Gattino lanciato da un ponte in Sardegna: una storia di inciviltà, uso scorretto dei social e assenza di Istituzioni

Un nuovo video di crudeltà gratuita ha scatenato l'indignazione di molti utenti sui social media ed è l'occasione per riflettere sull'uso di questi strumenti e sulla necessità di interventi sistemici profondi.
Noemi D'Alessandro

Negli scorsi giorni è diventato virale un video girato alcune settimane fa nel quale si vede un ragazzo molto giovane lanciare un gattino da un ponte, tra le risate dei suoi compagni, il tutto a favore di smartphone.

L’orribile gesto, avvenuto in un comune della Sardegna, è stato prontamente postato sui social da uno di loro, il che ha reso possibile l’identificazione dei 5 soggetti coinvolti.

La diffusione del video ha scatenato una giustificatissima e comprensibile ondata di sdegno e indignazione che ha, a sua volta, portato alla consueta “caccia all’uomo” da parte degli utenti del web. Il copione ormai lo conosciamo a memoria: un gruppo di persone commette un gesto orribile alla ricerca di like e consensi, ottiene la gogna mediatica e, dopo un breve momento in cui sull’onda dell’adrenalina tenta di difendere l’indifendibile, sveste i panni di cinico persecutore dei più deboli per indossare quelli più convenienti del povero penitente vittima di bullismo e odio online

Curiosamente, il change of heart avviene quasi sempre nel momento in cui la bolla dell’anonimato dei social scoppia e vengono fuori nomi e cognomi. E così è stato per S.M., il ragazzino (il cui nome, ahimè, non possiamo rivelare in quanto minorenne) che ha ben pensato che lanciare un gattino indifeso da un ponte fosse un buon modo per passare un pomeriggio estivo.

Dopo un paio di storie IG (che lui sostiene non essere state scritte da lui, ma ci concediamo il beneficio del dubbio) in cui difende a spada tratta il proprio gesto attraverso l’uso di argomentazioni degne dell’Atene dei tempi di Socrate ( «muore la gente tutti i giorni e non dite un c*zzo poi però per un gatto tutti si tolgono il c*zzo dalla bocca per parlare»), S.M. adotta il “metodo Ferragni”, dicendosi stremato da insulti e minacce e proponendosi di fare beneficenza (?!).

In questo blog si parla di animali e di diritto animale, pertanto non ci sperticheremo in analisi sociologiche su quanto pericolosa sia l’influenza di figure come, appunto, Ferragni che instillano l’idea secondo la quale tutto sia risolvibile con i soldi e con la beneficenza. Tuttavia, una riflessione in questa direzione è bene farla. Così come è bene riflettere sul ruolo che la vetrina dei social ha avuto in tutta questa vicenda, così come in vicende analoghe (ricordiamo il caso di Grey, il gattino lanciato nell’acqua gelida di una fontana ad Alberobello lo scorso gennaio, anche lui ripreso da uno smartphone). 

Questi fatti sarebbero accaduti comunque a prescindere dalla loro pubblicazione sui social? Verosimilmente sì.

La speranza di acquisire fama tramite la pubblicazione di queste atrocità sui social è da considerarsi un incentivo a compiere questi atti? Probabilmente sì.

L’illusione dell’anonimato, la “barriera” che gli schermi dei telefoni sembrano offrire e la speranza di andare virali per ottenere fama, successo e soldi sono sicuramente degli incentivi, per gente priva dei giusti strumenti intellettuali ed emotivi, a compiere gesti “eclatanti” come appunto togliere la vita a un essere vivente indifeso.

Poi succede che si diventa virali (per i motivi sbagliati), la gente ti vede, ti riconosce e quello schermo non ti protegge più, ma fa l’esatto contrario. Diventa veicolo di odio, di paura, di minaccia.

Ma, tornando nella nostra area di competenza, cosa rischiano ora S.M. e i suoi compari?

Al momento, su di loro pende una denuncia al Tribunale dei Minori di Cagliari per maltrattamento di animali, la cui pena prevista è una reclusione tra i 3 e i 18 mesi o una multa dai 5.000 ai 30.000 euro. La pena aumenta se dal gesto deriva la morte dell’animale.

Nel caso dell’eventuale ritrovamento del povero animale, il titolo di reato potrebbe variare in uccisione di animale, la cui pena è la reclusione da quattro mesi a due anni.

Tuttavia, in questo caso, trattandosi di minorenni incensurati, è possibile che S.M. e i suoi soldali non subiscano conseguenze penali. Nel nostro ordinamento vi è infatti l’istituto del “perdono giudiziale”, concedibile una sola volta dal giudice al minorenne incensurato se ritiene di poter applicare, in concreto, una pena detentiva non superiore a due anni di reclusione o una pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva, di ammontare non superiore 1549,37 euro e presume, sulla base di una serie di circostanze indicate dal codice penale, che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Condizione essenziale per l’applicazione di questo beneficio è la ragionevole presunzione da parte del giudice che la mancata irrogazione della pena contribuisca al recupero del minore, lasciando presupporre, quindi, una sua buona condotta per il futuro.

Potrebbe essere considerata anche l’ipotesi alternativa della messa alla prova, con affidamento del minore ai servizi sociali, idealmente per svolgere uno specifico percorso di recupero ed educazione sul tema animali.

Abbiamo più volte parlato di come la violenza nei confronti degli animali, soprattutto perpetrata da minori, sia un importante campanello d’allarme, preludio di pericolosità sociale. Per questo chiediamo ancora una volta al Parlamento di inasprire le pene previste per questo genere di reato e chiediamo al Ministro dell’Istruzione di prevedere l’integrazione, all’interno dei programmi scolastici, di moduli sulla convivenza con gli animali e sulla loro cura, assieme all’educazione all’utilizzo dei social network e dei nuovi mezzi multimediali.

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