In Italia il tema della caccia è particolarmente dibattuto. Una discussione che va avanti ormai da anni ed è stata oggetto di proposte di referendum abrogativo che, per svariate ragioni, non hanno condotto agli esiti sperati.
La disciplina dell’attività venatoria
In Unione europea, il regime normativo della caccia affonda le sue radici nella direttiva comunitaria n. 79/4091Direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. che concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi, naturalmente allo stato selvatico, nel territorio europeo degli Stati membri. Fin dalla sua adozione la direttiva si prefiggeva gli obiettivi di protezione, gestione e regolazione delle specie incluse nel suo ambito di applicazione, disciplinandone lo sfruttamento.
A tal proposito, assumeva particolare rilevanza l’articolo 5, il quale poneva il divieto di:
- uccidere o catturare gli uccelli con qualsiasi metodo;
- distruggere o danneggiare deliberatamente i nidi e le uova (vigeva per i primi anche un divieto di asportazione);
- raccogliere e detenere le uova (anche se vuote);
- disturbare gli uccelli deliberatamente, in particolare durante il periodo di riproduzione;
- detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura.
Tuttavia, tale previsione subiva un’importante deroga dagli articoli 7 e 9. L’articolo 7 legittimava esplicitamente il ricorso alla caccia degli uccelli tutelati dalla direttiva in funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità. A norma dell’articolo 9 agli Stati membri era concesso adottare deroghe in riferimento alle previsioni di tutela introdotte dalla direttiva, seppure secondo rigidi criteri relativi alle motivazioni connesse alla loro adozione e alla disciplina che le autorizzasse.
Ad oggi la direttiva 79/409 è stata abrogata ad opera della direttiva 2009/1472Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici., la quale, recepisce integralmente le previsioni sopra menzionate. Le specie la cui tutela consente di procedere ad attività venatoria sono elencate nell’allegato II, con distinzioni specifiche rispetto all’area geografica nella quale possano essere cacciate (alcune in tutti i territori degli Stati membri, altre solo in specifiche aree geografiche). L’attività venatoria è soggetta in ogni caso:
- al rispetto dei principi di saggia utilizzazione e regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate;
- al mantenimento o adeguamento della popolazione di uccelli tutelati dalla direttiva a un livello che corrisponda alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenuto conto di quelle economiche e ricreative;
- a un generale divieto applicabile durante i periodi di nidificazione, riproduzione, e in caso di specie migratrici, di ritorno al luogo di nidificazione;
- al divieto di ricorrere a mezzi, impianti e metodi di cattura o di uccisione di massa o non selettivi (l’allegato IV, lettera a, individua taluni metodi specificamente vietati).
In Italia l’attività venatoria è disciplinata dalla legge 157/19923Legge 11 febbraio 1992, n. 157. intitolata Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio che, recependo la direttiva comunitaria 79/409, ha statuito che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e che è lo Stato a disciplinarne la sottrazione. Secondo l’articolo 1 «l’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non in contrasto con la conservazione della fauna selvatica o causa di danneggiamenti alle produzioni agricole».
Le proposte di referendum sulla caccia del 2021: le richieste del Comitato Ora rispetto per tutti gli animali
È in questo quadro generale che, nel 2021, sono state avanzate proposte di referendum sul tema caccia da due differenti comitati.
Il Comitato Ora rispetto per tutti gli animali ha avanzato due richieste di referendum abrogativo: in primo luogo circa l’abrogazione integrale dell’articolo 842 del Codice civile e, poi, circa l’abrogazione di alcune disposizioni della legge 157/1992.
Relativamente all’articolo 842 del Codice civile, quest’ultimo dispone che «Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno». A stabilire le modalità di chiusura del fondo è la stessa legge 157/1992 la quale, all’articolo 15, stabilisce che i fondi debbano essere recintati per tutto il loro perimetro con una rete metallica o un muro di altezza non inferiore a 1,20 metri o comunque delimitati da corsi d’acqua perenni il cui letto deve essere profondo almeno 1,50 metri e largo non meno di 3 metri. In alternativa alle recinzioni, la stessa legge prevede che il proprietario del fondo, secondo modalità e tempi previsti dalla Regione di appartenenza, possa inoltrare, entro 30 giorni dalla pubblicazione del piano faunistico venatorio, una richiesta motivata al presidente della giunta regionale al fine di escludere il proprio fondo dalla pianificazione venatoria che dovrà essere esaminata entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta. Essa, per poter essere accettata, non deve contrastare con la pianificazione territoriale a fini venatori o comunque deve rientrare nei casi specificatamente previsti dalle norme regionali.
Tale ultima previsione trasforma così questa seconda possibilità di esclusione del proprio fondo dalle aree all’interno delle quali sia possibile procedere ad attività venatoria, all’apparenza più semplice e maggiormente accessibile, in un percorso complesso e che difficilmente si conclude con esito positivo. In sostanza, la ragione per cui il comitato ha avanzato la proposta di abrogazione del presente articolo risiede nel fatto che, in questo modo, risulta garantita soltanto la proprietà di quei cittadini che possano permettersi costose recinzioni, in violazione quindi non solo dell’articolo 42 della Costituzione, secondo il quale la proprietà privata non solo è riconosciuta ma anche garantita dalla legge, ma anche del principio di uguaglianza sancito all’articolo 3.
