La pipì del cane sul muro del palazzo

Potrebbe apparire una vicenda banale, ma non lo è. Una sentenza, se letta bene e da tutti, anche etologicamente importante. Educativa.

Milano. Semaforo rosso. Attendo il verde. Una signora inizia l’attraversamento insieme al proprio cane, rigorosamente al guinzaglio (non è scontato…). Qualche metro e il quadrupede si ferma, si accovaccia e si libera di una pipì forse troppo a lungo trattenuta. La signora tira fuori dalla borsetta una bottiglietta di acqua e, sprezzante dell’imminente pericolo (eravamo almeno quattro “motorette” in attesa di scatenare l’inferno all’imminente luce semaforica verde), cerca di coprire “l’onta” lasciata dal suo cane. Con signorilità quindi riprende l’attraversamento. La seguo con lo sguardo sperando che si volti. Le avrei voluto battere le mani in segno di sincero apprezzamento. Un gesto forse inutile (considerato il manto stradale già piuttosto malandato anche se, come si dirà ai fini del reato, è irrilevante che l’alterazione sia temporanea o superficiale o facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario) ma pieno di significato.

Si chiama, credo, educazione.

Ricordo (senza che tanto possa fare gridare allo scandalo) che finanche la Corte di Cassazione penale (sentenza n. 7082 del 2015) ebbe modo di esprimersi sulla pipì del cane. Tizio aveva permesso ai proprio cane dì orinare sulla facciata di un edificio dichiarato di notevole interesse storico rimediando una condanna per deturpamento e imbrattamento di cose altrui.

Invero Tizio dopo che il cane aveva orinato (istinto fisiologico che Tizio non avrebbe potuto orientare) si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata, versandovi dell’acqua, circostanza questa che era incompatibile con la volontà di imbrattare il muro.

E il reato contestato (deturpamento e imbrattamento di cose altrui) richiede la sussistenza del dolo anche generico, cioè della volontà o previsione di arrecare un danno e non solo Tizio si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata con l’acqua ma non risultavano elementi da cui desumere che tra Tizio ed il proprietario dell’edificio vi fossero motivi di astio e di rancore, tali da indurre a tenere la condotta a lui contestata.

Quello che ritengo interessante è la presa di posizione della Cassazione (penale) per cui la questione coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via.

Si tratta di rapporti, interessi ed esigenze talvolta contrapposti che si inseriscono in un più ampio quadro di convivenza, di rispetto civile, di tolleranza ma anche di malcostume di fronte ad un fenomeno che non può essere sottaciuto in quanto parte della realtà quotidiana soprattutto nei grandi agglomerati urbani.

Veniamo dunque alla decisione della Corte di Cassazione nel caso in esame (Tizio condannato dal Giudice di Pace era stato assolto in appello). Il dolo nel caso specifico è dunque escluso. Ma la colpa cosciente che si ha quando una persona non vuole quell’evento che si è determinato che, pur essendo immaginabile da chi agisce sito il profilo causale si è determinato trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo?

Un tema davvero non di facile nel panorama sia dottrinale che giurisprudenziale che non può certo qui nemmeno essere accennato. Provo solo a semplificare al massimo.

Uno

È noto che li condurre un cane sulla pubblica via apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata. Una indubbia probabilità dell’evento che Tizio nel momento in cui esce con il proprio cane non poteva non essersi rappresentato accettandone quindi la situazione di rischio.

Due

È altrettanto noto che per quanto un cane possa essere stato bene educato, il momento in cui io stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso.

Tre

È pure noto che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all’interno degli appartamenti e dunque è necessario condurli sulla pubblica via con tali finalità nella consapevolezza che non sempre le autorità locali sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gli animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati.

Se ne conclude, scrive la Cassazione, che Tizio poteva solo agire al fine di ridurre il più possibile il rischio che il proprio cane lordasse i beni di proprietà di terzi quali -come è tipicamente il caso – i muri di affaccio degli stabili od i mezzi di locomozione ivi parcheggiati. La possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile. Ciò che si può quindi richiedere, scrive sempre la Cassazione a chi è necessitato a condurre un cane sulla pubblica via è solo un corretto governo di tale (inevitabile) rischio, governo realizzabile, ad esempio, attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sul comportamenti dell’animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento (se dei caso tenendolo legato con un guinzaglio) o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere — quantomeno nell’immediatezza — dall’azione.

Il fatto che si verifichi un azione come quella oggetto dell’imputazione che in questa sede ci occupa, in assenza di elementi che denotino una volontà di segno contrario, può quindi essere qualificato come attività di malgoverno del rischio stesso dipendente da disattenzione, sciatteria o più semplicemente da imperizia nella conduzione dell’animale, situazioni comunque riconducibili alla sfera della colpa ma non certo dei dolo (neppure nella forma del dolo eventuale).

Il fatto che Tizio avesse con se una bottiglietta di acqua denota una attenzione dei conduttore dell’animale che purtroppo non è altrettanto diffusa come la buona educazione ed il rispetto del terzi imporrebbero che deve per essere letta – come ha fatto il Tribunale – nel chiaro intento di questi di evitare (o quantomeno di annullare con un intervento immediato) il danno derivante al terzo proprietario dei muro dall’imbrattamento dello stesso. Per le ragioni indicate il ricorso del proprietario del palazzo imbrattato viene respinto. Naturalmente resta impregiudicata la possibilità per ii ricorrente di adire il Giudice civile qualora sia in grado di dimostrare che la vicenda de quo gli ha provocato un danno per fatto colposo del soggetto agente.

Ebbene, cari amici, meditiamo tutti insieme. Di spunti interessanti in questa sentenza ve ne sono tanti che hanno nel caso concreto solo l’occasione o spunto per essere portati all’attenzione di tutti.

Magari con un semplice passaparola.

Foto di copertina: vel Byrkin su iStock

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