L’appuntamento annuale per discutere a livello globale dei cambiamenti climatici e dei loro effetti è appena cominciato. Stiamo parlando della ventisettesima Conferenza delle Parti (COP27) che quest’anno si sta tenendo a Sharm El-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre. In questa occasione la World Federation for Animals, insieme ad altre 10 organizzazioni – tra cui Eurogroup for Animals, alla quale ALI aderisce – ha diffuso un position paper sulla necessità di introdurre il benessere animale nelle strategie di adattamento e mitigazione del riscaldamento globale dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.
La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite e la Conferenza delle Parti
Facciamo un passo indietro per capire meglio il contesto. La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite è un trattato non vincolante ratificato allo scopo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra in atmosfera a un livello al di sotto del limite oltre il quale l’interferenza umana risulti pericolosa per il clima e in un intervallo di tempo che permetta agli ecosistemi di adattarsi e consentire uno sviluppo sostenibile. È entrato in vigore il 21 marzo 1994 e attualmente vi hanno aderito 197 nazioni, tra cui l’Italia. Gli Stati membri, a partire dalla Convenzione, avrebbero dovuto definire dei valori limite in successivi documenti, i protocolli, dei quali si sarebbe discusso in conferenze annuali, le COP.
Tra i protocolli più noti ci sono quello di Kyoto, adottato nel 1997, in cui si stabiliva l’obbligo di diminuire le emissioni in una percentuale che non andasse al di sotto dell’8,65% rispetto ai valori registrati nel 1985, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012, e l’Accordo di Parigi, che ha come obiettivo il mantenimento dell’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e l’impegno a limitarlo a 1,5°C.
Portare gli animali nel dibattito
Già nel passato le organizzazioni per la protezione degli animali hanno cercato di inserire le proprie argomentazioni nel dibattito sui cambiamenti climatici. Un primo approccio è stato quello legato alla riduzione del consumo di prodotti animali, altresì alla transizione delle pratiche di produzione per soddisfare gli obiettivi climatici stabiliti dalla Convenzione. Del resto, non può essere ignorato l’impatto che gli allevamenti esercitano sulle emissioni di gas serra e, da un punto di vista più ampio, la loro impronta sull’ambiente.
Nello sviluppo attuale delle politiche per ridurre gli effetti del riscaldamento globale, il benessere animale corre principalmente due rischi:
- un aumento di alcune pratiche di allevamento intensivo che sono più sostenibili climaticamente rispetto a sistemi estensivi. Un esempio è l’allevamento di maiali e avicoli (galline, polli, tacchini) che, considerando la produzione di gas serra (metano), può risultare migliore rispetto all’allevamento di ruminanti come i bovini e gli ovini;
- proseguendo sulla stessa linea, l’UNFCCC sta discutendo l’adozione di soluzioni tecnologiche per ridurre la produzione di metano da parte degli animali da allevamento e questo potrebbe frenare la volontà di ridurre il consumo di animali per diminuire le emissioni di gas serra.
Le azioni sul clima non possono più ignorare gli animali e l’industria animale
Anche noi di ALI, insieme ad Eurogroup for animals, World Federation for Animals e a tutte le altre organizzazioni, chiediamo che gli animali siano inseriti nella discussione e nella azioni per affrontare il riscaldamento globale.
Non solo desideriamo che sia riconosciuto il ruolo che lo sfruttamento degli animali riveste tra le cause del riscaldamento globale, suggerendo che la mitigazione potrebbe passare per una transizione verso la produzione e il consumo di alimenti d’origine vegetale e per la protezione di ecosistemi che sequestrano carbonio dall’atmosfera.
Il passo in avanti, il mutamento del paradigma che sosteniamo con il position paper, si traduce nell’inclusione degli animali nelle politiche di adattamento e mitigazione. Esseri viventi che, proprio come noi, stanno subendo gli effetti del climate change. Tra gli esempi per comprendere meglio questo punto, citiamo gli animali dei sistemi di allevamento intensivi, per cui l’incremento delle temperature può portare a un aumento della morbilità (numero dei casi di malattia registrati durante un periodo dato in rapporto al numero complessivo di individui presi in esame) e della mortalità. Anche i pesci allevati subiscono effetti considerevoli dovuti all’aumento di acidità e temperatura di mari e oceani e alla diminuzione dell’ossigeno disciolto nelle acque. Per non parlare della fauna selvatica, alle prese con il cambiamento degli habitat e delle loro condizioni di vita e con eventi meteorologici sempre più estremi.
La COP27 è appena iniziata e riteniamo auspicabile che le Parti propendano per policy che siano sostenibili per il clima e che tutelino gli animali, al fine di proteggere la biodiversità e garantire il futuro del nostro sistema alimentare.