“Volare!”: riporta alla mente un “blu dipinto di blu” il libro pubblicato lo scorso giugno dall’associazione Animalisti Friuli Venezia Giulia, con il contributo degli attivisti ma anche di antropologi, filosofi, storici, psicologi, artisti, medici veterinari.
Parla di uccelli, “Volare!”. Di quegli uccelli simbolo di libertà, di spazi infiniti, di canti dolcissimi, di leggerezza, di acrobatiche imprudenze. Degli uccelli disegnati dai bambini sui quaderni di scuola, tatuati sulla pelle, ammirati, imitati, studiati.
Parla di uccelli ingabbiati. Prigionieri perché, come scrive il filosofo Marco Maurizi nell’introduzione al libro, «[…] la meraviglia delle cose pretendiamo possederla piuttosto che sfiorarla con le zampe come loro: anche se così facendo ne perdiamo irrimediabilmente l’essenza. E se non possiamo averla preferiamo che non sia, che avvizzisca della nostra stessa tristezza».
Il libro è un manifesto non solo contro la Sagra degli Osei di Sacile, ma contro la tradizione e il business legati alle fiere ornitologico-venatorie diffuse capillarmente sul territorio nazionale. Gli autori sollevano spunti di riflessione sul piano filosofico, giuridico, sociologico sulla legittimità di tali manifestazioni, ricostruendone la storia e ponendo i riflettori su quelle che sono le condizioni degli animali che vengono (ahi loro!) catturati, allevati, imprigionati, esposti, venduti e utilizzati nelle fiere e come richiami vivi.
Eppure, c’è chi ritiene la Sagra degli Osei qualcosa di irrinunciabile, perché permette da un lato di conoscere più da vicino la natura e avvicinare la gente agli animali, dall’altro perché consente di mantenere una tradizione che va avanti dal 1200 e attira, come in pellegrinaggio, persone da tutta Europa. Può non essere facile decidere di eliminare un evento di tale portata per coloro i quali trovano, in quelle giornate, la possibilità di dedicarsi a qualcosa che mantiene il contatto con le proprie origini, alla quale si è stati educati. Decidere anche solo di modificarla potrebbe essere faticoso e rischiare di “snaturare” l’iniziativa. Gli interessi in gioco non sono pochi.
D’altra parte, però, resta che, dietro l’appello alla tradizione e alla necessità di non perdere un pezzo dell’identità culturale del paese, e ben lontano dalla volontà di avvicinarsi alla natura per omaggiarla, restano le pratiche legate al sessaggio endoscopico e alla “chiusa”, la prigionia, il contenimento di comportamenti innati che, anche ricorrendo alla fantasia, mal sembrano sposarsi con l’attuale idea di benessere degli animali, che si basa non più sulle condizioni minime di buona salute e di disponibilità di cibo e acqua, bensì sulla possibilità di esprimere in piena libertà il corredo etografico della propria specie.
Resta il fatto che ogni anno si svolge a Sacile una sagra attraverso la quale si continuano ad istruire gli adulti di domani su come sia lecito sopraffare, utilizzare altre vite per un fine che poi, eticamente, tanto giustificabile tra l’altro non è.
Se il fine è quello di avvicinare l’uomo alla natura, dobbiamo riuscire a spostare l’interesse dei cittadini dalle sagre (ma anche dagli zoo, dai circhi e così via) all’ambiente naturale. È l’uomo che deve avvicinarsi ed integrarsi con la natura, non il contrario. Che uccello è quello chiuso in gabbia, che non vola? Che non può più comportarsi come la sua natura vorrebbe? Che non può godere dell’aria, della luce, dei suoni e di tutto ciò che è natura e che è lì, anche per lui? È l’illusione di un uccello, il fantoccio di un uccello, l’ombra di un uccello.
Se la questione è il mantenimento di una memoria, più volte e da diversi autori è ricordato come con il termine “tradizione” si intende un patrimonio di conoscenze, credenze, comportamenti e abitudini non statico, ma che si presenta come processo dinamico, che si modifica nel corso degli anni e si misura di volta in volta con una realtà diversa, selezionando quanto di positivo sia da trasferire alle prossime generazioni e quanto, invece, va messo da parte perché non è più ritenuto eticamente accettabile.
Se la questione è l’irrinunciabile business legato ai richiami vivi e all’esposizione e al commercio degli uccelli da canto, anche ammesso che tali interessi siano del tutto estranei all’ambito di azione delle zoomafie, sicuramente esso non basta a giustificare il “fine pena mai” di esseri innocenti, nati per essere liberi e a loro volta portatori di un interesse sicuramente più grande: una vita degna di essere vissuta.
In realtà, “Volare!” non è semplicemente un manifesto contro la Sagra degli Osei e le mostre ornitologico venatorie. È un coro di voci che si alza per la dignità, per quel «canto libero che nessuno potrà ingabbiare, e che noi dobbiamo ascoltare per liberare — finalmente — ogni gabbia di questo mondo», per dirla con il filosofo Leonardo Caffo; un canto comune a tutti gli esseri senzienti tenuti in prigionia, in qualsiasi forma di prigionia, e che dice “Lasciatemi Vivere!”.