Le Guardie zoofile dell’OIPA di Roma sono intervenute d’urgenza trovando il povero Willy, un cane meticcio di 8 anni, in grave stato di malnutrizione, magrissimo, immobile e cieco con piaghe sulla pelle, ormai arreso in fin di vita.
Il povero cane era stato abbandonato nel cortile tra le sue feci, senza alcuna cura da parte dei relativi possessori. Per fortuna c’è stato un lieto fine per Willy, che è stato sequestrato per maltrattamento, curato e affidato ad una famiglia.
Il non curare il proprio animale ben può integrare una responsabilità penalmente rilevante. Il reato di maltrattamento di animali, previso e punto dall’art. 544 ter c.p., prevede la reclusione fino a un anno e mezzo o con multa fino a 30.000 euro – pena che, si auspica, verrà aggravata con una riforma legislativa chiesta dalle Associazioni protezionistiche – e colpisce “chiunque”, per crudeltà o senza la necessità, maltratta un animale (non solo cane o gatto) anche se di proprietà.
Anche i giudici si sono espressi sulla responsabilità di proprietari superficiali e insensibili. Così, la Corte di Cassazione, con recentissima sentenza n. 22579 del 2019, ha confermato la condanna a 10.000 euro di multa nei confronti del proprietario di un cane per non averlo portato dal veterinario, in presenza di una evidente malattia, senza quindi procedere con le necessarie cure.
Può quindi configurarsi la responsabilità penale anche per mera insensibilità del proprietario o possessore alle necessità del proprio animale, senza che per forza sia necessaria una volontà diretta e crudele di cagionare sofferenza.
Discorso ben diverso nel caso in cui vi siano delle difficoltà economiche per il proprietario che non possa sostenere interventi costosi. In questo caso entra in gioco la solidarietà mediante raccolta fondi per le cure in attesa, come da tempo si chiede al legislatore, dell’introduzione di una mutua nazionale per gli animali da compagnia.
Ma attenzione: il maltrattamento per mancate cure non si limita a cani o gatti. Così il proprietario di 12 asini è stato condannato per detenzione incompatibile di animali: l’accusa era di non aver tagliato le unghie ai suoi equini che, diventando troppo lunghe, necessitavano l’intervento del maniscalco, comportando una serie di difficoltà per gli animali a deambulare e a stare in piedi (Cassazione Penale, sez. III, n. 14734 del 4 aprile 2019).