La richiesta di abrogazione integrale, quindi, mirava non semplicemente a sottrarre il conduttore del fondo all’applicazione di una normativa, quella della legge 157/1992, che gli è del tutto sfavorevole, ma ad eliminare il problema alla radice, cancellando dall’ordinamento una norma che consente a chiunque sia in possesso di una licenza di caccia di entrare nei fondi altrui.
Con riferimento alla seconda richiesta avanzata con referendum abrogativo, l’obiettivo era quello di abolire quelle disposizioni della legge 157/1992 volte a disciplinare e permettere l’attività venatoria: così facendo si sarebbe eliminata qualunque forma di legittimazione della stessa, lasciando però allo Stato il compito di provvedere alla tutela della fauna selvatica, senza alcun contrasto con la normativa comunitaria.
Il Comitato Ora rispetto per tutti gli animali aveva quindi proposto l’abrogazione totale o parziale di alcuni articoli. Si richiedeva ad esempio l’abrogazione integrale degli articoli 12 e 13 della legge, rispettivamente intitolati Esercizio dell’attività venatoria e Mezzi per l’esercizio dell’attività venatoria. La loro totale eliminazione avrebbe comportato l’impossibilità di praticare attività venatoria di qualsiasi genere considerato che, ad esempio, l’articolo 12 dispone che «L’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge. Costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all’abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l’impiego dei mezzi di cui all’articolo 13». Ancora, era prevista l’abrogazione totale dell’articolo 18 riguardante le specie cacciabili e i periodi di attività venatoria e dell’articolo 22 che stabilisce che «La licenza di porto di fucile per uso di caccia è rilasciata in conformità alle leggi di pubblica sicurezza. Il primo rilascio avviene dopo che il richiedente ha conseguito l’abilitazione all’esercizio venatorio a seguito di esami pubblici dinanzi ad apposita commissione nominata dalla regione in ciascun capoluogo di provincia […]».
L’abrogazione parziale di alcune disposizioni riguardava, invece, quegli articoli aventi ad oggetto non solo la disciplina dell’attività venatoria in sé ma temi ulteriori, al fine di preservare le parti della legge utili a disporre la necessaria tutela della fauna selvatica. Si pensi ad esempio all’articolo 6, che dispone «Le regioni, sulla base di apposito regolamento, disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei». Tale articolo è dedicato alla pratica della tassidermia: tecnica per la conservazione di animali morti che consiste nel trattamento della pelle con sostanze conservative e nella successiva imbottitura e armatura della stessa in modo da conferire agli animali l’aspetto e la postura di quelli vivi. Rispetto a tale articolo, il Comitato aveva richiesto l’eliminazione di quei periodi facenti riferimento all’attività venatoria. In relazione al comma 2, che stabilisce i casi in cui i tassidermisti autorizzati debbano segnalare all’autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie, stabilendo che ciò debba sempre avvenire in riferimento alle specie protette non cacciabili o a quelle cacciabili qualora l’imbalsamazione fosse effettuata in periodi diversi rispetto a quelli stabiliti nel calendario venatorio per la caccia di quella specie, la proposta del Comitato volgeva all’eliminazione della possibilità di procedere alla richiesta con riferimento alle specie cacciabili, coerentemente con l’obiettivo di provvedere alla completa soppressione delle attività venatorie. Così, allo stesso modo, veniva proposta l’abrogazione parziale del comma 3 il quale, nel definire le sanzioni cui soggiacia il tassidermista che non si conformi al dovere di segnalazione, stabilisce oltre alla revoca dell’autorizzazione, l’applicazione delle pene cui soggiace chi detenga esemplari di specie protette o «chi cattura esemplari cacciabili al di fuori dei periodi fissati nel calendario venatorio», periodo di cui veniva proposta l’abrogazione. Allo stesso modo si procedeva con riferimento all’articolo 8, rubricato Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, secondo il quale veniva appunto istituito presso il Ministero dell’agricoltura e delle foreste, il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale (CTFVN). Al Comitato sono conferiti compiti di organo tecnico consultivo per tutto quello che concerne l’applicazione della legge 157/1992, anche in quelle parti in cui quindi la stessa provveda a disciplinare la tutela della fauna selvatica. Dell’articolo 8 si richiedeva l’abrogazione, dei commi 1, 2 e 4, limitatamente al termine “venatorio”.
Tale richiesta dimostra chiaramente l’obiettivo verso cui il quesito referendario tendeva: eliminare ciascun riferimento all’attività venatoria, salvaguardando però gli obiettivi di tutela della fauna selvatica.
