Nelle ultime settimane il rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 dai visoni allevati per pellicce occupa stabilmente le prime pagine dei quotidiani. Notizie drammatiche e allarmanti si rincorrono, rendendo complessa la comprensione della reale gravità del pericolo rappresentato da questi allevamenti. Abbiamo quindi voluto fare il punto sulla situazione.
Negli ultimi mesi, vi avevamo già raccontato che i mustelidi sono particolarmente sensibili a SARS-CoV-2 e si possono trasformare in serbatoi del virus. Nei Paesi Bassi, la scoperta di importanti focolai in almeno un terzo degli allevamenti aveva portato alla decisione di abbattere un milione e mezzo di visoni e di anticipare a marzo 2021 la dismissione degli allevamenti, già prevista per la fine del 2023.
In questi mesi anche la Polonia (terzo produttore al mondo di pelli) ha votato in Parlamento per l’abolizione degli allevamenti di animali da pelliccia e si attende l’approvazione definitiva della legge. Da ultimo anche l’Ungheria (che non ha allevamenti) ha votato ieri a favore del divieto.
Ad oggi sono 16 i Paesi europei in cui l’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato. Un trend che sembra destinato a crescere.
La mutazione in Danimarca
Gli esperti di zoonosi avevano pronosticato il rischio di mutazioni più pericolose, che dai visoni si sarebbero potute trasmette all’uomo, mettendo in difficoltà gli sforzi per l’ottenimento dei vaccini. Questo rischio purtroppo si è concretizzato in Danimarca, dove le autorità sanitarie hanno scoperto che il virus trasmesso dai lavoratori ai visoni è mutato ed è poi ripassato sull’uomo (sono stati accertati circa 400 casi), in una variante meno sensibile agli anticorpi, tanto che il primo ministro Mette Frederiksen ha dichiarato che potrà ridurre l’efficacia dei vaccini attualmente in fase avanzata di studio.
Da qui la decisione del Governo di Copenhagen, annunciata a inizio novembre, di abbattere tutti i 17 milioni di visoni allevati nel Paese. Ufficialmente l’attività non è stata ancora vietata, tuttavia ci sono forti dubbi sulla possibilità che il settore possa riprendersi, tenuto conto che l’allevamento richiede un lavoro di generazioni nella selezione genetica finalizzata all’ottenimento di pelli di migliore qualità.
Kopenhagen Fur, la principale casa d’aste al mondo di proprietà dell’associazione degli allevatori danesi, ha annunciato il 12 novembre di aver deciso una “chiusura programmata” entro il 2023: per i prossimi anni sono ancora previste aste regolari per esaurire i lotti invenduti nel 2019 e vendere pelli provenienti da altri Paesi ma il venir meno della base rappresentata dagli allevamenti nazionali impedisce la prosecuzione dell’attività.
La situazione in Italia
Anche in Italia è aumentata la preoccupazione dopo che è stato reso noto che l’Italia aveva inviato a inizio novembre una comunicazione all’OIE – Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale, nella quale si faceva menzione che il 10 agosto è stato scoperto un caso debolmente positivo (il Ministero specifica che si tratterebbe di “contaminazione o risposta aspecifica”) in un allevamento con 26.000 animali in provincia di Cremona, dopo l’individuazione di un lavoratore positivo. Il virus non avrebbe quindi circolato all’interno dell’allevamento.
Sono state inoltre diffuse sui media immagini fornite dalle associazioni LAV e Essere Animali che mostrano lavoratori senza mascherine e il mancato rispetto delle altre misure di biosicurezza previste dal Ministero della Salute. La questione è approdata sulle prime pagine dei quotidiani.
Non stupisce quindi che con un’ordinanza del 21 novembre, il Ministro della Salute ha disposto che «Nel rispetto del principio di precauzione, sono sospese, ad eccezione del mantenimento dei riproduttori già presenti all’entrata in vigore della presente ordinanza, le attività degli allevamenti di visoni sul territorio nazionale fino al 28 febbraio 2021 incluso». Il termine è soggetto a possibile proroga da parte del Ministero, in caso di sussistenza dei presupposti.
L’ordinanza aggiunge l’infezione da SARS CoV-2 nei visoni d’allevamento alle malattie infettive e diffusive degli animali previste dal regolamento di polizia veterinaria: si tratta del riconoscimento ufficiale che i visoni sono particolarmente suscettibili al virus.
Ne consegue che in caso di sospetta infezione, il Sindaco nella sua veste di autorità sanitaria locale deve disporre «il sequestro dell’allevamento, il blocco della movimentazione in uscita di animali, liquami, veicoli, attrezzature e l’avvio di un’indagine epidemiologica». Qualora l’infezione venga poi confermata, «i visoni dell’allevamento sono sottoposti ad abbattimento, con metodi eutanasici, e distruzione».
In Italia sono ancora in esercizio 9 allevamenti di visoni: 4 in Lombardia, due in veneto, due in Emilia-Romagna, uno in Abruzzo (qui l’elenco aggiornato a cura di Essere Animali) nei quali vi sarebbero circa 60.000 visoni. Pochi ani fa gli allevamenti attivi erano una trentina e il numero di visoni uccisi ogni anno superava le 180.000 unità.
L’allevamento di Capralba
La scoperta del primo caso “debolmente positivo” è stata fatta a Capralba, cittadina del Cremonese dove è presente il più grande allevamento di visoni, con circa 30.000 capi (circa la metà del totale nazionale), come dichiarato dal titolare, il quale ha aggiunto che l’attività era stata già sospesa da agosto e che a fine ottobre un altro animale morto ha mostrato nuovamente tracce di coronavirus.
L’ordine di abbattimento riguarda anche i 7.700 maschi riproduttori, frutto di selezione genetica che l’allevamento aveva prodotto in 40 anni di attività.
Al momento non vi sono ancora conferme che le operazioni di abbattimento siano state completate.
Con la chiusura dell’allevamento di Capralba, l’allevamento di animali da pelliccia si riduce ad attività meramente marginale, considerato che tutti gli allevamenti superstiti, a conduzione familiare, hanno un totale di circa 30.000 visoni.