Le3Rs e la legislazione

Il principio delle 3R è stato accolto dalla legislazione europea. Le direttive hanno recepito il lavoro di Russel e Burch. Poi, alcuni paesi implementano di più, altri di meno.

La prima direttiva che riflette queste 3R è la Direttiva del 1986, cui è seguita la nuova direttiva del 2010, che non si chiama direttiva sulla vivisezione né sulla sperimentazione animale, bensì si fregia del titolo “Direttiva sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici” e pazienza se suona come un ossimoro; poi ci sono gli atti normativi interni che a livello di Stati membri implementano le direttive comunitarie. In Italia abbiamo il Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 26  recante “Attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”.

«L’implementazione delle direttive ha delle sfumature diverse, che non sono poi tanto sfumature, nei vari Stati membri – ha spiegato Gribaldo – nel senso che ci sono Stati membri che implementano in modo più stringente la direttiva e altri meno: l’Italia è tra quelli che hanno un’attenzione molto importante sul benessere animale e che quindi ha implementato in modo piuttosto rigoroso la direttiva della Commissione.

Poi ci sono una serie di leggi e sistemi di regolamenti in Europa che tengono conto della direttiva e del concetto delle 3R, cioè che hanno già introdotto nei vari protocolli il concetto delle 3R, e sono per esempio:

E poi ci sono le regole per la validazionedei metodi sostitutivi: «perché ogni volta che un test viene usato per rimpiazzare l’animale, o anche per ricavare informazioni che servono per ridurne il numero da impiegare, di questo test deve essere verificata la riproducibilità attraverso un sistema di comparazioni fra laboratori e dev’essere valutata la rilevanza, cioè quanto è predittivo di un certo meccanismo biologico o di una certa tossicità» -ha spiegato la relatrice.

E pazienza se il modello animale, usato come pietra di paragone per validare i metodi alternativi, non è mai stato validato e comunque se ne conoscono i pesanti limiti di traducibilità: quel gap che viene dato da tutti per scontato:il “Drug Attrition Rate” e quel famoso 92”% di fallimento nel passaggio dei dati dall’animale all’essere umano, che dovrebbe farci concludere come la sperimentazione su animali sia di fatto un salto nel buio, con buona pace di tutti, meno che degli antivivisezionisti scientifici, cioè coloro che avversano(anche o soltanto) sul piano scientifico la sperimentazione sugli animali (e anche questo merita un articolo a sé).

Ma torniamo alla relazione di Laura Gribaldo: «Le conclusioni del testo di Russele Burch erano che Se dobbiamo usare un criterio per scegliere gli esperimenti da realizzare, il criterio dell’umanità (intesa come compassione, empatia perla sofferenza animale, e quindi della minor sofferenza possibile) è il migliore che noi possiamo inventare. Inoltre, i più grandi esperimenti scientifici sono sempre stati i più umani e i più attrattivi esteticamente, quindi quelli che hanno condensato in se stessi il senso della bellezza e dell’eleganza che è l’essenza della scienza quando ottiene i suoi migliori successi. Questo per ribadire che un esperimento elegante, bello, attraente, non può esimersi dal tenere conto del benessere animale». Insomma, non si può disgiungere etica e scienza.

Infine, senza tralasciare il mondo dell’economia e del lavoro, pregevole è stata la tavola rotonda conclusiva sul futuro lavorativo con i metodi alternativi, un futuro che si sta già dischiudendo e sempre più lo farà, ma io aggiungerei: a una condizione, e cioè che in ottemperanza alla direttiva, gli enti regolatori e i poteri politici ed economici (mai dimenticare il motore dei finanziatori) operino per il conseguimento dell’obiettivo finale –sancito dalla direttiva, appunto- della completa sostituzione delle procedure su animali vivi a fini scientifici ed educativi.

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