità e riconducibilità all’effettivo proprietario o possessore. 

Dodici articoli la cui fonte è il principio contenuto nell’articolo 13 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, secondo cui l’Unione e gli Stati membri devono considerare, in primo luogo, le esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, dunque portatori di diritti. 

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