Tale deroga non va però letta nel senso che laddove essa operi gli ambiti siano immuni a ogni fattispecie criminosa. Il legislatore ha svolto un’opera di preventivo bilanciamento in danno degli animali ma quando si pongono in essere comportamenti che travalichino questo bilanciamento, il reato riemerge e deve essere perseguito. La Cassazione è univoca in tale senso. Lo è oggi ma lo è stata anche in passato, quando aveva affermato che «certi spettacoli non devono turbare l’ordine pubblico, né essere contrari alla morale, al buon costume, né importare tantomeno sevizie o strazio agli animali» (Cassazione penale n.4167/ 1973). In tempi assai più recenti sempre la Corte di Cassazione, rispolverando una precedente pronuncia del 2012, ha statuito che «la scriminante trova il proprio limite applicativo nella funzionalità della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni posti a base della normativa speciale: dette attività, segnatamente contemplate dalla suddetta norma di coordinamento, devono essere svolte, per potere essere esentate da sanzione penale, nell’ambito della normativa speciale stessa» precisando che sia necessario accertare «se le condotte si siano svolte nei limiti consentiti o imposti dalla norma speciale individuata» (Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 10163 del 06.03.2018).

E dunque questo orientamento giurisprudenziale è sufficiente? Rappresenta una garanzia granitica in favore degli animali? Niente affatto. Bisogna fare i conti con una parola che racchiude credenze popolari o religiose che siano, spesso contaminate da ignoranza. Questa parola è “tradizione”. Si fa così da sempre e dunque si giustifica tutto.

Proviamo invece a immaginare la tradizione come ad un processo selettivo che si evolve negli anni, che cambia con le generazioni, seleziona ciò che è da tenere e consegnare al futuro e ciò che va invece eliminato.

Il Palio di Siena è forse l’esempio più emblematico e la cui ultima edizione è stata riconosciuta finanche come “straordinaria” perché dedicata — quando si dice la combinazione — al centenario della fine della Prima Guerra mondiale. Ma avere accostato il Palio di Siena al centenario della fine della Prima Guerra mondiale significa ignorare che quel primo conflitto ha rappresentato l’apoteosi dello sfruttamento animale, con un numero impressionante di animali morti e primi tra questi, cavalli e asini. Invito alla lettura di un ottimo libro, scritto da Giulia Guazzaloca, “Primo Non Maltrattare”.

Vero è che se un’intera città (Siena) insorge contro chiunque si azzardi solo a porre in discussione l’amore verso i cavalli da parte dei senesi tutti, bisognerà pure fare qualche ulteriore riflessione. Come possiamo mettere in discussione un qualcosa che vive dal 1200? Che rappresenta e identifica una città che vive un anno intero in funzione del Palio e che indubbiamente rappresenta un modo di vivere della città del Panforte?

Perché, ci si potrebbe domandare, tanto clamore mediatico per una manifestazione così sentita, ricca di tradizione che rappresenta una sorta di equilibratore sociale, di valvola di sfogo di una comunità? Inizia a disvelarsi il vero maligno significato di tradizione, come tanto bene spiega il filosofo Gianfranco Mormino.

Facciamocene dunque una ragione. Il senese, il contradaiolo ama più di se stesso i cavalli e soprattutto quelli che partecipano al Palio. La morte di uno di loro rappresenta un lutto per l’intera città. Mi domando però se il il cavallo è amato in funzione del Palio o a prescindere da esso e mi do anche la risposta.

Oggi abbiamo a disposizione conoscenze etologiche che ci dovrebbero fare comprendere come talune manifestazioni non abbiano più alcun motivo di essere reiterate. Ma ecco che la tanto invocata tradizione disvela la sua vera essenza che altro non è, sempre come ricorda Mormino, affermazione di superiorità alla quale è pericoloso rinunciare.

Sono dunque convinto che prima di essere una questione giuridica e quindi di individuare una nuova qualificazione giuridica da destinare agli animali, occorra interrogarsi sul piano etico partendo da un punto di partenza non comune: gli animali, al pari degli umani, sono soggetti della vita, prima di essere soggetti giuridici. E questo punto di partenza ha una ulteriore premessa per cui bisogna prendere coscienza che l’uomo rappresenta una goccia della vita e non la vita nel suo complesso.

Da questo dobbiamo partire. Da questo punto di vista. E la partenza è laddove le coscienze iniziano a formarsi. Nelle scuole, e ancora prima nelle famiglie. Occorre divulgare una nuova cultura che porti a modificare il nostro rapporto con l’animale non umano e, mi permetto di aggiungere, il nostro rapporto con gli esseri viventi in generale. In tutte le loro forme.

L’educazione — come ha fatto notare la prof.ssa Rescigno nel corso dell’audizione di fine anno 2017 alla Camera dei deputati illustrando lo stato dell’arte giuridica in tema di animali — appare una delle chiavi di volta fondamentali per costruire un rapporto uomo-animale maggiormente equilibrato. Ne sono più che convinto. La scuola dovrebbe può traghettare i suoi studenti da una visione antropocentrica ad una visione biocentrica.

Sono ancora troppi gli attentati a questo nuovo modo di rapportarsi con gli altri viventi che non siano umani. Pubblicità inguardabili, programmi televisivi da chiudere prima della sigla di apertura.

Dovremo tutti imparare a non deridere, come anche a non compiangere e finanche a non detestare le azioni umane, limitandoci solo a comprenderle perché solo comprendendole forse si potrà iniziare a capire come risolvere eventuali problematicità. Prendiamo in considerazione le argomentazioni altrui, anche se lontane o in antitesi al nostro punto di vista. Non offendiamo a prescindere. Comprendere non sempre significa assolvere.

Chiudo con un’ultima riflessione, forse quella più antipatica. Se è certo che gli animali — quali essi siano — sono i migliori amici dell’uomo siamo così certi che l’uomo sia il migliore amico degli animali?

Purtroppo dimentichiamo che gli animali sono soggetti che hanno un valore in se e che non sono destinati ad altri. Ogni discussione che sia filosofica, morale, giuridica o scientifica dovrebbe parte da ciò che del mondo interessa gli animali e non da ciò che agli uomini interessa degli animali. Ma spesso non funziona così. Basta guardarci attorno. Nessuno escluso. Anche coloro che reputano normale selezionare le razze di animali da compagnia negando loro ab ovo il diritto alla libertà sessuale. Non sarà difficile rendersi conto che la tutela degli animali, per quanto la si voglia definire diretta, si rivela pur sempre relativa, nel senso che la sua ampiezza varia a seconda di ciò che l’uomo considera necessario – o, forse, anche solo utile o opportuno – nell’esercizio di tutte quelle attività che coinvolgono gli animali.

Mi piace chiudere con un passo tratto dal libro di Arun Gandhi (IL DONO DELLA RABBIA) dove si legge che «Non è necessario aderire ai dogmi rinunciando a ogni autonomia di pensiero, condannandoci ad una esistenza che ci rende infelici solo perché qualcun altro sostiene che sia la via giusta. Un “like” sotto un post non serve a cambiare nulla. È impossibile costruire un futuro per noi o per il nostro paese sulle fondamenta incerte dell’inganno o sfruttando le creature viventi a nostro uso e consumo. Un bidone vuoto fa sempre un gran fracasso mentre chi ha idee o soluzioni non ha bisogno di sbraitare per ottenere ascolto. La discriminazione accade quando un certo gruppo si crede migliore degli altri e così facendo chiude occhi e orecchie alle altrui ragioni, alimentando conflitto e aggressività».

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