La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha parzialmente riformato la sentenza di condanna emessa dal GUP del Tribunale di Bolzano per i reati contestati all’imputato di violenza sessuale aggravata, atti persecutori, uccisione di animale, disponendo altresì l’applicazione della misura di sicurezza, a pena detentiva espiata, della casa di cura e lavoro.
Le sentenze di merito accertavano che l’imputato aveva costretto la vittima in due occasioni a subire un rapporto sessuale completo, previa ingestione di una sostanza che la rendeva incapace di agire, nonché di aver compiuto atti persecutori nei confronti della vittima e, infine, di aver cagionato, per crudeltà e senza motivo, la morte dei conigli della persona offesa.
Al di là della sanzione di inammissibilità del ricorso proposto davanti alla Corte di cassazione, merita attenzione il dato — di per sé marginale nell’economia della vicenda e che può essere solo intuito dalle poche righe che la sentenza dedica a questo profilo — del concorso materiale dei reati contestati all’imputato riconosciuto colpevole. Accanto a reati contro la libertà individuale della persona offesa, vittime trasversali di un rapporto evidentemente malato, sono stati i conigli della persona offesa.
La sentenza di sei anni e otto mesi di reclusione, oltre alla misura di sicurezza, è stata quindi confermata.
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La sentenza
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2017) 20-10-2017, n. 48347 – Pres. Fiale, Rel. Gai
1. Con sentenza in data 1 dicembre 2016, la Corte d’appello di Trento, sez. dist. di Bolzano in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bolzano, ha ridotto la pena inflitta a U.T. ad anni sei e mesi otto di reclusione, per i reati di cui all’art. 609 – bis c.p., art. 609 – ter c.p.c., n. 2, (capo a), art. 612 – bis c.p., (capo b), art. 544 – bis c.p., (capo c), art. 609 – bis c.p., e art. 609 – ter c.p., n. 2, (capo d): fatti commessi il Sharm El Sheikh dal 26 al 27 luglio 2015 (capo a), in (OMISSIS) (capi b e c) e il 14/08/2015 (capo d), ai danni di M.P.. Con la medesima sentenza la Corte d’appello ha disposto l’applicazione della misura di sicurezza, a pena detentiva espiata, “della casa di cura e lavoro”.
Secondo quanto accertato dalle conformi sentenze di merito, l’imputato è stato condannato per i reati di violenza sessuale aggravata, per aver costretto M.P., in due occasioni, nelle date e luoghi sopra indicati, a subire un rapporto sessuale completo, previa ingestione di una sostanza che la rendeva incapace di agire, nonchè per il reati di stalking per avere, con condotte reiterate di minaccia e molestie, compiuto atti persecutori che costringevano la persona offesa a mutare le proprie condizioni di vita, e di maltrattamento di animali per avere, per crudeltà e senza motivo, cagionato la morte di conigli della persona offesa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’avv. D.L., quale sostituto processuale, ex art. 102 c.p.p., del difensore di fiducia avv. S.Z. e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio per avere la Corte d’appello non considerato che, dalla confessione resa da parte dell’imputato, non era emersa la circostanza che questi avrebbe fatto ingerire, con il succo d’arancia, del narcotico alla persona offesa prima della violenza sessuale, circostanza che avrebbe dovuto condurre ad un trattamento sanzionatorio più mite.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce l’assenza di pericolosità sociale dell’imputato, chiede una nuova perizia e censura la disposta misura di sicurezza nei confronti dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo censura la sentenza sul capo delle statuizioni civili e chiede una riduzione della condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è inammissibile.
5. Deve, in primo luogo, rilevarsi che il ricorso per cassazione è stato redatto e depositata dall’avv. D.L., nella qualità di sostituto processuale del difensore avv. S.Z., giusta nomina a sostituto processuale, ex art. 102 c.p.p., allegata al ricorso.
L’avv. Z. non è abilitato al patrocinio avanti alla Corte di cassazione, sicché il ricorso dell’avv. L., quale mero sostituto processuale del primo, benché abilitato al patrocinio avanti alla Corte di cassazione, è inammissibile perché presentato da persona non legittimata, in quanto l’avv. L. non è difensore dell’imputato e non è legittimato in virtù della nomina a sostituto processuale dell’avv. Z., avvocato privo della legittimazione a presentare il ricorso in quanto non risulta iscritto nell’albo speciale di cui all’art. 613 c.p.p..
L’assenza di abilitazione al patrocinio di legittimità impedisce al difensore di proporre il ricorso e di esercitare le facoltà correlate all’esercizio del mandato difensivo, in essa compresa la nomina come sostituto di altro difensore, che, pur abilitato al patrocinio in cassazione, non potrebbe esercitare detta facoltà in quanto non legittimamente investito di tale potere e non titolare di soggettività difensiva autonoma (Sez. 1, n. 44690 del 10/12/2015, Allegrini, Rv. 268287).
Per tale ragione il ricorso per cassazione sottoscritto e presentato dal sostituto processuale dell’avvocato di fiducia che non risulta iscritto nell’albo speciale di cui all’art. 613 c.p.p. e non sottoscritto dalla parte personalmente è inammissibile.
6. In ogni caso, i motivi di ricorso non superano il vaglio di inammissibilità perché diretti a proporre censure di fatto (primo motivo) o di carattere generico (secondo e terzo motivo).
Il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo, muove censure prettamente fattuali tese a ridimensione la gravità del fatto contestato mettendo in discussione la ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 609 – ter c.p., comma 2 (ingestione di un narcotico nel succo d’arancia), attraverso una rilettura parziale delle prova.
Deve osservarsi, infatti, che le censure proposte dal ricorrente non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico.
7. Alla stessa conclusione si deve pervenire con riguardo al secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente contesta le conclusioni dei periti che hanno riconosciuto la pericolosità sociale dell’imputato per l’applicazione della misura di sicurezza e chiede un nuovo esame della stessa pericolosità sociale. Peraltro, la sentenza impugnata risulta congruamente motivata laddove, dopo aver preso in esame le conclusioni del perito e del consulente di parte, i profili di pericolosità sociale dell’imputato sotto tutti i profili devoluti, sicché il motivo finisce così per essere generico non confrontandosi con la motivazione della sentenza. Infine, deve rammentarsi, che ad un nuovo giudizio di pericolosità si procederà nel momento in cui verrà applicata la misura di sicurezza a pena espiata.
8. Di carattere generico è il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente censura la sentenza di impugnata sulla determinazione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, limitandosi a chiedere a questa Corte una riduzione della stessa, motivo che è, all’evidenza inammissibile perché non proponibile in questa sede.
9. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposta dalla legge.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017