Le meraviglie della tossicogenomica

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Nell’articolo precedente abbiamo trattato il tema dei metodi alternativi al modello animale. Abbiamo chiarito come andrebbero meglio definiti metodi sostitutivi, in quanto essendo sottoposti alla validazione scientifica, dovrebbero andare a sostituire il metodo sull’animale, ma le cose non stanno affatto così. Questi metodi, che meritevoli di una trattazione dedicata, che affronteremo più avanti con altri articoli, essendo sottoposti a validazione scientifica, dovrebbero obbligatoriamente andare a sostituire il metodo sull’animale, mai sottoposto al vaglio della Scienza, ma questo, come abbiamo più volte sottolineato, non avviene. L’attuale Direttiva Europea (2010/63/UE) che regolamenta l’uso dell’animale nella ricerca, non li rende obbligatori, e questo limita moltissimo il loro utilizzo e la loro incentivazione, privando la ricerca scientifica di metodi tecnologicamente avanzati e molto più attendibili del modello animale.

Riservandomi di trattare a parte le metodiche sostitutive del modello animale, volevo intanto prendere in esame uno dei tanti metodi di ricerca innovativi come la tossicogenomica. Questo metodo consente di osservare il modo in cui una determinata sostanza altera la funzione dei geni all’interno di una cellula. Questa tecnica consente di valutare anche le modifiche a lungo termine in quanto le colture cellulari, a differenza dei topi, che vivono al massimo due anni, hanno una vita di moltissimi anni, in certi casi, alcune tipologie di colture cellulari, possono considerarsi eterne!

Applicando questo metodo a colture di cellule umane si ottiene la valutazione delle aggressioni biologiche provocate dal prodotto in esame. In particolare si può studiare il danno potenziale all’intero organismo umano utilizzando diverse colture cellulari di diversi tessuti umani. I risultati così ottenuti sono “human based”, riferiti cioè all’uomo e non ad un’altra specie. In altri termini con questa tecnica si ottengono risultati riferiti unicamente alla specie umana e quindi informazioni sui danni potenziali delle centinaia di migliaia di sostante estranee al nostro organismo. Le sostanze potenzialmente nocive per la nostra salute e per l’ambiente, definite anche xenobiotici, sono centinaia di migliaia, e ogni anno ne vengono prodotte di nuove. Tutte queste sostanze, oltre a provocare danni alla salute e all’ambiente, fanno lievitare la spesa economica, devono necessariamente essere testate e questo comporta un ulteriore aggravio economico.

Secondo la Commissione Europea, i danni causati da 100.000 sostanze chimiche alla salute umana costano 52 miliardi di euro l’anno. Utilizzando il modello animale per testare solo 12 mila delle 100 mila sostanze da valutare, si spenderebbero da 2,8 a 3,6 miliari di euro, mentre per testare tutte e 100 mila sostanze con i test di tossicogenomica se ne spenderebbero appena 1,5 miliardi. Il tempo stimato per testare solo 12 mila sostanze con il modello animale è di almeno 3 anni e oltre.

Secondo Antidote Europe, per testare non 12 mila, ma tutte e 100 mila sostanze con la tossicogenomica basterebbero 2 anni. Infatti è possibile testare fino a 1000 sostanze in contemporanea e un test completo richiede appena 1 settimana! In Europa esistono alcune imprese (in Germania e in Francia) che hanno sviluppato questo metodo di ricerca, coperto già da brevetti. Quindi l’Europa sarebbe all’avanguardia senza essere subalterna ai brevetti americani o giapponesi. Le piccole industrie, di gran lunga più svantaggiate rispetto alle multinazionali della chimica, affronterebbero meno spese economiche e non sarebbero a rischio di chiudere, qualora dovessero testare le sostanze prodotte facendo ricorso al modello animale molto più costoso.

Anche in campo farmacologico si stanno conducendo da anni studi di Farmacogenetica e di Farmacogenomica al fine di evitare o per lo meno ridurre al minimo, gli effetti collaterali dei farmaci con l’obbiettivo di dare il farmaco “giusto” al paziente “giusto”, personalizzando il più possibile la terapia. La farmacogenetica è una branca emergente della farmacologia che si occupa dei fattori genetici ereditari che creano differenze tra i vari individui nella risposta ai farmaci. Dal Progetto Genoma, che ha sequenziato l’intero genoma umano, sappiamo che il DNA è identico in tutti gli individui per il 99,9 %, ma il restante 0,1% fa sì che ognuno di noi sia diverso dagli altri. Questa variabilità naturale delle sequenze di DNA determina effetti diversi anche in risposta ai farmaci. La farmacogenetica studia come queste differenze determinino risposte diverse ai farmaci e come queste informazioni possano essere sfruttate per poter realizzare una terapia personalizzata, basata sul corredo genetico di ogni singolo individuo. Personalizzare la cura significherà una maggiore efficacia del farmaco (il farmaco giusto al paziente giusto) riducendo al minimo o evitando gli effetti collaterali.

La farmacogenomica è una branca della biologia che si occupa del ruolo della genetica nella risposta ai farmaci. Essa comprende lo studio del genoma (DNA) e dei suoi prodotti (RNA e proteine) e la correlazione con la risposta a livello cellulare e tessutale al farmaco col fine di individuare nuovi bersagli terapeutici e quindi nuovi farmaci individualizzati. Si basa quindi sull’analisi dell’intero genoma di un individuo per identificare sia geni che possano essere utilizzati come target per nuove terapie, sia profili genetici individuali dai quali può dipendere la risposta ai principi attivi quindi all’ azione farmacologica.

Questi sono solo degli esempi di metodiche di ricerca avanzate che porterebbero a dei risultati incredibilmente innovativi con un enorme risparmio sia in termini economici che in termini di salute e salvaguardia della vita umana. Ma perché non vengono incentivate e perché si continua con il solito metodo di ricerca che fa uso di altre specie animali che ci portano in tutt’altra direzione!? Al VII Congresso mondiale sulla sperimentazione animale del 2009, Herman Koeter, copresidente, già direttore dell’EFSA ha affermato: “Le nuove tecnologie sono capaci di raccogliere una quantità mai raggiunta prima d’informazioni sui possibili effetti avversi recati da una sostanza ai sistemi biologici, ed una conoscenza ben maggiore di quella fino ad oggi individuata e capita. Esse ci faranno considerare, in un futuro assai vicino, l’uso degli animali a fini sperimentali estremamente obsoleto”.

Eppure la sperimentazione sull’animale non solo non diminuisce, ma si continua ad affermare, da parte di quanti ancora la sostengono, senza per altro dimostrarlo, che è ancora indispensabile! Ai posteri l’ardua sentenza? Il rischio è che possa essere troppo tardi!

Non perdiamoci di vista!

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