Si è conclusa ieri la COP15 di Montréal, la quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica, che si è tenuta in Canada dal 7 al 19 dicembre 2022 ed è stata presieduta dalla Cina. Al contrario della COP27 e similmente alla COP19 CITES, l’evento è stato il teatro di un accordo che pianta semi di speranza per il futuro del nostro Pianeta: il via al target 30×30.
Cos’è la COP15 di Montréal?
La COP15 è l’incontro di tutti gli Stati e le organizzazioni che appartengono alla Convenzione sulla Diversità Biologica. Il trattato fu aperto alla firma il 5 giugno 1992 ed entrò in vigore il 29 dicembre 1993. Oggi vi partecipano 196 Parti, tra governi e altri organismi come l’Unione europea, mentre mancano all’appello della ratifica Stati Uniti d’America e Stato della Città del Vaticano.
La Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) è un trattato internazionale giuridicamente vincolante i cui obiettivi principali sono:
- la conservazione della biodiversità;
- l’uso sostenibile della biodiversità;
- la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche.
In un’ottica generale, il suo scopo è incoraggiare azioni che porteranno a un futuro sostenibile.
In questa edizione, il fulcro della conferenza è stato l’adozione del Quadro Globale per la Biodiversità post-2020, un piano d’azione globale per il prossimo decennio che fisserà target e impegni a medio (2030) e lungo termine (2050) per sostenere gli obiettivi delle CDB. La prima bozza del quadro è stata pubblicata nel luglio 2021 e si basa sugli insegnamenti tratti dal piano strategico per la biodiversità 2011-2020 e dai suoi target di Aichi per la biodiversità, che non sono stati raggiunti.
Inoltre è stato riconosciuto che l’azione politica deve essere urgente e compiersi a livello globale, regionale e nazionale per poter trasformare i modelli economici, sociali e finanziari che hanno permesso la perdita di biodiversità. Il passo ulteriore rispetto alla stabilizzazione, sarà il ripristino degli ecosistemi entro il 2050.
Sì al target 30×30
Anche la COP15 sulla biodiversità è stata teatro di un accordo storico. Come riporta il The Guardian, «In una plenaria straordinaria iniziata domenica sera e durata più di sette ore, i paesi si sono scontrati sull’accordo finale. Alla fine, verso le 3:30 ora locale di lunedì, è arrivata la notizia che era stato raggiunto un accordo».
Il successo del summit è legato soprattutto al target “30×30” del Quadro Globale per la Biodiversità post-2020 che, nonostante alcune opposizioni, è riuscito a passare. Il target prevede l’impegno nel proteggere il 30% delle terre e delle acque considerate importanti per la biodiversità entro il 2030. L’obiettivo “30×30” è certamente più ambizioso del suo predecessore, il target 11 di Aichi per la biodiversità, che puntava alla conservazione del 17% del territorio e del 10% delle aree costiere e marine e che ha mostrato solo un parziale successo in termini di qualità dell’azione.
Le opposizioni e il rispetto dei popoli indigeni
Come è stato accennato, l’accordo raggiunto non ha trovato l’unanimità dei partecipanti alla COP15. Sempre il The Guardian riferisce che il negoziatore della Repubblica Democratica del Congo sembrava intenzionato a bloccare l’accordo finale presentato dalla Cina, chiedendo nuovi fondi per la biodiversità che fossero separati da quelli già esistenti del GEF – Global Environment Facility (Fondo mondiale per l’ambiente), di cui i maggiori destinatari sono Cina, Brasile, Indonesia, India e Messico.
Nonostante questo intervento, l’accordo è stato approvato davanti all’incredulità della Repubblica Democratica del Congo, del Camerun e dell’Uganda.
Citata per ultima, non per importanza, un’altra delle criticità del target “30×30” è il coinvolgimento dei popoli indigeni, custodi da millenni di habitat fondamentali in termini di biodiversità. Queste popolazioni vedono imposte dall’alto decisioni di cui dovrebbero essere protagoniste e fautrici, accordi che spesso le hanno estromesse dai loro territori, le hanno private dei loro diritti e che, invece, potevano trovare in loro un partner prezioso.
L’augurio non è solo che il Quadro Globale per la Biodiversità post-2020 riesca a raggiungere maggiori traguardi rispetto ai piani strategici precedenti, ma che lo faccia anche in una visione completa delle interconnessioni del Pianeta in cui viviamo, imparando dai fallimenti dei target di Aichi.