“Giustizia Selvaggia”, di M. Bekoff e J. Pierce

Una guida preziosa per comprendere quanto il mondo misterioso degli animali sia più vicino a noi di quanto possiamo immaginare.
LuCaAr / iStock
Avv. Alessandro Ricciuti

L’etologia cognitiva consiste nello studio degli animali nei loro contesti naturali, attraverso l’osservazione e descrizione dei pattern comportamentali, ossia del normale repertorio di azioni e reazioni che questi esibiscono e che — come è oggi noto e acquisito — scaturiscono da processi interni (emozioni, motivazioni) che agiscono in combinazione con gli stimoli provenienti dall’ambiente.

Negli scorsi decenni, i ricercatori che si interrogano sulle menti animali hanno iniziato ad includere nel proprio quadro di riferimento variabili via via più complesse, legate alle capacità degli animali di elaborare gli stimoli esterni sulla base dell’esperienza e di una certa capacità di ragionamento, processo che passa sotto il nome di “apprendimento”. Il comportamento animale viene quindi oggigiorno analizzato e compreso come il risultato di un flusso di pensiero simile a quello umano, contrariamente all’approccio meccanicistico dell’etologia classica, che lo inquadrava come mera risposta automatica a stimoli esterni, già programmata in maniera innata dalla genetica.

Di strada ne è stata fatta da quando nel 1960 Jane Goodall ha iniziato lo studio ravvicinato degli scimpanzé sulle alture del Gombe, in Tanzania, lungo le rive del lago Tanganica. Le sue prolungate osservazioni hanno consentito di comprendere a fondo il comportamento e l’apprendimento sociale di questi animali, penetrando nei loro processi di pensiero e nella loro cultura.

Da allora l’osservazione degli animali in natura si è arricchita di numerosi aneddoti, che dimostrano come molte altre specie dispongono non solo della capacità di utilizzare utensili ma anche di una spiccata intelligenza e della capacità di organizzarsi in complesse strutture sociali.

Davanti a queste evidenze che si accumulavano attraverso i resoconti di queste osservazioni, per decenni i ricercatori hanno esitato nell’attribuire agli animali maggiori capacità, trattenuti dalla paura di antropomorfizzare, cioè di ricostruire i processi mentali e sociali degli altri animali alla stregua di quelli che avvengono all’interno delle società umane. Questo avveniva un po’ per rispetto verso l’impostazione classica dell’etologia ma soprattutto per paura che posizioni troppo all’avanguardia potessero essere valutate come antiscientifiche e che i papers scientifici che le propugnavano potessero essere rigettati.

Mark Bekoff (Professore emerito di Ecologia e Biologia Evoluzionistica all’Università del Colorado) e Jessica Pierce (filosofa, bioeticista e scrittrice) rigettano fermamente questa impostazione, che considerano non soltanto troppo cauta ma soprattutto ingiusta: l’atteggiamento conservativo — per fortuna sempre più recessivo in letteratura scientifica —non fa altro che sminuire gli altri animali, rifiutando di riconoscere che possiedono capacità che oramai dovremmo dare per acquisite, alla luce di quella che viene definita “una sovrabbondanza di esempi positivi”. Un esempio fra tutti è la dimostrazione dell’esistenza di empatia (cioè di assunzione della prospettiva dell’altro) fra alcune specie come scimpanzé, lupi ed elefanti.

D’altronde, le neuroscienze hanno svelato l’esistenza di neuroni specchio in altre specie di primati, che sono quindi anche geneticamente predisposti alla comprensione del comportamento e delle emozioni altrui, nel quale si possono, per l’appunto, “rispecchiare”.

Ecco che gli autori invitano a rovesciare completamente la prospettiva, per superare stereotipi antiquati e partire verso un’analisi che con l’inserimento di elementi di astrazione, seppure suffragati da esempi concreti, consente di ricostruire una dimensione diversa dell’esistenza animale. Di andare quindi oltre, ipotizzando complessità organizzative delle società animali e livelli di pensiero fino ad oggi non concepiti.

Bekoff e Pierce non nascondono lo scopo dell’opera, anzi lo ribadiscono con fermezza sin dall’introduzione: «La tesi di questo libro è che gli animali abbiano un ampio repertorio di comportamenti morali e che questi, allo stesso tempo, foggino le loro vite. La differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato svolge un ruolo importante nelle loro interazioni sociali proprio come nelle nostre».