Le richieste del Comitato Sì Aboliamo la Caccia
Una simile iniziativa, animata dal medesimo scopo, era stata portata poi avanti anche dal secondo comitato, Sì Aboliamo la Caccia, con riferimento però a una sola proposta referendaria relativa all’abrogazione di alcune disposizioni della legge 157/1992.
Nonostante numerosi punti in comune tra le due iniziative, la richiesta del Comitato Sì Aboliamo la Caccia risulta essere più stringente sotto molteplici punti di vista.
Con riferimento all’articolo 1 della legge, si richiedeva l’abrogazione del riferimento operato dallo stesso all’articolo 9 della direttiva 2009/147, che al pari di quanto specificato per la previgente direttiva 79/409, stabilisce le condizioni alle quali uno Stato membro possa — in assenza di soluzioni alternative — derogare al regime che dispongono gli articoli da 5 a 8 della direttiva.
Con riferimento all’abrogazione proposta, si domandava, quindi, di eliminare il riferimento a quelle parti dell’articolo 9 della direttiva che concedono l’adozione di deroghe nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica e della sicurezza aerea.
A norma dell’articolo 1 della legge 157/1992 lo Stato, le Regioni e le Province autonome sono obbligate all’adozione delle misure necessarie per mantenere o adeguare le popolazioni di tutte le specie di uccelli ricomprese nella direttiva 2009/147 a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche, turistiche e culturali, tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative e facendo in modo che le misure adottate non provochino un deterioramento dello stato di conservazione degli uccelli e dei loro habitat. L’articolo fa, tuttavia, salve le finalità di cui all’articolo 9 summenzionate.
L’abrogazione di tale riferimento avrebbe dunque comportato l’impossibilità per Stato, Regioni e Province autonome di poter derogare alle disposizioni di cui all’articolo 1 della Legge 157/1992, se non nel caso in cui ciò avvenisse, a norma dell’articolo 9 della Direttiva, per finalità diverse dall’interesse della salute e della sicurezza pubblica (segnatamente le restanti ragioni che avrebbero potuto soggiacere a una deroga sarebbero state la prevenzione di gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque nonché la protezione della flora e della fauna).
La stessa tendenza stringente risulta dalla richiesta di abrogazione totale dell’articolo 8 della legge 157/1992. Ciò avrebbe comportato la completa soppressione del Comitato faunistico-venatorio, anche con riferimento a quei compiti operati in relazione alle disposizioni a tutela della fauna selvatica. Allo stesso modo è stata proposta l’abrogazione totale dell’articolo 9 riguardante le funzioni amministrative in materia faunistico-venatoria spettanti alle regioni, a quelle a statuto speciale e alle province autonome.
Di particolare rilevanza, risultano essere gli articoli 30 e 31 della legge 157/1992, rispettivamente dedicati alle Sanzioni penali (nei fatti, poi, tutte contravvenzioni) e alle Sanzioni amministrative di cui il Comitato Sì aboliamo la caccia aveva richiesto la totale abrogazione con un particolare scopo: far sì che la violazione dei divieti imposti dalla legge fosse sanzionata ai sensi degli articoli 544 bis e ter del codice penale e che, quindi, tali violazioni fossero trattate come veri e propri delitti.
I punti in comune tra le proposte referendarie
Per le restanti parti, è possibile constatare che le le richieste avanzate dai due comitati fossero sostanzialmente molto simili. Ambedue i comitati proponevano infatti l’abrogazione:
- dell’articolo 5 della legge, rubricato Esercizio venatorio da appostamento fisso e richiamo in base al quale è affidato alle regioni il compito di emanare norme per regolamentare l’allevamento, la vendita e la detenzioni di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili nonché il loro uso in funzione di richiami;
- degli articoli 18 e 22 (sopra citati);
- dell’articolo 32 Sospensione, revoca e divieto di rilascio della licenza di porto di fucile per uso di caccia. Chiusura o sospensione dell’esercizio;
- dell’articolo 34 che disciplina le associazioni venatorie.
In sostanza, quindi, seppur con modalità in parte differenti, entrambi i comitati miravano al raggiungimento del medesimo obiettivo, ossia quello di apportare alla legge 157/1992 modifiche tali da mantenere intatta la tutela della fauna selvatica, andando però a eliminare qualunque forma di caccia legale.
Cosa è accaduto alle proposte di referendum?
Sebbene le intenzioni fossero insindacabili, purtroppo entrambe le iniziative sono terminate con esito negativo. Si è sostenuto che le proposte di referendum fossero state promosse in pieno periodo pandemico ed estivo, che i quesiti fossero molteplici sullo stesso tema, che gli stessi fossero altamente tecnici e che dovessero essere meglio veicolati al grande pubblico.
Si auspica che iniziative di così grande rilevanza, possano, in futuro, essere frutto di un più ampio lavoro di squadra che coinvolga tutte le organizzazioni competenti e unite nella stessa direzione.
Note
- 1Direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
- 2Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
- 3Legge 11 febbraio 1992, n. 157.