Le asciutte dei Navigli: uno scempio che si potrebbe evitare

Avv. Alessandro Ricciuti

Come i milanesi ben sanno, da quando i Navigli non sono più utilizzati per il traffico commerciale, il consorzio di gestione li pone periodicamente in secca, ufficialmente per provvedere alla loro pulizia (anche se a giudicare dall’aspetto e quantità dei rifiuti sul fondo, sembra che questi vengano rimossi molto raramente) e al consolidamento delle sponde.

Peccato che le asciutte comportino la morte di una quantità inimmaginabile di pesci, crostacei, molluschi e bivalvi che nei secoli hanno colonizzato questi canali artificiali, proliferando e contribuendo a costruire un complesso ecosistema unico al mondo. Questa biodiversità è un patrimonio naturale la cui salvaguardia non è meno importante della manutenzione delle vie d’acqua, che peraltro sono oramai largamente cadute in disuso. Lo scempio si è ripetuto puntuale anche questo inverno, con effetti particolarmente disastrosi sul Naviglio Martesana, che non subiva asciutte da oltre 10 anni e pullula(va) di vita, al contrario dei Navigli Grande e Pavese, che subiscono ogni sei mesi circa questa sorte, lasciando alle specie ittiche meno tempo per riprodursi e ripopolarlo.

Come fa da ben otto anni, seguendo il calendario delle asciutte, la LAC (Lega Abolizione Caccia) di Milano ha quindi lanciato un appello per chiamare a raccolta volontari per la campagna di salvataggio delle migliaia di pesci rimasti intrappolati in pozze destinate rapidamente ad asciugarsi. Il tutto accade nell’inerzia assoluta delle istituzioni, complice anche l’indifferenza dei cittadini e la placida acquiescenza (o colpevole mutismo?) delle associazioni animaliste e ambientaliste più importanti. Eppure, se solo si volesse, le associazioni si potrebbero riunire e intervenire più incisivamente, come avvenuto alcuni anni fa quando costituirono un coordinamento unitario, per sollecitare un cambiamento di direzione che salvaguardi l’ecosistema dei navigli ed i suoi abitanti.

Le alternative, infatti, esistono, come riferiscono Anna Mozzati e Alessandro Zanaboni della LAC, citando uno studio del 2005 commissionato dalla Provincia di Milano e finanziato dalla Regione Lombardia, secondo cui è possibile effettuare le dovute manutenzioni dei navigli semplicemente abbassando il livello dell’acqua a 30 cm, un livello minimo sufficiente a garantire la sopravvivenza dei pesci e degli altri animali acquatici, al tempo stesso consentendo di portare a termine agevolmente i lavori. Il Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi, al quale spetta la responsabilità ultima di decidere modi e tempi delle asciutte, replica sostenendo che questa soluzione farebbe lievitare i costi e che, comunque, una ditta esterna viene incaricata di recuperare quanti più pesci possibile. In un comunicato ufficiale, dichiarano addirittura di riuscire a salvare oltre il 97% dei pesci, senza che alcun soggetto terzo certifichi tale dato. Quel che è certo, invece, è che i metodi utilizzati (storditori elettrici, pompe elettriche, vasche sovraffollate per il trasporto) sono molto traumatici e causano migliaia di morti inutili, nell’immediatezza o nelle ore seguenti la cattura e il rilascio. Inoltre, parte dei pesci verrebbero gettati a Turbigo, nell’invaso della centrale idroelettrica, il che lascerebbe supporre che una quantità imprecisata potrebbe finire risucchiata nelle turbine. Oltretutto, le specie alloctone (“straniere”) come i pesci gatto e i gamberi della Louisiana vengono immediatamente sterminate, applicando quanto previsto dalle disposizioni provinciali.

Ma è l’evidenza dei fatti a contestare le affermazioni del Consorzio: la LAC ha raccolto due dossier fotografico che smentisce tale tesi. Alcune immagini, che abbiamo potuto visionare in esclusiva, mostrano degli operai lavorare alla manutenzione delle sponde in un tratto nel quale vi è acqua per circa 30 cm di profondità e solo i bordi sono in secca.

Da ultimo, va ricordato che lo scorso inverno sono iniziati i lavori per prosciugare parte della Darsena, l’ampio porto all’altezza di piazza XXIV maggio dove confluiscono i navigli Grande e Pavese, con l’obiettivo di realizzare un porto turistico in tempo per l’Expo del 2015. L’avvio dei lavori ha comportato la distruzione di un’ampia oasi naturale venutasi spontaneamente a creare al lato della Darsena stessa, uno spazio umido ove migliaia di specie animali e vegetali avevano formato un delicato ecosistema in equilibrio. Amministratori pubblici più lungimiranti avrebbero sicuramente colto l’occasione per preservare e valorizzare tale habitat, che rappresentava la casa di decine di uccelli migratori. Un intero ecosistema complesso e prezioso, spazzato via per costruire un’infrastruttura costosa e del tutto inutile, tenuto conto che i navigli sono in secca per ben 4 mesi l’anno (ma può anche capitare che dall’autunno alla primavera successiva). Un ennesimo pessimo esempio della errata e non lungimirante gestione del nostro territorio, che spinge verso la cementificazione estrema, sottraendo alla natura ogni metro quadro di terreno economicamente sfruttabile. Urge una riflessione seria di tutta la cittadinanza consapevole su questi temi, prima che i danni all’ambiente ma anche alla nostra qualità di vita siano irreparabili.

Aggiornamento di giovedì 7 novembre 2013 (riportiamo dalla pagina Facebook “Contro le asciutte dei navigli”):

«Delle foto scattate in questi giorni a Concesa, dove nasce il Naviglio Martesana, mostrano che il Consorzio sta eseguendo i lavori di manutenzione delle sponde dopo aver incanalato l’acqua verso il centro del naviglio, restringendone il letto senza asciugarlo del tutto! Da queste foto si evince senza alcun dubbio che ciò che la LAC chiede da anni, al fine di preservare la vita degli abitanti dei Navigli, non soltanto è possibilissimo ma viene persino comunemente praticato dal Consorzio, il quale, tuttavia, continua ostinatamente a negare che tale modalità di intervento sia realizzabile».

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