I cani non sono peluche (ma, aggiungo io, ancora vengono venduti come tali) spiega solennemente la ministra Julia Klöckner, la quale vorrebbe introdurre una disposizione per cui i cani devono essere accompagnati fuori almeno due volte al giorno per passeggiate non inferiori almeno ad un’ora.
Davvero non ci siamo.
Immagino che la proposta della ministra tedesca sia più articolata e soprattutto abbia un pregio diverso. Diversamente siamo a livello di regolamento comunale, con il massimo rispetto di questa fonte normativa (mi riferisco per conoscenza a quelli nostrani).
Anzi prendo a riferimento — per averne seguito la lunga gestazione — il neonato regolamento milanese per il benessere e tutela degli animali. Ho già scritto del vero rischio che intravedo in questo atto normativo locale le cui le disposizioni in esso contenute (o la più parte di esse) rischiano di rimanere delle idealità, delle desiderata. Molte delle quali sottratte a qualsiasi controllo.
In altre e più semplici parole: se per ottenere il rispetto del benessere dei nostri animali in quelle che sono le loro più naturali necessità siamo costretti a fare ricorso ad un atto di imperio vuole dire che davvero non abbiamo capito nulla. E questo vale per noi, per i tedeschi, francesi, inglesi, americani, giapponesi, svizzeri, austriaci. Per agli umani in generale.
Cerco di spiegare questa mia ritrosia a vedere nella norma la soluzione di ogni problema.
L’articolo 13 del famosissimo e supervalutato Trattato di Lisbona ha qualificato gli animali come esseri senzienti e a seguito di questo non risolutivo principio (si vedano le deroghe a tale senzienza) tutti gli ordinamenti europei hanno dovuto, più che voluto, adeguare la normativa interna in conseguenza di tale principio di valore costituzionale. Ma cosa è cambiato nei paese europei?
Sono stati operati interventi più o meno significativi a livello di codici civili. In Austria, in Germania, Francia. E non solo.
In questi codici si legge che gli animali non sono cose. Significativo, certo. Epocale, pure. Dirompente, forse. Si rompe con la tradizione giuridica del passato. Ma poi? Pochi sottolineano che dove si afferma che gli animali non sono cose viene specificato e autorevolmente indicato che (gli animali) sono soggetti alla disciplina speciale per essi dettata, ove esistente o emananda, e che in mancanza di questa, si applicano le norme dettate per i beni mobili. E questa disciplina? Potrei sbagliare, e di questo chiedo anticipatamente scusa, ma non mi apre che se ne abbia traccia.
Sono convinto che si debba prendere le distanze dal profilo meramente privatistico, dominicale che da sempre ha pervaso il diritto per avvicinarsi ad un profilo di responsabilità. Una responsabilità che in alcuni casi non è assolutamente necessario riceva la legittimazione da una norma.
Almeno personalmente, e forse presuntuosamente, ritengo questo imprimatur del tutto pleonastico. Un altro pericoloso falso positivo della soggettività in capo agli animali.