Protezione dei polli negli allevamenti: cosa dice la direttiva 99/74/CE?

Esaminiamo le norme di protezione degli animali negli allevamenti.
Laura Cuttini

Laura Cuttini

Laureanda in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sugli allevamenti intensivi. Da diversi anni attivista nel settore ambientale e animale, è attualmente impegnata nello studio della relazione tra uomo e animale ed è convinta che la diffusione dell’informazione su questi temi possa portare ad agire più consapevolmente e nel rispetto dei più deboli.

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Sulla scorta della direttiva 98/58/CE, contenente le norme minime generali di protezione degli animali negli allevamenti, è stata adottata la direttiva 2007/43/CE, volta a racchiudere un nucleo di norme minime di protezione dei polli allevati e destinati alla produzione di carne.

La direttiva 2007/43/CE, alla quale è stata data attuazione in Italia con il d. lgs. n. 181/2010, fa riferimento ai polli della specie Gallus gallus in generale (art. 2, par. 1, lett. e), ma la sua portata è in realtà limitata.

Infatti, la normativa qui contenuta non si applica a diverse ipotesi, tra cui (art. 1 par. 1):
a) alle aziende con meno di 500 polli;
b) alle aziende in cui si allevano solo polli da riproduzione;
c) agli incubatoi;
d) ai polli allevati estensivamente al coperto e all’aperto;
e) ai polli allevati con metodi biologici […].

In questo modo, di fatto, si è notevolmente circoscritto il suo campo d’azione.

Quali sono i limiti di questa direttiva?

Come si è visto a proposito della direttiva 98/58/CE, anche nel caso della direttiva 2007/43/CE emergono alcune criticità che è opportuno evidenziare.

Il primo aspetto critico è dato alla mancanza di coerenza: la direttiva 2007/43/CE, oltre ad applicarsi solamente alle strutture con più di 500 polli, consente l’uso di razze a crescita rapida. I polli da carne moderni, cosiddetti broilers (selezionati geneticamente dall’uomo per ottenere animali più grossi, e dunque produrre più carne), presentano differenze significative rispetto agli originari galli rossi. I primi infatti, ad esempio, raggiungono il peso di 1 kg in qualche settimana, mentre i secondi arrivano a quel peso solo da adulti; i primi sono meno attivi dei secondi, e ciò determina un aumento della predisposizione a plurime sofferenze fisiche, come la dermatite da contatto, problemi motori, di circolazione del sangue e di respirazione.

Allo stesso modo, la crescita sproporzionata del petto comporta uno sbilanciamento del peso in avanti, con importanti ripercussioni sulla deambulazione, provocando stress meccanico alle zampe e alle anche. Insomma, la prescrizione di cui all’art. 3 della direttiva 98/58/CE, secondo la quale il proprietario/custode/detentore degli animali deve «adottare misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e affinché non vengano loro provocati dolore, sofferenze o lesioni inutili», viene violata per così dire ab origine, nel momento stesso in cui la direttiva 2007/43/CE consente la scelta di allevare polli a rapido accrescimento, i quali subiscono uno sviluppo corporeo talmente repentino da condannarli a patire danni motori, di circolazione del sangue e di respirazione.

La situazione in Italia in questo senso è particolarmente desolante. Nonostante la Commissione europea abbia posto in evidenza come negli ultimi anni sia aumentato l’utilizzo di broilers “a crescita lenta” (da 70 a 81 giorni, allevati al chiuso fino all’età di 56 giorni e/o impiegati negli allevamenti di polli ruspanti e biologici a bassa densità di popolamento con un accesso permanente a uno spazio all’aperto), apportando indubbi benefici sul benessere animale, secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica i polli a rapido accrescimento rappresentano il 98% dei polli macellati ogni anno in Italia (per un totale di 550 milioni).

Il secondo aspetto critico è dato dalla densità massima di allevamento.

