Il Consiglio europeo composto dai ministri dell’agricoltura dei 27 Stati membri dell’UE, riunitosi a Bruxelles il 15 dicembre, ha dato il via libera a un sistema di etichettatura relativo al benessere degli animali destinati alla produzione di alimenti. Alla Commissione europea spetta adesso il compito di presentare una proposta legislativa in materia, da sottoporre al Consiglio e al Parlamento per l’approvazione.
Nella formulazione licenziata dai ministri dell’agricoltura (per l’Italia Teresa Bellanova), il benessere animale viene valutato quale elemento della certificazione della sicurezza dei prodotti alimentari di origine animale, nell’ottica di una «migliore trasmissione del valore lungo la filiera alimentare», come anche indicato dalla Commissione nella comunicazione della strategia “Dal produttore al consumatore” (Farm to Fork), presentata a maggio scorso, che prevede anche una progressiva transizione verso sistemi biologici proprio al fine di consentire ai produttori primari di spuntare un prezzo equo sul mercato.
Non a caso Julia Klöckner, ministra federale dell’Alimentazione e dell’agricoltura della Germania (Paese che fino a fine anno ha la presidenza di turno dell’Unione Europea) ha dichiarato che «Un marchio comune dell’UE relativo al benessere degli animali accrescerebbe la credibilità e la trasparenza dei nostri mercati, permettendo ai consumatori di compiere scelte più consapevoli».
In poche parole, i prodotti animali che godranno del nuovo “bollino” potranno consentire agli allevatori di ottenere margini maggiori, anche perché il costo della riconversione delle strutture ai nuovi standard sarà sovvenzionato da incentivi comunitari.
Come infatti certificato dallo speciale Eurobarometro pubblicato nel marzo 2016, il 52% degli intervistati identifica il maggiore benessere animale in base alle etichette apposte sui prodotti e soprattutto più dei due terzi dei cittadini europei sono disponibili a pagare un prezzo più alto per prodotti di origine animale ottenuti tramite sistemi che assicurino un elevato standard di benessere animale.
I rischi dell’operazione
Nonostante nelle intenzioni del Consiglio «l’obiettivo generale di un marchio a livello di UE relativo al benessere degli animali dovrebbe essere quello di migliorare il benessere degli animali per il maggior numero possibile di animali destinati alla produzione di alimenti», di fatto verrebbe a instaurarsi un regime di “tutela differenziata”, con allevamenti soggetti a standard di benessere animale più elevato e altri allevamenti che continuerebbero a seguire le regole esistenti.
Una proposta che quindi punta dritto alla trasparenza per il consumatore ma soprattutto strizza l’occhio agli interessi dell’industria agroalimentare, ponendoli su un piano superiore rispetto alle richieste provenienti dalle organizzazioni per i diritti animali, che invece da tempo sollecitano una profonda revisione degli standard sul benessere animale che valga per tutti gli allevamenti, senza distinzioni basate sul potere di spesa dei consumatori.
Appare evidente ancora una volta che nell’attuale quadro giuridico comunitario il “benessere animale” resta un obiettivo secondario, oltre che una definizione al momento priva di un impatto significativo sulla vita di milioni di animali allevati in Europa ogni anno.
Allo stato attuale, non possiamo quindi nascondere che nutriamo numerosi dubbi sulla reale portata ed efficacia di questa certificazione, considerato anche che etichette simili sono già state sperimentate con successo in numerosi Paesi europei e si sono tradotte in poco più di un’operazione di marketing per l’industria.
I prossimi passi
La Commissione dovrà predisporre e sottoporre a Consiglio e Parlamento una proposta, tenendo conto di una serie di indicazioni, tra le quali:
- la previsione di incentivi sufficienti per i produttori al fine di migliorare il benessere degli animali;
- la presenza di un logo standardizzato, con menzioni protette e facilmente comprensibili;
- l’elaborazione di criteri che superino gli attuali requisiti di benessere animale;
- l’inclusione di tutte le specie per l’intero ciclo di vita (compresi trasporto e macellazione) e tenendo debitamente conto di tutte le loro condizioni di vita, dando priorità alle specie per le quali sono già esistenti normative specifiche.