4. Considerazioni personali sul killer

Il F. è sicuramente da ascriversi nella categoria dei serial killer sadici, la sua condotta è caratterizzata infatti dal totale controllo fisico delle sue vittime animali e dal dominio psicologico delle vittime, umane e non. Come ampiamente descritto, il comportamento dell’uomo si caratterizza per essere particolarmente violento verso l’animale a cui prima dell’uccisione riserva indicibili torture. Il F. non traeva però un sadico piacere solo dalla tortura e dall’uccisione delle bestiole, ma un profondo senso di appagamento gli derivava altresì dall’inviare a coloro che gliele avevano affidate immagini e filmati raffiguranti le brutali efferatezze. L’intento sotteso a tale condotta è da ricercarsi nella volontà di colpire psicologicamente ed emotivamente la persona per il tramite della condotta violenta agita nei confronti dell’animale. Il killer era infatti sicuro che la visione delle immagini avrebbe provocato un forte turbamento nei destinatari, persone sensibili e premurose del benessere animale, che le spingeva a prodigarsi per trovare loro una sistemazione e questo provocava in lui una perversa eccitazione. La circostanza di inviare fotografie e filmati denota inoltre la totale assenza di vergogna e di rimorso da parte dell’esecutore per la condotta tenuta, considerazione questa che trova fondamento ex multis nella risposta del F. alla domanda rivoltagli dalla P. sul motivo per cui tenesse quel comportamento: “Mi diverto moltissimo”, ma anche nel tono esultante con cui lo stesso aveva annunciato la morte della povera gattina dopo ore ed ore di agonia. Qualsiasi persona dotata di empatia e sensibilità converrà con la scrivente nel trovare riluttante tale entusiasmo di fronte alle sofferenze patite da un essere vivente. Il modus operandi del killer è sempre lo stesso: trascorre intere giornate consultando, da casa o presso un internet point di Trescore, siti di annunci e quando viene pubblicata l’inserzione di qualche cucciolata o qualche gatto da adottare nella zona del bergamasco è il primo a chiamare; il suo interesse è indistinto, l’importante è avere a disposizione più gatti possibili e per questo spesso chiede di poter adottare intere cucciolate. Contattare inserzionisti privati consente all’uomo di avere un “territorio di caccia” più ampio e di non destare sospetti nelle volontarie di associazioni e gattili, luoghi in cui sarebbe più complesso passare inosservati e dover giustificare una continua richiesta di animali. La consegna degli sventurati micetti avveniva in genere nei pressi della sua abitazione, con modalità inusualmente veloci rispetto a quelle che di solito connotano le adozioni. Una volta nell’appartamento la loro permanenza lì era breve, verosimilmente non durava più di 24h, circostanza che spiegherebbe la continua ricerca di animali a così breve distanza da un’adozione all’altra. Si potrebbe dedurre che il killer nel suo agire sadico fosse mosso da un desiderio di dominio e prevaricazione; desiderio che riusciva a soddisfare attraverso la persecuzione di creature più deboli, nel caso di specie gli animali e le donne. Il F., la cui esistenza è permeata da limiti sociali, affettivi ed economici si sente così facendo potente o, per meglio dire, meno impotente. Donne e animali vengono posti sullo stesso piano, sono ridotti a cose su cui esercitare la propria supremazia, sono mezzi atti a sperimentare fino a che punto può spingersi il proprio potere; dominio che per quanto riguarda almeno i gatti si è tradotto nel potere di vita o di morte. A tal proposito appare significativo sottolineare che l’uomo era solito riferirsi alla P. con il soprannome, usato in tono dispregiativo, di “asinella” epiteto che denota una sorta di sovrapposizione donna/animale. Credo che le attenzioni del killer si siano concentrate prevalentemente sulla P. a causa del rifiuto da parte della stessa di affidargli i gattini. Il diniego deve aver scatenando nell’uomo una volontà di rivalsa nei suoi confronti. La donna attraverso il suo rifiuto gli ha impedito non solo di esercitare il suo controllo su di lei, ma anche di soddisfare quel piacere perverso e ingovernabile di avere a disposizione piccole creature da torturare; un diniego arrivato proprio da lei che agli occhi del F. rappresentava una sorta di fonte “inesauribile” di micini. La P. infatti era solita pubblicare annunci in cui regalava gattini poiché l’amore che la stessa nutre per questi animali la porta ad accogliere e ad occuparsi delle cucciolate indesiderate dei gatti della zona.

Alcune considerazioni merita anche la scena del crimine; è noto che, generalmente, la quantità di tempo che l’offender trascorre sulla scena è proporzionale al livello di sicurezza che prova mentre commette il crimine in quel particolare luogo, soprattutto laddove la condotta criminale implichi atti di tortura o sevizie che evidentemente presuppongono una certa spendita di tempo. Nel caso esaminato tali evidenze trovano assoluto riscontro in quanto il F. aveva prescelto quale luogo per perpetrare le violenze la propria abitazione, quindi un contesto in cui era sicuro di poter agire indisturbato. Del resto il grande disordine sulla scena del crimine, così come emerso dal sopralluogo, denota una certa sicurezza da parte dell’autore; sicurezza che potrebbe essergli derivata anche dalla concezione della scarsa considerazione di cui godono in genere gli abusi su animali, in cui l’autore non pensa di poter essere indagato e perseguito per un reato considerato in qualche modo di entità minore. A mio parere nella vicenda de quo possono ravvisarsi tre profili di grande rilievo: il primo è rappresentato dall’entità della pena inflitta che riflette l’oggettiva gravità dei fatti ed è sintomatica di una diversa sensibilità animalista che si sta diffondendo in giurisprudenza e che sta portando i giudici ad abbandonare progressivamente la concezione per cui i reati in danno agli animali siano da considerarsi reati caratterizzati da una lesività minima e da una scarsa rilevanza sociale.

Rilevante altresì lo stretto legame fra la pronuncia e il tema della violenza sugli animali quale indice predittivo di pericolosità sociale: sembra infatti potersi pacificamente affermare che essa sancisca la correlazione tra i reati contro gli animali, nel caso di specie il maltrattamento e uccisione di animali, e il reato di atti intimidatori.

La contestuale presenza di tali crimini attesta la condotta di maltrattamento-uccisione di animali quale efficace indicatore predittivo di altro comportamento antisociale, lesivo, violento, criminale.

Il maltrattamento/uccisione di animali non può considerarsi dunque un fenomeno isolato, bensì anello integrante di una spirale criminale di violenza anche interpersonale.

Da ultimo, trovo che ricopra notevole importanza l’atteggiamento virtuoso di chi, venuto a conoscenza della situazione, ha compreso subito la gravità degli accadimenti e ha deciso di agire, di denunciare e di collaborare, prima fra tutti S.P. che ha utilizzato queste parole per spiegarmi che cosa l’ha indotta a vincere la paura e ad agire: “Che altra scelta avevo? Bloccarlo (sull’applicazione di messaggistica istantanea per smartphone WhatsApp n.d.r.) e stare ad aspettare che altre donne subissero? Che altri gattini morissero? Io avevo capito che non era un uomo per bene, ma gli altri inserzionisti? Non potevo nascondere la testa sotto la sabbia e fregarmene di quello che avrebbe potuto fare a me e agli altri”.

«Noi non abbiamo due cuori, uno per gli animali, l’altro per gli umani. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, l’unica differenza è la vittima».
– Alphonse de Lamartine

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