Monica Gazzola e Roberto Tassan sono autori di questo interessante saggio edito da Gruppo Editoriale Viator. La prima avvocato penalista; il secondo, scrittore e divulgatore scientifico. Strutturalmente il libro si compone di due parti. Nella prima parte, firmata da Monica Gazzola, si compie un viaggio all’interno dell’antropocentrismo attraverso un’approfondita divulgazione che permette al lettore di decodificarne l’essenza, l’origine, i limiti e la possibile (necessaria) superabilità. Nella seconda parte di questo saggio Roberto Tassan svolge invece una trattazione scientifica di alcune tematiche legate a quello che alcuni chiamano «paradosso della carne» che è figlio della c.d. “dissonanza cognitiva”: amiamo gli animali, però li mangiamo.
Il parlare dell’animale e sull’animale ha costituito il parametro principale per definire l’uomo. Un ragionamento basato sulla differenziazione mediante contrapposizione che ha condotto ad una riduzione semplicistica dell’immensa varietà delle forme di vita animale, oscurando le singole specificità. Una sorta di virus ancora non completamente debellato e potenzialmente foriero di danni verso quella che la stessa Monica Gazzola definisce, non senza polemica, pacifica ed egualitaria società italiana. “L’altro da noi” nelle sue infinite declinazioni.
Vengono raggiunge le profondità della problematica antropocentrica fino a alle radici più profonde. Quella biblica e quella filosofica. Quanto alla prima pur convenendo circa il fatto che le religioni — salvo alcune eccezioni — abbiano compiuto un’opera di deresponsabilizzazione verso gli animali, l’autrice prende a riferimento il noto passo della Genesi («Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra», Gen. I,28) del quale però ne indica una rilettura più moderata. E lo fa ricorrendo alla etimologia delle espressioni usate (kavash e radar) così che quel ritenuto diritto di sfruttamento del mondo animale e della natura in favore dell’uomo possa assumere una sfumatura diversa, più lieve, divenendo dovere di custodia e cura. Quanto alla radice filosofica questa — pur con autorevoli eccezioni — trova nel pensiero Kantiano una perfetta mediazione per cui gli animali pur non avendo consapevolezza di sé non vengono definiti “cose”, potendosi condannare ogni trattamento crudele e spregevole inflitto loro. Inibizione questa che non ha però il significato di riconoscere diritti in favore degli animali ma solo quello di evitare comportamenti crudeli ripetibili nei confronti degli esseri umani.
Monica Gazzola ritiene che l’ultimo baluardo antropocentrico (in evidente contraddizione con un pensiero che va invece in una direzione biocentrica) rimanga il tema del linguaggio. Da una parte gli uomini, dotati di ragione e dunque di parola e dall’altra gli animali privi della prima perché sprovvisti della seconda. Interessanti le riflessioni che l’autrice compie relativamente alle oggettive confutazioni della imprescindibilibilità del linguaggio umano per la sussistenza del pensiero e soggettività animale.
Nel capitolo intitolato “La scimmia e il filosofo” si disvela completamente il ragionamento basato sulla differenziazione mediante contrapposizione. In questo caso quella tra gli uomini e le scimmie (segnatamente quelle antropomorfe) dove la necessità dell’uomo di marcare e difendere la barriera di demarcazione diventa vitale, anche ricorrendo a talune maligne mistificazioni che esaltino le qualità dei primi sulle seconde.
È possibile immaginare, ipotizzare e sostenere un modo diverso di intendere il rapporto tra animali umani e animali non umani?Un rapporto che non preveda una imprescindibile superiorità dei primi? Che contempli l’idea che anche gli animali siano portatori di diritti? Un interrogativo affascinante con il quale l’autrice conclude il suo viaggio e la cui risposta non è più solo filosofica, giuridica, religiosa ma anche scientifica. Che impone una mutamento radicale di prospettiva. Di punto di vista. Gli animali quali soggetti che hanno un valore in sé e non sono destinati ad altri.E non è poca cosa.
Chiunque legga questo saggio ha fatto la medesima esperienza che Roberto Tassan racconta nel primo capitolo della seconda parte (che reca proprio la sua firma). Quella di accompagnarsi ad un amico che si dichiara amante degli animali pur non rinunciando a cibarsene. Anche abbondantemente. Nessun preconcetto. Solo il tentativo di individuare una risposta, qualora vi sia. E questa risposta non può essere quella per cui gli animali da reddito hanno capacità intellettive più scarse rispetto agli animali domestici. L’autore evidenzia con scrupolo scientifico come questa credenza non abbia alcun fondamento.
Noi umani non siamo in grado di comunicare con i primati nel loro linguaggio mentre loro (i primati) riescono a farlo con il nostro linguaggio (dei segni). Straordinaria appare la riferita capacità di interazione dei cavalli con gli esseri umani, cogliendo i messaggi corporei di questi ultimi. Insospettabile è la capacità cognitiva del polpo. Stupefacenti le doti di orientamento degli uccelli che sono in grado di partire da una città del nord Europa per svernare al caldo di un paese africano.
Tali descritte capacità sono frutto di un processo imitativo oppure sono espressione di una capacità innata? E rispetto agli animali umani? Questo è l’interrogativo che si pone e propone l’autore. Sol chi leggerà, saprà.