Maltrattamento di animali: una guida pratica

Cosa possiamo fare se ci imbattiamo in una situazione di maltrattamento di animali? Alcune semplici regole per agire in modo corretto.
Avv. Elisa Scarpino

Avv. Elisa Scarpino

Responsabile rivista online "Diritto degli animali. Profili etici, scientifici e giuridici".

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I social network ci bombardano di immagini di animali maltrattati, picchiati, seviziati, denutriti o detenuti in piccoli spazi, spesso al buio o in condizioni ai limiti dell’umanità. Una condizione che riguarda in particolare animali a noi vicini, come cani e gatti, ma che non risparmia altri animali, ad esempio quelli ospitati nei circhi e negli zoo.

Visionando quelle fotografie o quei video ci si domanda sempre chi sia in realtà la bestia ed è altrettanto facile darsi una risposta.

Anche grazie alla diffusione di maggiore documentazione e di maggiori segnalazioni è, però, possibile porre fine a tali odiosi comportamenti e, spesso, gli animali oggetto di quei maltrattamenti hanno una possibilità di riscatto: se si tratta di cani, gatti e altri animali domestici, questo è possibile attraverso l’adozione in una nuova famiglia, mentre gli animali selvatici e da reddito vengono accolti in appositi centri di recupero e nei rifugi per animali da reddito, come ad esempio il Rifugio Miletta.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: se fossimo noi ad imbatterci in una situazione di maltrattamento di animali quali comportamenti dovremmo adottare? Ecco, dunque, qualche regola utile.

A chi rivolgersi?

Chiunque può rivolgersi a qualsiasi organo di Polizia Giudiziaria: la Polizia di Stato o i Carabinieri, ad esempio. Ogni organo della Polizia Giudiziaria è competente ed ha il dovere di intervenire.

Inoltre, diverse associazioni dispongono di apposite Guardie Zoofile, che sono diffuse a macchia di leopardo lungo tutta la penisola. Al momento, le più capillari sono forse quelle dell’OIPA: visitando il loro sito è possibile reperire un modulo da compilare per effettuare la segnalazione in base alla Regione ove avviene il maltrattamento.

Presso diversi Comuni è, poi, attivo un apposito ufficio dedicato alla tutela degli animali che è possibile interpellare al fine di far pervenire la propria segnalazione.

Infine, si possono contattare le associazioni che si occupano di tutela degli animali, le quali sapranno fornirvi ogni risposta utile ed il sostegno tecnico necessario, tramite contatto telefonico o mail.

Rammentiamoci, tuttavia, che nei casi di urgenza la segnalazione allo Sportello del Comune o alle Guardie Zoofile non è sufficiente. Nei casi di reale e imminente pericolo di vita per l’animale è, infatti, necessario rivolgersi immediatamente alle Forze dell’Ordine: Polizia Locale competente per territorio, Carabinieri o Polizia di Stato così da richiedere un intervento tempestivo e di evitare che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze.

Come procedere

Il secondo passo è quello, se possibile, di munirsi di fotografie o di video, di raccogliere ogni informazione utile anche prendendo nota di eventuali testimoni, di indicare il tipo di animale maltrattato, il tipo di maltrattamento e l’indirizzo esatto in cui è avvenuto o tuttora avviene, e di denunciare l’accaduto.

L’atto di esposto/querela potrà essere redatto con l’ausilio del proprio legale, di un’associazione, o anche personalmente recandosi presso gli uffici della Polizia di Stato o dei Carabinieri.

Nei casi di maltrattamenti di cui si è preso conoscenza tramite la rete, si può ottenere un’azione efficace segnalando il fatto alla Polizia Postale, che si occupa dei reati sul web, e può così risalire alle fonti della pubblicazione del materiale.

Il maltrattamento di animali è perseguibile d’ufficio: è possibile, quindi, denunciare un maltrattamento anche se si è stati testimoni ed anche se non riguarda un animale di vostra proprietà.

L’importante è agire e non voltarsi dall’altra parte. Il maltrattamento di animali è un delitto e chiunque assista al compimento di un reato ha, quantomeno, il dovere morale di denunciarlo.

Cosa prevede la legge?

Una volta individuate le regole da seguire in caso di maltrattamento, occorre comprendere quali siano le effettive situazioni prese in considerazione dal Codice Penale.

L’art. 544 ter c.p., rubricato “Maltrattamento di animali”, statuisce:

«Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000,00 a 30.000,00 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate o li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata se fai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale».

La norma prevede, dunque, tre distinte ipotesi di reato ed una quarta che ricalca quanto predisposto dall’art. 586 c.p. “Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”.

La prima condotta consiste nel causare una lesione all’animale quale conseguenza di un comportamento commissivo od omissivo e cagionato per ragioni di crudeltà o senza necessità. La seconda prende in considerazione l’eventualità che l’animale venga sottoposto a sevizie ovvero a fatiche e lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Infine, la terza fattispecie menzionata dalla norma sanziona condotte di sottoposizione dell’animale a trattamenti “dopanti, spesso diffusi nel mondo delle competizioni agonistiche. L’ultimo comma prevede, infine, un aumento di pena qualora dalle condotte di cui ai commi precedenti sia derivata la morte di un animale con tecnica normativa analoga a quella, come si anticipava, di cui all’art. 586 c.p.

Gli Ermellini hanno ritenuto sussistere il reato di maltrattamento di animali in casi di collocamento di quattordici cani adulti e sei cuccioli in uno spazio ristretto, esposti alle intemperie e senza lavaggio delle feci (Cass. pen., III sez., n. 32837), nell’aver sottoposto a sevizie ed a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche un cane dalmata di tre mesi che l’autore del reato costringeva a rimanere chiuso sul terrazzo della propria abitazione con qualsiasi condizione metereologica e che picchiava ripetutamente con una scopa e con calci (Cass. pen., sez. VII, n. 46579) o, ancora, nell’aver inflitto inutili vessazioni e sevizie ad un capo bovino che, pur essendo destinato al macello, avrebbe dovuto essere abbattuto immediatamente e, comunque, venire sedato per il trasporto in quanto incapace di deambulare e non, come invece fatto, agganciato per il muso con un puntale di ferro e quindi (dopo essere stato appeso in tal modo al verricello) trascinato con una corda ed abbandonato sanguinante e sofferente fino all’intervento di un veterinario che ne aveva constatato tale condizione (Cass. pen., sez. III, n. 42982).

Un esempio recentissimo è dato, infine, dalla ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso di uno sportivo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che lo condannava per aver preso a calci, durante la corsa, un cane di razza Yorkshire cagionandogli gravi lesioni consistite in “segni di emorragia polmonare” (Ord. Cass. Pen. Sez. VII, n. 9504/2017).

Albert Einstein sosteneva e non a torto:

Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che fanno del male, ma a causa di coloro che guardano senza fare niente.

Non perdiamoci di vista!

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