Il giudice amministrativo ha ritenuto sussistente il pericolo che i cani randagi possano morire per inedia per la mancata somministrazione di cibo in luoghi pubblici, in ottemperanza al divieto stabilito dall’ordinanza impugnata, così come il pericolo che l’obbligo di utilizzare la museruola possa provocare stress all’animale con rischio di causare o esacerbare tendenze aggressive.
Il TAR ha poi chiarito che l’interesse pubblico sottointeso al divieto di alimentazione non può identificarsi nel divieto di alimentare gli animali randagi bensì deve essere ravvisato nell’esigenza di evitare situazioni nocive o pericolose dal punto di vista igienico-sanitario, quali l’abbandono di rifiuti sul suolo pubblico, avanzi di cibo o contenitori, fattispecie già previste quale illecito.
Per il TAR è lecita la somministrazione di cibo agli animali randagi a condizione che il deposito di cibo avvenga attraverso l’uso di appositi contenitori ed a condizione che gli stessi vengano successivamente rimossi a cura degli stessi cittadini che hanno somministrato il cibo, costituendo tale successivo adempimento un loro preciso obbligo, oltre che conforme al comune senso civico.
Pure indiscriminato appare, per il TAR, l’obbligo di dotare di museruola i cani appartenenti alle razze pericolose o di grossa taglia; la previsione comunale, dunque, risulta illegittima e contrastante con la normativa in materia e che “la letteratura scientifica veterinaria ha confermato che non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane in base alla razza o ai suoi incroci” (sentenza 7100/16, il T.A.R. Lazio-Roma).
Diffusamente (e con ampia giurisprudenza), Gasparre, Randagismo: un fenomeno insidioso, Key editore.