«Mr. Biden, you have the opportunity and the historic responsibility […] to make the right political decisions to stop climate crisis»: con queste parole Tuntiak Katan, leader indigeno del popolo Shuar in Ecuador e coordinatore della Global Alliance of Territorial Communities, si è rivolto al Presidente statunitense Joe Biden in occasione del summit dei leader mondiali sul cambiamento climatico.
Joe Biden, da sempe sensibile alle tematiche ambientali, è stato uno degli organizzatori del summit, che ha visto presenziare anche diversi leader indigeni, in quanto “guardiani delle foreste”, dalla cui esistenza dipende la salvaguardia della natura. Il summit si inserisce perfettamente tra gli obiettivi della nuova politica democratica americana: la crisi climatica e l’emergenza ambientale sono tematiche calde presenti nell’agenda politica del Presidente americano già durante la campagna elettorale.
Il ruolo delle foreste, come “polmoni verdi” per fronteggiare l’aumento delle temperature dovuto all’inquinamento, è stato ribadito durante il summit, che ha sponsorizzato una joint venture tra i governi nazionali per finanziare azioni di tutela e di protezione di tutte le foreste tropicali. L’iniziativa congiunta porterà il nome di Lowering Emission through Accelerated Forest Finance (LEAF).
La proposta ha ricevuto il plauso sia della comunità internazionale, inserendosi perfettamente all’interno degli obiettivi comuni enucleati di recente dalle Nazioni Unite, sia da parte delle comunità indigene, le quali individuano nella “foresta” il proprio habitat naturale, in virtù del binomio uomo-natura alla base della cultura indigena.
Tuntiak Katan, invitato a parlare alla sessione “Nature-Based Solutions“, ha accolto con entusiasmo la proposta di finanziamento, ma ha sottolineato un discrimine che i governi devono prendere in considerazione come punto di partenza per qualsiasi azione. Infatti, secondo Katan, non deve trattarsi di un’azione di carità, ma nemmeno di una giustizia riparativa. Il finanziamento per tutelare le foreste deve essere una logica conseguenza del diritto preesistente dei popoli indigeni a possedere le proprie terre ancestrali. A maggior riprova di ciò, Tuntiak ha richiamato tutti gli incontri internazionali che dal 1923 sono riusciti a riconoscere il legame giuridico tra cosmovisione indigena e terra, fino ad approdare all’obiettivo comune di costruire insieme una tutela condivisa dell’ambiente, in quanto diritto di tutta l’umanità. Per questo motivo, Tuntiak ha invitato ad imparare dagli errori del passato per implementare una protezione effettiva dell’ambiente, che abbia un chiaro piano di riduzione di emissioni di CO2 e che costringa i governi nazionali ad inviduare, delimitare e restituire alle comunità indigene le terre ancestrali perché le foreste non sono immensi spazi vuoti, ma sono la “casa” naturale delle comunità indigene. Il leader Shuar ha ribadito il ruolo chiave dei popoli indigeni nella tutela dell’ambiente, sottolineando come la salvaguardia del pianeta sia una sfida comune di cui tutti i governi nazionali devono necessariamente tener conto («We, indigenous peoples and local communities, occupy those forests, and we are ready to contribute our forests to one of the most important challenges of our era: the restoration of the Earth»).
Il discorso di Katan ha seguito, dunque, le linee-guida impostate dalla FAO e pare prefigurare sicuramente le soluzioni che verranno proposte alla 26esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Glasgow, novembre 2021).
N.B.: La Global Alliance of Territorial Communities è una coalizione costituita dallle Indigenous Organizations of the Amazon Basin (COICA), dall’Articulation of the Indigenous Peoples of Brazil (APIB), dalla Mesoamerican Alliance of Peoples and Forests (AMFB) e dall’Alliance of Indigenous Peoples of the Archipelago (AMAN). La Global Alliance rappresenta 35 milioni di persone e ben 400 milioni di ettari di foreste.