In ambito equestre, quando si parla di “responsabilità” si pensa subito alla responsabilità civile ma il tema è molto vasto, si articola su più livelli (disciplinare, amministrativo, civile e penale) e riguarda diversi soggetti, che si distinguono a seconda del loro coinvolgimento nel fatto illecito che provoca il sorgere della responsabilità.
In ambito penale, preliminarmente, è bene esplicare due principi, fondamento di questa responsabilità: il primo è il principio di legalità, sancito dall’art. 25 della Costituzione, secondo cui nessun cittadino può essere punito per un fatto che non costituisca reato. Si tratta di un principio di garanzia per i cittadini che sanno con certezza cosa è lecito e cosa, invece, non lo è. Altro principio cardine è l’art. 27 della Costituzione secondo cui la responsabilità penale è personale: per cui ognuno risponde delle proprie azioni e non può assumere responsabilità o conseguenze di un fatto illecito commesso da altri individui.
In ambito di responsabilità penale in ambiente equestre possono trovare configurazione vari reati.
Il primo, che si analizza, è l’omicidio colposo.
Questa fattispecie di reato è disciplinata dall’art. 589 del Codice Penale, è perseguibile d’ufficio, e si verifica quando il cavallo cagiona la morte di un’altra persona. In questo delitto, l’elemento soggettivo è la colpa ossia l’illecito è stato provocato in conseguenza dell’inosservanza di alcune disposizioni imposte dalla legge o di regole di buona condotta. In altri termini, il fatto illecito non deve essere stato volontariamente provocato ma bensì la causa deve ricercarsi nell’imprudenza, negligenza o imperizia. Il colpevole può essere individuato nel proprietario o conducente (che può essere anche l’istruttore) e sarà tenuto anche al risarcimento del danno.
Un esempio: il cavallo che colpisce con un calcio in viso, sul torace o in testa la persona che stava assistendo alla lezione a bordo campo oppure il cavallo che, disarcionando il suo conducente, travolge una persona (o più) e ne cagiona la morte.
Un ulteriore reato che potrebbe verificarsi è quello di lesioni personali colpose.
Questo è previsto dall’art. 590 del Codice Penale, perseguibile solo se la persona offesa lo richiede, e si verifica quando il cavallo cagiona un danno configurabile in lesione personale ad un individuo. Anche in questa fattispecie è richiesta la presenza della colpa quale grado di responsabilità soggettiva nell’accadimento del fatto. Per quanto riguarda le lesioni, invece, esse sono indentificate in una malattia nel corpo e nella mente e la norma ne disciplina tre diverse tipologie. La prima è la lesione gravissima, ossia quella lesione che provoca la perdita di un arto, una malattia insanabile o la perdita di un organo. Invece, sono lesioni gravi quelle lesioni che hanno come conseguenza quella malattia che rende inabile la persona di provvedere alle azioni quotidiane per un tempo superiore ai 40 giorni. Infine, con lesioni lievi s’intendono quelle che provocano conseguenze che rendono la persona non capace di provvedere alla quotidianità per un tempo non superiore ai 40 giorni. In questo caso, l’onere della prova, ossia il fornire prove della non responsabilità per l’illecito, è a carico del responsabile.
Esempio di lesioni colpose grave è l’allievo che cade da cavallo, rimanendo paralizzato o rompendosi un braccio oppure una persona che riceve un calcio di un cavallo non in punti vitali.
Altra previsione in materia è quella prevista dall’art. 544 ter del Codice Penale e che sanziona il maltrattamento di animali.
Tale fattispecie punisce colui che, senza necessità o per crudeltà, sevizia o sottopone a fatiche insopportabili per le caratteristiche etologiche gli animali. È bene evidenziare come, in questo reato, assume rilevanza qualsiasi atto od azione caratterizzati da una incompatibilità con le esigenze etologiche proprie della specie equide. Attualmente, sta prendendo sempre più piede in giurisprudenza la corrente di pensiero secondo cui il maltrattamento non si ha solo con lesioni fisiche bensì anche con lesioni prettamente psicologiche, che, quindi, arrechino sofferenza agli equidi. In questo caso, non è più prevista la colpa ma il dolo, consistente nella volontà manifesta di cagionare il fatto incriminato e, quindi, di arrecare la sofferenza agli animali.
Un esempio di maltrattamento è il picchiare un equidi o utilizzare la tecnica dello “sbarramento” .
Anche l’abbandono di animali è un reato ed è disciplinato dall’art. 727 del Codice Penale. La norma prevede l’incriminazione per la detenzione di animali in condizioni in contrasto con la loro natura.
Un esempio è dato da chi affida il cavallo a un centro ippico e gradualmente non lo visita più, omettendo le cure e il pagamento della pensione.