La direttiva prevede che gli Stati membri dell’Ue «garantiscono che la densità massima di allevamento in un’azienda o in un pollaio di un’azienda non superi in alcun momento 33 kg/m2» (art. 3, par. 2), però, in deroga a tale previsione, gli Stati membri possono stabilire una maggiore densità̀ massima purché vengano rispettate alcune condizioni indicate dalla stessa norma. Qualora quest’ultima deroga sia concessa, «[g]li Stati membri provvedono affinché […] la densità massima di allevamento in un’azienda o in un pollaio di un’azienda non superi in alcun momento 39 kg/m2» (art. 3, par. 4), che però, ancora, possono diventare 42 kg/m2in caso di circostanze eccezionali.

Già nell’ormai lontano 2000, il Comitato scientifico per la salute e il benessere animale della Commissione europea aveva illustrato, a questo proposito, che «alcune patologie (vesciche sul petto, dermatite cronica e problemi agli arti), sono il risultato dell’elevata densità di allevamento e della presenza di agenti infettivi» e che «il livello di welfare dei broilers è inversamente proporzionale alla densità di allevamento: più essa è alta minore è il livello di benessere». La conclusione è stata poi riconfermata nel 2016, quando la Commissione europea, ricercando le cause legate ai problemi di benessere dei polli, li riconduceva sia a fattori genetici che a fattori
ambientali, tra i quali, appunto, la densità. Da ultimo, a febbraio 2023, anche l’EFSA, con il suo parere scientifico Welfare of broilers on farm, si è occupata di indagare sul benessere dei polli da carne negli allevamenti, riportando che una densità di allevamento superiore a 11 kg/m2aumenta la dermatite delle zampe, riduce la capacità di camminare e compromette il comfort e i comportamenti esplorativi.

Anche la direttiva 2007/43/CE, come la direttiva 98/58/CE, soffre di un linguaggio vago e poco utile per creare un chiaro obbligo di tutela del benessere animale a carico degli Stati, a fronte della violazione del quale far scattare la sanzione. Si pensi ad esempio all’utilizzo di espressioni come «vi dev’essere sufficiente ventilazione per evitare il surriscaldamento, se necessario in combinazione con i sistemi di riscaldamento per rimuovere l’umidità in eccesso», oppure «il livello sonoro dev’essere il più basso possibile. La costruzione, l’installazione, il funzionamento e la manutenzione dei ventilatori, dei dispositivi di alimentazione e di altre attrezzature sono tali da provocare la minore quantità̀ possibile di rumore».

Come è auspicabile che intervenga l’Unione europea?

Alla luce di quanto detto, appare essenziale un’implementazione della tutela dei polli destinati alla produzione di carne sia a livello europeo, sia a livello nazionale. In particolare, la direttiva contenente le norme minime di protezione di questi animali andrebbe certamente rivista e allineata ai pareri scientifici più attuali, che attestano, come riportato, un chiaro legame tra il malessere animale negli stabilimenti e l’alta densità di capi.

Seguitamente, se realmente si vuole tenere in considerazione il benessere degli animali quali esseri senzienti ex art. 13 TFUE, è senza dubbio auspicabile la prescrizione del divieto di utilizzo di polli a rapido accrescimento, destinati a patimenti gravosi durante tutta la durata della loro vita. Per quanto riguarda l’Italia, è evidente che non si registri una grande attenzione da parte dei produttori al rispetto della normativa (sia nazionale, sia europea). Plurime indagini (spesso svolte da infiltrati di associazioni animaliste) hanno infatti mostrato al grande pubblico cosa avviene negli isolati impianti di allevamento, rivelando una serie di comportamenti illeciti, tra cui episodi di violenza gratuita sugli animali e incuria e abbandono di esemplari malati o feriti, penalmente
sanzionabili (artt. 544-ter e 727 c.p.).

In conclusione, la frequente presenza di violenza e di maltrattamento da parte degli operatori zootecnici, di cui si è preso atto a livello collettivo, deve irrimediabilmente imporre anche un ripensamento mirato sull’efficacia dei controlli effettuati negli allevamenti, che permetta almeno a quelle già scarne e arretrate prescrizioni protettive a favore degli animali di trovare un’applicazione efficace nell’attesa di un impianto normativo più serio e credibile.

Non perdiamoci di vista!

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