E ancora: «Sembra che certi animali abbiano un senso della giustizia, in quanto comprendono regole implicite riguardanti chi merita cosa e quando, comportandosi di conseguenza. Gli individui che infrangono tali regole spesso vengono puniti con rappresaglie fisiche o con l’ostracismo sociale».

In una serie di capitoli molto affascinanti che si leggono tutti d’un fiato, viene presentato un quadro d’insieme delle numerosissime ricerche riguardanti il comportamento morale degli animali, al fine di mostrare come essi abbiano ricchi mondi interiori, un repertorio emozionale pieno di sfumature, nonché un elevato grado d’intelligenza e di adattabilità all’ambiente.

Gli animali possono inoltre esibire un ampio repertorio di “azioni morali” mostrando fiducia reciproca, compassione, empatia e altruismo. Tutti questi comportamenti sono rivelatori della presenza di un vero e proprio senso di giustizia, che non è quindi soltanto una prerogativa umana ma è condivisa perlomeno con alcune altre specie.

La tesi che si dipana lungo l’intero volume è che il senso di giustizia è radicato nell’empatia e comporta la capacità di leggere le intenzioni e gli stati emotivi degli altri. Alcune specie di animali mostrano di possedere le capacità cognitive necessarie per un comportamento morale, insieme ad empatia e pensiero razionale. Essi infatti mostrano di avere una “coscienza”, intesa come la capacità di interiorizzare regole morali e di esercitare l’autocontrollo del comportamento.

Secondo gli autori, affinché si ravvisi la condizione di moralità in una determinata specie, devono sussistere dei requisiti minimi: un certo grado di complessità nell’organizzazione sociale, comprese norme comportamentali stabilite cui ricollegare forti stimoli emozionali e cognitivi su ciò che è giusto e sbagliato; un certo livello di complessità del sistema nervoso, che serva come base emozionale e per il processo decisionale basato sulla percezione del passato e del futuro; capacità cognitive sufficientemente avanzate (una buona memoria, per esempio); un elevato livello di versatilità comportamentale. Sono tutti requisiti che sono effettivamente riscontrabili in alcune specie, alcune anche meno vicine a noi, come il lettore scoprirà.

Attenzione però a generalizzare, alla ricerca di una chiave di volta universale: la moralità è specie-specifica, in quanto si fonda su convenzioni interne a una determinata cultura. Si tratta cioè di un sistema attraverso il quale ciascuna società detta un codice di condotta per i propri membri. Non possiamo quindi valutare gli animali con le chiavi di lettura della società umana, perché i riferimenti culturali sono completamente diversi.

Per questo stesso motivo, non possiamo cadere nel tranello di mitizzare gli animali, ritenendo erroneamente che non possano esibire alcuni dei tratti peggiori che mostra l’essere umano: anche altre specie sono capaci di comportamenti violenti verso i propri simili, come ad es. aveva osservato già Jane Goodall tra gli scimpanzé del Gombe (celebre l’episodio di un gruppo di scimpanzé maschi che nell’arco di due anni inseguì e uccise i membri di un altro gruppo).

Gli autori riescono perfettamente nell’intento di portare per mano il lettore a considerare gli altri animali esseri viventi con ricche vite cognitive, che meritano una considerazione morale non dissimile da quella che attribuiamo ai nostri pari.

Nelle conclusioni, Bekoff e Pierce invitano quindi a riconsiderare le prerogative della nostra specie: se non esiste nessuno scarto morale tra umani e altri animali e la moralità è un tratto evolutivo che condividiamo con gli altri mammiferi sociali, che diritto abbiamo di sfruttarli a nostro piacimento? È ampiamente documentato che gli altri animali sociali tenuti isolati o negli zoo o nelle strutture di ricerca diventano depressi e stressati. Siamo sicuri di avere un motivo valido per procurare tanta sofferenza? La risposta a questo interrogativo viene rimessa al lettore.

Concludendo, questo ottimo libro — pubblicato in edizione italiana da Baldini+Castoldi, con prefazione di Danilo Maniardi — è una lettura agevole e piacevole, piena di aneddoti interessanti e considerazioni chiare e ben argomentate, che lasceranno il lettore entusiasta e certamente arricchito. Nel complesso, costituisce una guida preziosa per chiunque desideri comprendere quanto il mondo misterioso degli animali sia più vicino a noi di quanto possiamo immaginare.

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