La sperimentazione condotta su animali presuppone che questi, nei laboratori di ricerca, siano tenuti in cattività quindi in gabbie piccole, anguste, gabbie di contenzione (primati), privati della libertà e costretti a vivere in ambienti completamente artificiali, in altre parole in condizioni assolutamente innaturali. Eppure, la maggior parte dei ricercatori dichiara che gli animali da esperimento sono «trattati meglio degli stessi pazienti nelle corsie degli ospedali», espressione più volte affermata a gran voce in tante situazioni pubbliche.
Mi astengo dal commentare queste assurdità, che reputo non solo non rispondenti a verità, ma assolutamente gravi per potersene fare un vanto. Forse gli sperimentatori cercano di fare il possibile per intortare il povero cittadino o la povera mamma a cui viene sempre lanciato il solito slogan: «meglio il cane o l’uomo, meglio il topo o tuo figlio». Questo è solo mistificare la realtà, perché quello che si ottiene sull’animale prima deve comunque essere verificato sull’uomo successivamente, e troppo spesso il cane e/o il topo mettono seriamente a rischio l’uomo e il bambino.
Quanti praticano la sperimentazione animale sostengono di non essere degli aguzzini e di avere a cuore il benessere animale, dichiarando di stare molto attenti a evitare stress e sofferenze agli animali. Tuttavia, qualsiasi animale che si trovi in condizioni di prigionia —uomo compreso — non può certo essere considerato in una situazione di benessere e va incontro inevitabilmente a sofferenze fisiche e psicologiche. Gli stessi sperimentatori sostengono che, ai fini della riuscita dell’esperimento, la sofferenza dell’animale deve essere evitata perché lo stress altera le reazioni dell’organismo condizionando la risposta ai test.
Persino la sperimentazione sull’uomo condotta in soggetti privati della libertà (vedi carcerati) o sottoposti alle più assurde atrocità (vedi campi di sterminio) non hanno prodotto risultati “attendibili” dal punto di vista scientifico. Un esempio per tutti, tratto dal libro del prof. Pietro Croce “Vivisezione o Scienza”:
«Il tema è per quante ore un corpo umano può resistere in acqua alla temperatura di 10-12 gradi. Questa è la condizione nella quale vengono a trovarsi i piloti della Luftwaffe quando sono costretti a lanciarsi con il paracadute nel Mare del Nord. Da quel momento, di quante ore dispongono i mezzi aerei e navali per tentare il salvataggio? Si prova con gli ebrei in una piscina d’acqua fredda. Si cronometra l’agonia». Ebbene: L’ESPERIMENTO È SCIENTIFICAMENTE NULLO! L’errore si compendia nella seguente proposizione: «In molti casi, nemmeno l’uomo può costituire modello sperimentale dell’uomo». Perché? Perché dal momento in cui cessa di essere PERSONA per diventare MODELLO SPERIMENTALE, si spezza l’unione tra corpo e anima, tra soma e psiche, tra materia e VITA. Proviamo a rispondere alla seguente domanda: è legittimo paragonare la vittima (il “modello sperimentale”) — povero essere strappato alla famiglia, trasportato in un carro bestiame per giorni e giorni senza cibo né acqua, gettato in una lurida baracca, affamato e nell’ultima fase, la più tragica, la più avvilente e angosciosa, messo all’ingrasso come un maiale da macello e infine, portato al macello — è legittimo paragonare questa vittima miseranda con un giovane pilota, forte nel fisico e nel morale, perfettamente allenato sul piano atletico e tecnico, esaltato dalle vittorie conseguite, deciso a sopravvivere, consapevole che i suoi camerati stanno cercandolo per trarlo in salvo? È possibile fare un paragone? Tra ebreo-cavia e il pilota-eroe, chi sopravviverà di più nell’acqua fredda? La risposta sembra scontata: naturalmente — si dirà — muore prima l’ebreo-cavia, è così ovvio… E invece, non lo è affatto basta mettersi da un punto di vista diverso, per convincersi che si può capovolgere totalmente la conclusione. Riprendiamo in esame, sotto un’ottica diversa, la condizione psicofisica dei due soggetti messi a confronto:
1) L’ebreo-cavia (cioè il “modello sperimentale”) oramai privo di speranza si chiude in se stesso, si prepara ad una morte liberatoria. L’introversione e la rassegnazione deprimono le forze vitali, si rallenta il tono muscolare e si riduce la produzione di ormoni reattivi (adrenalina, ormoni corticoidi). Il metabolismo si abbassa, i tessuti producono meno calore, quindi meno calore si disperde nell’acqua e la morte per assideramento tarda.
2) Al contrario, il pilota dell’aereo da combattimento fa appello a tutte le energie fisiche e psichiche, si mantiene attento e attivo: la produzione di ormoni reattivi si esalta, aumentano il tono muscolare e la produzione di calore. Maggiore quantità di calore si disperde nell’acqua nell’unità di tempo, quindi l’assideramento interviene rapidamente.
Ed ecco il paradosso: ambedue le ipotesi sono scientificamente valide, eppure sono antitetiche. L’ipotesi di segno (+) viene annullata dall’ipotesi di segno (-). La media aritmetica è ZERO. L’esperimento non ha insegnato nulla, NON È SERVITO A NULLA. La storia recente dimostra, infatti, che nessuno degli esperimenti eseguiti nei campi di concentramento nazisti ha avuto alcuna incidenza sulla scienza medica negli anni successivi. Eppure si tratta di esperimenti intra speciem».