Il 23 Gennaio si è svolta la riunione del Consiglio dell’Unione Europea su Agricoltura e Pesca, nell’ambito della quale sono stati discussi tanti temi, alcuni collegati al benessere animale, su cui il Presidente del Consiglio in carica David Clarinval ha dichiarato di volersi impegnare. Speriamo sia la volta buona, dal momento che fino ad oggi tutti gli impegni presi dalla Commissione europea sono stati disattesi.
Tra le altre cose, si è discusso della carne coltivata in seguito ad una nota presentata dalla delegazione austriaca, francese ed italiana.
Francesco Lollobrigida avevo dichiarato alla Camera durante la discussione per l’approvazione della legge 1 dicembre 2023, n. 172 “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali” che avrebbe convinto tutti gli altri paesi europei a fare lo stesso e a quanto pare ci sta riuscendo.
La nota, infatti, chiedeva, in sintesi, di creare degli ostacoli alla produzione, ricerca, commercializzazione della carne coltivata in Europa. La narrazione portata avanti dai paesi proponenti è la stessa che abbiamo sentito durante il dibattito in Italia: una narrazione che sottolinea, enfatizzandoli, ed anche includendo palesi inesattezze, i presunti rischi della carne coltivata per la salute, l’ambiente e la società nella sua interezza.
Durante la riunione è stato chiesto alla Commissione Europea di avviare una consultazione pubblica, di effettuare valutazioni a 360° sui pericoli della diffusione di questo alimento e anche di non considerarla nemmeno un alimento ma un prodotto farmaceutico, affinché sia sottoposto ad una procedura autorizzativa completamente diversa da quella dei cibi nuovi, i cosiddetti Novel Food.
Tutto questo sarebbe anche accettabile se una simile solerzia fosse richiesta anche nell’ambito dell’allevamento di animali, su cui sarebbe opportuno fare una consultazione pubblica seria, ben diversa dall’Eurobarometro, effettuando una valutazione dei rischi, dei pericoli e dei costi nascosti di questa pratica. Una valutazione che includa i costi sull’ambiente, sulla salute delle persone, sulle ricadute in termini di zoonosi, così da quantificare il costo effettivo della carne al kg, una volta inglobate tutte le esternalità negative, quali i costi legati alla prevenzione e gestione delle zoonosi, i costi sanitari legati alle malattie connesse al consumo di carne e derivati, il costo sul consumo del suolo, sullo smaltimento dei reflui e così via.
Sono ben 16 sul totale di 27 gli Stati che ieri hanno espresso una posizione contraria alla carne coltivata. Se queste delegazioni avessero richiesto una valutazione sugli allevamenti intensivi parallelamente a quella sulla carne coltivata, avremmo potuto pensare di trovarci di fronte ad Istituzioni responsabili ma, invece, dobbiamo riscontrare che l’unico loro obiettivo è sempre quello di preservare lo status quo e gli interessi delle lobby della carne.
L’Europa, che potrebbe essere competitiva puntando all’innovazione, si trova oggi ad un bivio tra fare gli interessi di pochi o coraggiosamente andare verso il futuro, preservando gli interessi di tutti, generazioni future comprese, come sarebbe possibile mettendo finalmente in pratica gli obiettivi del Green Deal grazie all’innovazione in agricoltura e nel settore alimentare.
Anche per questo motivo, le prossime elezioni europee del 9 giugno rappresentano un momento fondamentale per l’esercizio della democrazia dal basso, che è necessario cogliere per dare alle politiche europee un indirizzo coraggioso e ambizioso, che guardi al futuro e non al passato.